La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



mercoledì 13 febbraio 2013

Gran Sasso: Valle Caterina

Ecco un appunto inattuale, una passeggiata estiva raccontata nel febbraio gelato.

Mese d'agosto. Un'atmosfera prealpina in questo angolo del massiccio del Gran Sasso. 
Le alte cime chiudono, possenti, il panorama al di là della conca di Campo Imperatore ma qui le creste sono più arrotondate, solo il monte Meta ripropone una, pur modesta, piramide rocciosa. 
I prati sono di un bel verde e la pineta copre, con un tono più cupo la china del colle.

Vicino, più vasta, la faggeta brilla di mille sfumature e si distende verso la valle sottostante. 
Un vento tiepido, venuto dal mare risale le colline del versante pescarese, facendo cantare gli alberi. La luce dell'estate penetra a tratti i fitti rami con chiazze di giallo tra le più vaste ombre.

Lo spesso strato di foglie che macera nel sottobosco spande un odore di humus, mentre al sole, le fioriture attirano sciami di insetti. 
Questo scorcio di montagna appare meno rude e severo accanto al massiccio roccioso e della piana sterminata che si distende verso ovest. 
Angoli gradevoli e attraenti catturano lo sguardo e invitano ad una pausa; quando il vento si ferma il cicalare degli uccelli riempie il silenzio.
 

domenica 3 febbraio 2013

Calascio (AQ)

Dai campi di Castelvecchio Calvisio la strada sale rapidamente, in pochi tornanti, verso Calascio. 
Dal basso il paese appare a mezzacosta, sovrastato dai ruderi del borgo di Rocca Calascio e dall'inconfondibile sagoma del suo bastione. 
Calascio e Rocca Calascio erano due paesi distinti e lo sono restati fino al 1915 quando l'ennesimo terremoto scaccio' quasi tutti gli abitanti di Rocca che si trasferirono nel paese sottostante.
Calascio troppo spesso dimenticato. Da chi sale alla celebre rocca senza fermarsi, chi va verso Castel del Monte e Campo Imperatore, chi si ferma a Santo Stefano di Sessanio. 
Il paesino vive tranquillo le sue stagioni, sempre più abbandonato in inverno (nel 2011 gli abitanti non erano ormai che 137), con un sussulto di vitalità nel mese di agosto quando il bar Vittoria e la sagra del pecorino animano la vita paesana.
 Il bar è accanto alla piazza nuova, scavata nella montagna. Voluta per dare uno spazio alle feste e al mercato, con il suo stile parcheggio di supermercanto non è, purtroppo, una riuscita.
Ma basta addentrarsi tra le viuzze del borgo per scoprire il fascino, sobrio ma sincero, del posto. 

Begli scorci di palazzine, bifore ricamate e portali monumentali, reduci dei tempi ricchi delle famiglie Frasca e Chiola, vicino a modeste casette dai giardini incolti in cui erbe e fiori selvatici si scapricciano in forme variopinte.
 Nell'ufficio postale in miniatura, ricavato in una stanzetta di una casa d'angolo, l'impiegata si occupa dei clienti dietro un minuscolo bancone. Alla sua destra, al di là di una finestra, il panorama si dispiega verso la valle. Poco lontano dalla Posta, su uno spiazzo, una bambina, futuro muratore, gioca da sola e si gira sorpresa quando passiamo. 
 Anche un cagnolino si affaccia al loggiato e ci osserva incuriosito: passanti non sono molto numerosi.