La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



lunedì 27 maggio 2013

Chartres : la Cattedrale

A Chartres, uscendo dalla piazzetta spazzata, con qualsiasi tempo, dal ringhioso vento delle piane, una dolcissima ventata di cantina, attenuata da un profumo fiacco e quasi soffocato d'olio, vi soffia sul viso quando si penetra nelle solenni tenebre della tiepida foresta.
Durtal lo conosceva quel delizioso momento in cui si riprende fiato, ancora storditi dal brusco passaggio da una brezza sferzante ad una vellutata carezza d'aria. Ogni mattina, alle cinque, lasciava la sua casa e, per arrivare nello strano sottobosco, doveva attraversare quella piazza; e come sempre, la stessa gente appariva all'imbocco delle stesse vie; suore con il capo chino, curve, con il velo rialzato, come battendo le ali, mentre il vento si infilava tra le gonne tenute a fatica; poi, piegate in due, donne raggrinzite nei loro vestiti, stringendoseli addosso, avanzavano, con la schiena curva, frustate dalle raffiche. Joris-Karl Huysmans: La Cattedrale

Sono le colonne della cattedrale di Chartres gli alberi delle tiepida foresta di cui parla Huysmans.
Oggi però l'aria è calma e la temperatura primaverile. Qualche nuvola corre nel cielo ma molto lontano. Delle suore nessuna traccia. Il sole ha invitato qualche passante a sedersi ai tavoli del caffé che occupano un lato della via pedonale. Un furgoncino si ferma all'ingresso della via; il passaggio è bloccato da invalicabili paracarri retrattili in metallo. Un citofono mette in contatto l'autista con chi potrebbe abbassarli. L'uomo spiega che deve consegnare delle casse di vino ma sembra che il motivo non sia sufficiente. I cippi restano perentoriamente eretti e il furgoncino deve fare marcia indietro; alla guida un autista dallo sguardo stizzito.

Da lontano la cattedrale appare imponente al centro della cittadina. Situata su una piccola elevazione, la sua massa incombe sulle case di ciò che resta del quartiere medievale. Si dice che la collina, massiccio blocco di granito, fosse già nell'antichità luogo di culto per i popoli celti e sembra che la prima cattedrale gallo-romana risalisse al IV secolo; ma non sono che teorie perché in realtà di quegli edifici non ci sono tracce.

Colpisce a prima vista l'asimmetria della costruzione. A destra una guglia con un semplice tetto ottogonale, appuntito come si deve, fino ai 103 metri di altezza. Si salvò dall'incendio che nel 1194 distrusse quasi interamente la chiesa romanica.
Fu in quell'anno che si decise di ricostruirla in stile gotico. Le nuove concezioni architetturali e filosifiche volevano che lo spazio sacro non fosse più ridotto nella penombra di spesse mura ma che esso fosse pronto ad accogliere la luce, legame simbolico entro l'uomo e dio. 
A sinistra l'alzata della torre è del XIII secolo mentre la guglia, in gotico fiammeggiante, risale al XVI, ed è l'opera di un artista della regione, Jehan de Beauce. Siamo nella Beauce in effetti, prospera regione agricola a sud di Parigi, vero e proprio granaio della Francia, i cui ricchi proprietari sono molto più imprenditori che contadini. Una ricchezza che certamente spiega la presenza di un simile monumento. 
Lo scultore Auguste Rodin lo definì, con un'immagine senza dubbio appropriata, «l'acropoli della Francia». 176 vetrate, 9 portali, innumerevoli scene sacre e personaggi scolpiti sulle facciate e nel coro. 
Se l'opera di Proust è una cattedrale di parole, la chiesa di Chartres è una vera e propria bibbia di pietra e vetro tante sono le storie raccontate sui suoi muri e sulle sue vetrate.
L'edificio è un cantiere permanente (anche oggi l'interno è occupato da impalcature) che nei secoli ha visto, oltre ai restauri, nuove costruzioni aggiungersi o modificare le precedenti. 
Al centro della navata, vicino all'ingresso principale, le lastre del pavimento disegnano un labirinto del diametro di 12 metri. Labirinto antichissimo, che risale alla precedente cattedrale romanica e nel quale è impossibile sbagliare strada perché ha un solo percorso che porta (dopo più di 260 metri) alla rosa centrale. 

