La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



lunedì 18 ottobre 2010

Vegetariani

Pare che un giorno ad un congresso di vegetariani si contassero una sessantina di scuole di pensiero differenti. Diverse erano le motivazioni, diversi i regimi alimentari. Questo perchè il senso del termine « vegetariano » è assai vago. Non ha niente a che vedere con i vegetali, (per definire coloro che non si nutrono di alimenti di origine animale si usa l'aggettivo « vegetaliano » o più comunemente « vegan ».
Il termine vegetariano invece viene direttamente dal latino e significa « in buona salute » (come d'altronde nell'espressione « vivo e vegeto »). Un vegetariano è dunque colui che vuole mangiare in modo sano. Quanto alla maniera per raggiungere tale scopo, ognuno può scegliere la sua: dieta con pesce, senza pesce, con formaggi, senza formaggi ma con yogurt, verdure crude o cotte eccetera. Certi « vegetariani » poi mangiano anche carni bianche.
Ma fin qui le motivazioni per le scelte alimentari sono semplicemente dietetiche.
Ci sono invece coloro che scelgono di mangiare o non mangiare determinati alimenti per ragioni etiche. In questo caso la scelta è la conseguenza di una riflessione personale che può essere religiosa, politica o morale. A rigor di logica bisognerebbe cercare un altro termine che « vegetariano ». Infatti, è vero che è possibile che un vegetariano sia spinto da considerazioni composte da elementi sia dietetici che etici, (era il caso di Gandhi per esempio) ma, per essere precisi, se il rinunciare agli alimenti di origine animale è dettato solo da una riflessione etica, il tremine « vegetariano » è un po' restrittivo e non molto corretto. Tuttavia esso si è imposto e come tale è accettato.
Torniamo alle ragioni di quest'ultima categoria di persone. Abbiamo parlato di tre motivazioni essenziali:
Sorvoliamo, anche se con rispetto su quelle religiose: la credenza nella reincarnazione in altri esseri viventi è uno dei motivi più sovente evocati per la scelta di non cibarsi di animali. Ma anche alcuni ordini religiosi cristiani e cattolici adottano un regime vegetariano. E l'insegnamento francescano, se seguito nello spirito, porta ad un attenzione particolare al mondo animale.

Tra le ragioni più politiche possiamo accennare a ciò che, fino a qualche anno fa, era chiamato « terzomondismo ». In effetti mangiare carne aumenta lo sfruttamento dei paesi più poveri (per produrre 1 kg di proteine animali occorre sette volte lo spazio necessario per 1 kg di proteine vegetali); le grandi marche di carne in scatola allevano le loro mandrie in Africa; la foresta amazzonica è distrutta per permettere l'allevamento bovino. Impossibile nutrire tutta la popolazione mondiale con delle bistecche o peggio con degli hamburger. Se si vuole veramente ridurre il problema della fame nel mondo occorre riorientare la produzione dall'animale verso il vegetale (ma non per fabbricare i cosiddetti biocarburanti!)
La motivazione morale la ritroviamo in grandi uomini del passato più o meno recente: Plutarco, Pitagora, Ovidio, Leonardo da Vinci, Immanuel Kant, Jean Jacques Rousseau,Tolstoi, Gandhi, Einstein, Aldo Capitini, David-Henry Thoreau, Bertrand Russell tra gli altri.
Un filo diretto lega la loro concezione filosofica: mangiare carne non è un atto naturale. Esso è la conseguenza di una o più azioni violente: non solo quella dell'uccisione finale ma anche quelle insite nel sistema di allevamento o di caccia. L'errore principale dell'Uomo è di considerare gli altri esseri viventi come « cose » a sua disposizione. L'etologia moderna ha confermato ciò che antichi filosofi avevano già intuito: gli animali, secondo il loro sviluppo, sono capaci di sentire dolore, emozioni e sentimenti. La consapevolezza della realtà circostante non è una prerogatica unicamente umana e la « superiorità » intellettuale dell'Uomo non gli dà un diritto inalienabile sugli altri esseri.
C'è poi una questione di coerenza. In effetti tra coloro che mangiano carne, quanti sarebbero capaci di uccidere il bue, il maiale o l'agnello che, il più delle volte, essi cucinano solo dopo che altri ne hanno ridotto il corpo a forme irriconoscibili?
Ora evidentemente se le motivazioni che spingono al vegetarianismo sono di questo tipo è evidente che non si possono fare distinzioni tra gli alimenti se non secondo la domanda: è necessario uccidere o no perchè io possa mangiare questa pietanza. Alcuni si limiteranno ad abolire la carne, il pesce, le uova di pesce (storione o altro) e spesso anche il formaggio, quando prodotto con caglio estratto dello stomaco dell'agnello; altri, più radicalmente, spinti dalla volontà di respingere ogni sfruttamento animale, rinunceranno ad ogni alimento che abbia questa origine, anche a quelli che non sono la conseguenza di un atto violento: uova, yogurt o miele per esempio.
In ogni caso si tratta di una scelta certo impegnativa ma che non implica, come uno stereotipo diffuso lo lascia credere, la rinuncia ai piaceri del mangiar bene. D'altronde la dieta mediterranea, ricchissima di varietà e di sapori, e in gran parte « vegetariana ».
Riassumendo, se il non mangiare carne è una scelta soprattutto etica, essa si inserisce in una filosofia di vita che si manifesterà anche in altri campi. Qualunque sia il peso delle singole motivazioni, essere vegetariani significa voler ridurre il livello di violenza presente nel mondo.
-Occorre lavorare per ridurre il più possibile la sofferenza del mondo, anche se non potremo eliminarla del tutto.
-Il progresso spirituale ci porterà a smettere di uccidere altre creature per soddisfare i nostri bisogni materiali.
-Per me la vita di un agnello non è meno preziosa di quella di un essere umano. Sarei restio ad ammazzare un agnello per sostenere il corpo umano. Trovo che più una creatura è indifesa, più ha il diritto ad essere protetta dall’uomo dalla crudeltà degli altri uomini. Ma colui che non è degno di tale opera non può offrire protezione. … Per riuscire a vedere faccia a faccia lo Spirito della Verità, universale e onnipresente, bisogna riuscire ad amare la più modesta creatura quanto noi stessi.
-Nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per la sua avidità
Gandhi (17 dicembre 1925).

