La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



venerdì 25 maggio 2012

L'abbazia di Santa Croce di Sassovivo (Foligno)

Nel bel chiostro dell'Abbazia un frate passeggia sotto il portico leggendo un libro di preghiere. 
Ci sorride e ci augura il buongiorno senza interromere il suo viaggio attorno al colonnato. 
Porta un saio, o piuttosto una tunica bianca, e una sciarpa dello stesso colore. Fa parte della comunità dei Piccoli fratelli di Jesus caritas seguace degli insegnamenti di Charles de Foucauld e che dal 1979 governa e fa vivere il luogo. 
Al centro del cortile è un pozzo con notevoli decorazioni in ferro battuto, costruito nel XVII sulla cisterna sottostante.
Il tempo, le vicissitudini della Storia e soprattutto i terremoti, l'ultimo nel 1997, hanno danneggiato più volte le costruzioni. Il chiostro, costruito nel XIII secolo (una scritta precisa il 1229) è stato restaurato più volte ma resta, con le sue eleganti colonnine in doppio ordine, la parte più artistica dell'abbazia. Fu costruito a Roma, dagli artigiani della scuola della basilica dei Santi Quattro Coronati, dipendente dall'abbazia stessa, poi trasportato e montato quassù. 
Più avanti, in una loggia, si possono osservare i frammenti di affreschi monocromi realizzati nel Quattrocento.
I monaci di Sassovivo ebbero il loro periodo più fasto nel XIII secolo quando l'abbazia dirigeva e controllava quasi cento monasteri in un ampio territorio tra Perugia e Roma.
Siamo sulle pendici del monte Serrone. Sotto di noi sono la città di Foligno e la valle Umbra. Una bella lecceta copre la montagna. Questo bosco era considerato un luogo sacro già nell'antichità ed è anche per questo che è stato conservato e rispettato nel tempo. 
L'Abbazia di Santa Croce di Sassovivo è costruita su una roccia che domina la valle.
Queste montagne dovevano essere già da tempo territori di eremitaggio per mistici che cercavano luoghi dove isolarsi nella meditazione. La tradizione racconta che fu un certo Mainardo eremita anche lui, a riunire, nel 1082, la prima comunità che decise di seguire l'insegnamento di San Benedetto.
I primi monaci, benedettini, arrivarono a Sassovivo nell'XI secolo quindi ma pare che qui ci fosse già una rocca fortificata di origine longobarda.
Nella bella giornata di sole primaverile il luogo è attaente e armonioso. Colpisce il silenzio, forse ancora più evidente nella vicinanza della città sottostante.


venerdì 18 maggio 2012

Salvatore Quasimodo: Vento a Tindari

L'opera di Quasimodo è stata letta con enfasi. Foga di elogi, quando l'epoca voleva farne emergere l'impegno morale; pour sapendolo lontano dal neorealismo, nella figura del poeta militante si voleva ritrovare l'immagine dell'intellettuale che Gramsci aveva descritto. Foga di critiche da chi sosteneva che la poesia per essere tale dovesse elevarsi dal terriccio del presente.
Poi gli anni passarono, l'urgenza sociale lasciò le scrivanie della critica letteraria e nemmeno il premio Nobel bastò ad evitare a Quasimodo l'ironia o il silenzio sufficiente. Quello che era stato fonte di elogi divenne grave difetto, sola spiegazione di una fama altrimenti immeritata.
A distanza di anni, sbarazzata la sua poesia dalle fronde e dai fronzoli, rileggiamo qualcuno di quei versi senza il peso del contesto.
Lasciamo da parte la parafrasi scolastica, la ricerca del codice ermetico e le metafore troppo precise. Dimentichiamo anche la posa dell'autore, austero, malinconico, triste nel rimpianto un po' barbante. Resta la musica di un verso che, per un istante ferma il correre del tempo.
E chissà, forse ci ricorda qualche personalissima Tindari.
VENTO A TINDARI.
Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
morte d’anima

A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.

mercoledì 9 maggio 2012

Valle Tamantina aprile 2012

Siamo arrivati sotto la pioggia, accolti a braccia aperte, con il sorriso dei nostri ospiti, un bicchiere di vino e i buoni biscotti fatti in casa. 
È stato piacevole accendere il camino. L'odore della legna e lo scoppiettare del fuoco scacciano rapidamente l'umidità della sera. 

Pioverà ancora durante la notte ma poi la mattina sarà illuminata da un bel sole che ci scalderà per quasi tutta una settimana.
Tra gli alberi della fitta pineta gli uccelli si scambiano messaggi con gridi perentori. 
I prati sono di un verde splendente, puntecchiato qua e là da macchie di fiori.
Una bella passeggiata si allunga tra le colline tra gli antichi borghi di Bevagna. Da Castelbuono a Limigiano, tra ulivi e vigne è un'esposizione di sculture monumentali. 
Ma la vera attrazione è questo bel panorama, limpido nell'aria lavata dalla pioggia notturna.