Molte sono le interpretazioni sul valore simbolico di questo labirinto: cammino dell'uomo verso dio, pellegrinaggio di ripiego per coloro che non potevano farlo realmente, percorso meditativo di preghiera...Fino al più pragmatico canonico Souchet che nel XVII secolo non vi vedeva che un diverimento per sciocchi, sul quale chi non ha niente di meglio da fare perde tempo a correre e a girare.
Ancora ai giorni nostri è possibile fare l'esperienza del labirinto ma bisogna aspettare il venerdì, quando le sedie che di solito occupano la navata sono tolte apposta.

sabato 18 maggio 2013

Dalle parti di Proust

Nogent-le-Rotrou è una cittadina di provincia, sous-prefecture come dicono i francesi, mettendo nella definizione un po' di sufficienza. L'immancabile centro commerciale accoglie il viaggiatore, poi ampie piazze trasformate in parcheggi e viali alberati occupati nell'ora serale da stormi di cornacchie gracidanti. Non è un luogo sgradevole ma nemmeno molto animato se non nella breve via pedonale nella quale sembrano concentrarsi quasi tutti i negozi cittadini.
Sulla vetrina di una panetteria un manifestino invita ad una conferenza su Marcel Proust.
L'occasione è il centenario del primo libro de Alla Ricerca del tempo perduto: Dalla parte di Swann, pubblicato infatti nel 1913, e la conferenza è organizzata dalla Società degli amici di Marcel Proust e degli amici di Combray.
Combray è, nel romanzo, il nome del borgo in cui si svolgono le «avventure» del giovane protagonista in vacanza. Il vero nome del paese, dove si può oggi visitare la casa della zia Léonie, è Illiers, anzi era perché, caso più unico che raro, dopo la morte dello scrittore, il borgo è stato ribattezzato Illiers-Combray, assumendo il nome fittizio che gli aveva dato lo scrittore.
Illiers-Combray si trova ad una trentina di chilometri da qui ed è anche per questo che la conferenza si svolge a Nogent.
Nella salle des fêtes comunale, (sala polivalente immancabile in ogni comune francese) il pubblico è abbastanza numeroso. Molti sembrano conoscersi (senz'altro amici dell'associazione). Prima della conferenza la presidente ricorda le prossime iniziative: Visita alla casa di Zia Léonie, nella quale Proust abitò, proiezione di un film, cena al ristorante Les aubepines (il famoso biancospino del romanzo)...
Poi lascia la parola alla studiosa che ci parla delle vicissitudini inerenti la scrittura e la pubblicazione dell'opera di cui si festeggia l'anniversario.
Un'opera davvero fuori dal comune quella di Proust. Definita opera cattedrale proprio perché il contenuto è nella stessa struttura, nei muri, nelle colonne, nelle nicchie e nelle guglie. Un'opera divisa in molti volumi per esigenze editoriali ma che l'autore avrebbe voluto vedere pubblicata in un solo libro.
Centinaia di pagine di fitta scrittura, risultato di ore ed ore di lavoro solitario in una stanza chiusa a tutte le voci del mondo, con le pareti tappezzate di sughero per attenuare i rumori della strada. La Ricerca è un romanzo di cui Proust scrive dapprima l'inizio e la fine, romanzo che poi si dilata a poco a poco, si amplifica dall'interno con ramificazioni e aggiunte che ne accrescono il corpo fino ad un risultato eccezionale, e non solo per la lunghezza. Anche materialmente lo scrittore ha dovuto trovare un sistema per poter integrare le sue aggiunte. Dopo aver riempito i margini del quaderno, quando ormai non aveva più spazio, incollava sui bordi dei pezzi di carta (les paperoles) che poi ripiegava dopo averli riempiti di scrittura. Non stupisce del tutto il fatto che il primo manoscritto presentato all'editore fosse rifiutato costringendo l'autore a pubblicarlo a sue spese.
I sette libri che alla fine compongono questa cattedrale hanno una concezione unitaria che solo dopo la lettura dell'ultimo, Il tempo ritrovato, appare evidente. Anche per questo alla pubblicazione dei primi volumi, molti critici rimasero sconcertati e non riuscirono a capire il senso dell'opera. Chi è questo scrittore che per pagine e pagine ci parla delle sue giornate, che ci racconta nei minimi dettagli gli avvenimenti della sua fanciullezza, le sue avventure che poi avventure non sono perché fatte di mille banalità insignificanti? Come ad esempio quel biscottino immerso nel té (la famosa madeleine) che innesca il flusso dei ricordi e mette in modo un processo che sembra non finire mai. Frasi lunghissime, al punto da diventate proverbiali, con incisi che si inseguono, si intrecciano, si annodano e ne dilatano la forma.
Al termine di Settecentododici pagine di questo manoscritto (almeno settecentododici, perché molte pagine hanno un numero ornato di un bis, ter, quater, quinque), dopo l'immensa desolazione che si prova nel sentirsi annegare in insondabili sviluppi e l'esasperante impazienza di non poter riemergerne, non si ha alcuna, alcuna nozione di ciò di cui si tratta. A che cosa serve tutto ciò? Che cosa significa? Dove ci porta? Impossibile saperlo! Impossibile poterlo dire! Così scrive, un po' esasperato in effetti, nel suo rapporto il critico che lavorava per l'editore a cui Proust aveva presentato il manoscritto. 
Ma, senza intaccare il carattere unitario del racconto, tutte le aggiunte non disperdono la narrazione anzi ne cuciono i lembi e ne stringono i legami.
Come dice Jean-Yves Tadié che ha curato l'edizione critica della Recherche per l'editore Gallimard:
I fatti non immediatamente spiegati, i segreti o i misteri dei personaggi, un narratore impenetrabile a se stesso, il ritorno dei temi, le ripetizioni, lo svelarsi progressivo, tutti procedimenti tecnici che sono il riflesso dell'interrogazione centrale. E questa interrogazione, il principio attorno al quale si struttura l'opera, è quella che ruota attorno all'analisi e all'approfondimento della vocazione di scrittore: la Ricerca è dunque l'apprendistato con il quale Proust diventa scrittore.