sabato 16 ottobre 2010

Giacomo Leopardi

Una delle questioni che il critico Cesare Luporini pose nel proprio saggio dedicato a Giacomo Leopardi Leopardi progressivo (1980) è quella della valutazione del carattere della sua riflessione filosofica. Secondo lui Leopardi non può essere definito filosofo se si considera il suo mancato inserimento nell'evolversi storico di una riflessione teorica nella quale nuovi pensatori riflettono, reinterpretano e superano i concetti dei loro predecessori, all'interno di un momento conoscitivo-scientifico del « fare » filosofico.
In effetti il suo pensiero ha certo una componente di ricerca teorica ma sempre legata al vivere pratico dell'uomo, all'analisi concreta di situazioni umane e storiche. I due campi si influenzano vicendevolmente così che la scelta dei problemi scientifici è condizionata dal momento pratico e viceversa. Piuttosto un moralista dunque, secondo Luperini, nella linea che va da Erasmo a Montaigne fino a Kierkegaard e Nietzsche.
Leopardi, nei suoi scritti, si scagliò contro il Romanticismo in voga nel suo tempo ma in realtà il suo pensiero si inseriva prepotentemente in questa corrente.
Come le grandi figure del Romanticismo, egli sentì in modo drammatico lo scontro tra realtà storica e quotidianità della vita ma, e qui stava la sua opposizione, rifiutando la concezione estetizzante in voga tra i romantici.
E mentre nei momenti più alti della riflessione europea l'Uomo sostituiva Dio al centro della concezione dell'universo, Leopardi andava già oltre, precedendo in qualche sorta la crisi esistenzialista del XX secolo. Nietzsche riconoscerà in Leopardi un precursore. La finitudine del mondo modifica il rapporto tra le forze interne all'uomo e le forze del di fuori. Le forze esterne non sono più limitabili all'organizzazione gerarchica dell'universo. L'intervento di variabili non più riconducibili ad un ordine immutabile fa scaturire una forma che non è né dio né uomo. Su questo fondamento Nietzsche porrà il problema del « superuomo », capace, secondo la formula di Rimbaud, di farsi carico anche dell'animale e dell'informe.

