La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 27 ottobre 2012

Mario Luzi: da Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini

Costa dei trabucchi
Stasi - morta l’immagine,
a picco, in se medesima. A piombo
caduta la visione, decomposta in brani,
esatta l’insolazione.
Occhio verde del fiume -
è luglio - tra il fogliame;
vetro pigro-fluente,
verde, verde liquame.
Canne, erba, muschio, fiume,
verderame, verde quasi bitume.
Specchio di chiari cieli,
dov’è radura, di nubi.
Delizia nello stare,
pigrizia nell’andare
dell’acqua, delle creature.
Oh estate, minima stazione
d’immensa verità. Nume.
 

domenica 14 ottobre 2012

Castel del Monte: passeggiata notturna


Fu sul colle oggi detto appunto della battaglia che l'esercito romano, condotto dal console Bruto Sceva, sconfisse i Vestini. Erano le terre di Aufinum, l'attuale Ofena. (Gli archeologi hanno rinvenuto i resti di un insediamento con tre cinte murarie e lo hanno chiamato per questo Città delle tre corone). Poi questo borgo fortificato venne abbandonato.
La Storia racconta che, a poche centinaia di metri, mille anni dopo, alla fine del X secolo gli abitanti di Marcianisci, un villaggio formatosi nei pressi della chiesa di San Marco, nell'omonima piana, decisero di abbandonare le loro case per rifugiarsi in luoghi più sicuri. Troppo frequenti erano le scorrerie dei barbari si dice. In un primo tempo si spostarono di poco, sulle pendici di un altro modesto colle lì vicino. Pensavano forse, che la posizione fosse più facile da proteggere. Ma la precauzione non fu più sufficiente nel secolo successivo e anche queste abitazioni furono abbandonate. Gli abitanti si allontanarono. Alcuni salirono sul monte dove poi sarà costruita la rocca di Calascio, altri risalirono le pendici sul lato nord della valle, dove costruirono un borgo fortificato, il Ricetto, primo nucleo del paese di Castel del Monte.
Se questo racconto è vero, o almeno verosimile, nessuno sa però perchè quegli antichi abitanti decisero di separarsi. Chissà come avvenne questa prima, anche se breve, migrazione? Parenti, amici, vicini? Perché ci fu chi salì su un colle e chi su un altro? Seppur non enorme, la distanza tra i due gruppi era notevole. Perché lasciare così, senza motivo, la gente con cui si era vissuto fino ad allora. Quale disaccordo li spinse a dividersi? 
Nel silenzio della sera il paese appare deserto. La luce dei lampioni illumina di un tono caldo il selciato e i muri di pietra. 
Il vento fa cigolare un'imposta che, ad una raffica un po' più forte sbatte con un colpo secco. Un gatto sguscia rapidamente dalla porta vuota di una casa abbandonata e si perde tra le stradine. 
Più che durante il giorno, gli scorci sembrano appartenere ad un tempo indefinito; le ombre cancellano i dettagli della modernità; riportano il borgo al momento della sua costruzione, quando, pietra su pietra, a partire dalla sommità del colle, si costruì questo groviglio di abitazioni, una addossata all'altra, con intrichi di viuzze e passaggi ad arco, a copiare il declivio del monte.
Solo la voce di televisore acceso, per un attimo, ci riporta nel presente, con il suo dialogo incongruo, caratteristico nella sua inetta banalità.
Nella parte più bassa del paese la facciata della chiesa, più chiara, è una larga vela su un lato della piazzetta. Al centro di quest'ultima, come un monumento, sta un pozzo in pietra. 
Su uno dei lati della piazza, un muretto fa da balcone sulla valle. La valle di San Marco è nel buio.Le luci di un paese lontano luccicano come ad intermittenza. 
Sotto le mura, in basso, il boschetto freme nel vento e si colora a tratti in macchie più chiare.
Siamo in estate ma l'aria e fresca e qualcuno ha acceso un camino. 
Un odore di fumo e di resina si infila sotto l'arcata dello sporto e si mescola a quelli della legna accatastata al riparo e dell'umidità del muro.
Percorriamo le lunghe scalinate che hanno visto passare secoli e generazioni di montanari. Ad uno slargo, il personaggio del monumento all'emigrante con la sua valigia in bronzo è ancora pronto a partire.

giovedì 4 ottobre 2012

Attorno al monte Capo di Serre

Un'iscrizione, all'interno della chiesa parrocchiale di Castel del Monte, cita un'altra chiesa, dedicata a Sant'Angelo presente sul territorio. Ma nessuno sa se effettivamente, in passato, l'edificio esistesse veramente. Oggi solo un'edicola, eretta nella parte più orientale del paese fuori le mura, conosciuta con questo nome, invita il passeggero ad una sosta e alla preghiera.
Monte Capo di Serre
Qui la strada, abbandonate le ultime case, si trasforma in mulattiera e si inerpica verso le pendici di monte Capo di Serre (1771 metri) e il valico omonimo. È il cammino verso il versante pescarese del Gran Sasso: verso il Voltigno, le terre di Carpineto della Nora, Villa Celiera. Una larga enclave tra il territorio casteldelmontese e quello di Villa Santa Lucia appartiene però al comune di Ofena, situato molto più in basso nella valle del Tirino.
Dopo circa un chilometro, la mulattiera, ormai quasi sentiero, biforca. Prendendo a destra si scende verso la valle e si arriva rapidamente ad un antico fontanile in pietra, ormai asciutto: lo Stincone. 
La fonte dello Stincone
Oggi abbandonata, la sorgente era nel passato un punto d'acqua importante, vicino ai campi seminati della valletta.
Dall'altro lato del bivio, la via sale verso il valico per raggiungere rapidamente e sfiorare sulla sella la strada asfaltata che va verso Capo Imperatore.
Castel del Monte dalla cresta del monte
Per salire sul monte conviene però lasciare il sentiero un centinaio di metri prima della strada e piegare a destra continuando a salire, senza via segnata, in un largo passaggio tra gli alberi della pineta. 
Giunti su un primo colle (sotto di noi è la valle del Tirino) si segue tra i mughi la cresta verso sinistra fino alla vetta di Capo di Serre. 
Sul versante opposto: la Vallestrina e, a destra il monte Meta
Bel panorama da una parte sulla zona orientale di Campo Imperatore, dall'altra verso la valle del Tirino.
Scendendo verso la Vallestrina
La faggeta attraversata
Dal lato opposto si scende verso la Vallestrina, attraversando una faggeta. Di fronte è la punta di monte Meta (1784metri).
Attraversiamo la valletta fino a ritrovare la carrareccia che, salendo dal rifugio Ricotta, continua verso est.
"Coppi del Pacino"
La seguiamo per un tratto ma verso sinistra, per poi attraversare il pianoro del Pacino, e risalire verso Capo la Serra. Aggirato il monte, scendiamo verso il paese, ritrovando la via dell'andata.
Il percorso in verden verde