martedì 12 ottobre 2010

Cartolina

Sulla piazza al mattino fa freddo. Il rumore dell’acqua della fontana risuona nello spazio vuoto. Si sente il ritmo dei passi di un uomo che scende da San Rocco, passando sotto l’arco che si apre nelle mura del paese. Il sole spunta ora e comincia a illuminare, dalla parte opposta, la valle di Natrella.
L'uomo arriva sulla piazza e si siede sugli scalini in pietra aspettando i primi raggi che lo scaldino mentre il fruttivendolo con il suo camion gli passa davanti, facendogli un cenno di saluto. Parcheggia e comincia a scaricare le cassette di frutta, allineandole al solito posto.
Un vecchio, appoggiandosi ad un bastone, scosta la tenda di plastica ed esce dal bar, scendendo con difficoltà i quattro scalini fuori dalla porta. Vede l’uomo seduto e si avvicina salutandolo.
Un vocio di bambini precede il loro apparire. Sono una decina, accompagnati da qualche adulto. Vestiti e zainetti colorati, si fermano vicino alla fontana mentre, dalla parte opposta arriva un pulmino giallo che si ferma li’ vicino. I bambini salgono, e il pulmino si allontana. Per qualche istante torna il silenzio.

giovedì 7 ottobre 2010

Ivan Turgenev: Memorie di un cacciatore

Possiedo questo libro da più di trent'anni.
Stavo tornando al paese, sulle montagne. Il treno, dopo una notte di viaggio, mi aveva lasciato nella città della costa da dove avrei preso la corriera per l'entroterra.
Ero arrivato al mattino e l'autobus sarebbe partito solo nel pomeriggio. Avevo quindi pensato di andare a trovare i miei zii che abitavano lì vicino. Ma non volevo presentarmi troppo presto e decisi quindi di fare una passeggiata sul lungomare. Il cielo era nuvoloso e dopo un po' comminciò a piovere. Sulla piazza vicino alla spiaggia c'erano delle grandi tende bianche e delle locandine annunciavano un mercatino di libri d'occasione. Entrai. Non c'era molta gente a quell'ora. I venditori stavano ancora disponendo i libri tirandoli fuori dagli scatoloni. Curiosavo tra i banchi senza cercare niente di preciso. Avevo tra le mani un libro che non conoscevo, rilegato in finta pelle verde con ghirigori dorati. Sembrava un'edizione di un qualche « club del libro », con un odore di legno, anzi, di matita, che ritrovo ancora oggi. La copertina era senza titolo, bisognava guardare il dorso per trovarlo: Memorie di un cacciatore di Ivan Turgenev. Conoscevo già qualche romanzo della letteratura russa e avevo già sentito parlare di Turgenev ma non avevo mai letto nessuna delle sue opere. Tra l'altro il titolo non aveva niente che potesse attirarmi. Stavo sfogliando il libro quando una ragazza (non so se libraia o cliente) che si trovava lì vicino mi rivolse la parola: « è magnifico! » mi disse.
Così andai a salutare i miei zii con Turgenev nello zaino e da allora ogni tanto ritorno nelle foreste e nei villaggi della Russia del XIX secolo.
Ivan Turgenev è conosciuto come scrittore realista e questo libro può senza dubbio essere inserito nella categoria. Nei 24 racconti qui riuniti egli descrive ed analizza personaggi di ogni strato sociale incontrati nel suo vagabondare nelle campagne russe: il nobile e il contadino arricchito, il vagabondo, il servo e l'intellettuale squattrinato. Il suo sguardo però si attarda piuttosto ad osservare il popolo, la sua miseria e i suoi pregiudizi, ma anche i suoi valori e la sua intelligenza.
Il tono non è mai né aggressivo né perentorio ed il libro non prende mai la forma dell'invettiva (forse proprio per questo, sorprendentemente, non fu censurato dalle autorità russe). Il narratore si tiene in disparte, di lui si saprà molto poco, (solo alla pagina 337 scopriremo il suo nome: Pëtr Petrovič) anche se non è difficile rilevare i tratti dell'autore. Eppure, attraverso la descrizione dei personaggi incontrati, emerge poco a poco una critica lucida e implacabile del sistema sociale dell'epoca.
Un libro « inchiesta » dunque, come si direbbe oggi, che fu inserito da molti critici nella corrente naturalista, ma non solo.
Le passeggiate attraverso boschi e colline sono un vero tuffo nella natura. La caccia sembra solo un pretesto per un'immersione in un mondo nel quale l'uomo sembra perdersi, sorpreso e affascinato da un sentimento panico. Le pagine in cui il narratore descrive il paesaggio che lo circonda sono senz'altro le più belle del libro.
E sorprendentemente, visto l'argomento iniziale, ma sicuramente non a caso, nell'ultimo racconto il narratore si rivolge direttamente ai non cacciatori con un testo nel quale la natura diventa l'unica protagonista e ciò già dal titolo: « La foresta e la steppa ».
La natura ha, nei racconti di Turgenev, le fattezze di un essere vivente, che respira, canta, si muove. Non semplicemente una tela di fondo ma un vero personaggio centrale che partecipa attivamente agli avvenimenti come in Ermolaj e la mugnaia:
[...]È passato un quarto d'ora. Il sole è tramontato, ma nel bosco c'è ancora luce; l'aria è limpida e trasparente; gli uccelli cinguettano ciarlieri; l'erba tenera brilla del vivido splendore dello smeraldo... Aspettate. L'interno del bosco si oscura piano piano; il color porpora del crepuscolo serale scivola lentamente sulle radici e sui tronchi degli alberi, sale sempre più su, passa dai rametti bassi, ancora spogli, alle immobili cime sonnacchiose... Ecco che anche le cime sono offuscate; il cielo rossastro si incupisce. L'odore del bosco diventa più penetrante, soffia appena appena una tiepida umidità; il vento, penetrato nel bosco, si acquieta intorno a voi. Gli uccelli si addormentano, non tutti all'improvviso, ma secondo le varie specie: ecco che tacciono i fringuelli, dopo qualche istante i capirossi, poi i verdoni. Il bosco si rabbuia sempre più. Gli alberi si confondono in compatte masse nereggianti; sul cielo azzurro spuntano timidamente le prime stelline.* [...]
Alberi e foglie, campi e fiori, la pioggia e il vento, lo spuntare del sole o un tramonto in una foresta, ogni cosa ha una reale concretezza. I rumori delle foglie mosse dal vento e la luce del sole che le colpisce, gli odori della terra bagnata dopo un temporale; tutti i sensi sono stimolati.
[...]mi sdraiai e presi ad ammirare il gioco pacifico delle foglie che si intrecciavano sul lontano cielo luminoso. È meravigliosamente piacevole stare sdraiato supino nel bosco e guardare in alto! Vi sembra di guardare in un mare senza fondo che si estende sotto di voi, sembra che gli alberi non si levino dalla terra, ma, al pari di radici di piante gigantesche, scendano verso il basso, piombino in quelle onde chiare come il vetro; le foglie sugli alberi ora sono trasparenti come smeraldi, ora si scuriscono in un verde dorato, quasi nero. Da qualche parte, lontano, in cima a un rametto sottile, una fogliolina isolata si staglia immobile contro un lembo azzurro di cielo trasparente, e lì accanto ne dondola un'altra che ricorda con il suo movimento quello di un pesce nell'acqua, tanto il suo moto appare spontaneo e non provocato dal vento. Le nuvole rotonde e bianche navigano piano come magiche isole subacquee, ed ecco che all'improvviso tutto questo mare, quest'aria radiosa, questi rami e queste foglie bagnati di sole cominciano a fluire, a tremolare di un brillio fuggevole e si leva un balbettio fresco, trepidante simile al fitto sciabordio di un improvviso incresparsi dell'acqua. Non vi muovete, guardate: la sensazione di gioia, tranquillità e dolcezza che avvertite nel cuore non si può esprimere a parole. Guardate: quell'azzurro profondo, limpido fa affiorare sulle vostre labbra un sorriso altrettanto innocente; come le nuvole in cielo, e quasi insieme ad esse, scorrono in lenta sequela nella vostra anima i ricordi felici e vi sembra che lo sguardo si allontani sempre più e vi attragga con sé in quell'abisso tranquillo e splendente, credete che non sia più possibile liberarsi da quella sommità, da quella profondità... *
Il cielo diventa mare, gli elementi si sciolgono e si confondono in un universo fatto di colori di suoni e di emozioni. Il narratore interpella direttamente il lettore e quest'ultimo, come attirato dalla prosa ritmata e melodica, ha l'impressione di penetrare in uno spazio ormai indefinito che lo sottrae per qualche istante alla realtà.
Passaggi di vera poesia, simili nell'effetto a brani di musica sinfonica, capaci di sollecitare altro che la semplice ragione.
*Traduzione di Maria Rosaria Fasanelli