Ma avevo un bel sostare davanti ai biancospini a respirare, a portare dinanzi al mio pensiero, che non sapeva cosa dovesse farne, a perdere e ritrovare  il loro profumo invisibile e persistente, a unirmi al ritmo che lanciava qua e là i loro fiori, con giovanile allegrezza e a intervalli inattesi come certe pause musicali; essi mi offrivano indefinitamente lo stesso incanto con una profusione inesauribile, ma senza lasciarmelo approfondire ulteriormente, come quelle melodie che si possono suonare cento volte di seguito senza penetrare più intimamente nel loro segreto. Me ne allontanavo un momento, per accostarmene poi con forze più fresche. Inseguivo fin sulla scarpata che, dietro la siepe, si inerpicava, in ripido pendio verso i campi, qualche papavero sperduto, qualche fiordaliso rimasto pigramente indietro, che l'ornavano qua e là con i loro fiori come l'orlo di un arazzo in cui appare appena accennato il motivo agreste che trionferà nel centro; rari ancora, distanziati come le case isolate che annunciano già l’approssimarsi di un paese, essi mi avvertivano dell’immensa distesa dove dilagano le messi, dove si accavallano le nubi, e la vista di un solo papavero che innalzava in cima al suo cordame e dava alla sferza del vento la sua fiamma rossa, al di sopra della sua boa untuosa e nera, mi faceva battere il cuore, allo stesso modo del viaggiatore che scorge sulla spiaggia una prima barca arenata che un calafato sta riparando, ed esclama, prima ancora di averlo visto: «Il Mare!».
Marcel  Proust:  Dalla  parte di  Swann

sabato 11 maggio 2013

Normandia : Il Perche 2

Le nostre escursioni ci portano tra umide vallette e colline soleggiate. I fringuelli e i merli cantano nella bella giornata di sole, ogni tanto accompagnati dal trattore che passa e ripassa nei campi da seminare. Ci fermiamo un attimo per verificare la direzione. Un vecchio signore che ha l'aria di annoiarsi davanti a casa ci chiede cosa stiamo cercando e ci propone di aiutarci. Ci indica la via spiegandoci i nomi e i luoghi poi ci guarda allontanarci quasi deluso per una conversazione troppo breve.
Come tutte le altre province storiche francesi, dopo la Rivoluzione anche il Perche fu smembrato per evitare il risorgere di particolarismi regionali e per favorire il potere centrale repubblicano.
Il suo territorio si estende quindi su due regioni (la Bassa Normandia e il Centro) e su quattro dipartimenti, principalmente su quello dell'Orne e dell'Eure-et-Loir. Qui si trovano le due antiche capitali della contea: Mortagne-du-Perche che ha conservato intatti molti bei palazzi e belle chiese e Nogent-le-Rotrou con il suo caratteristico castello medievale incombente sulla cittadina.
In posizione di confine tra il regno di Francia e quello di Normandia, il Perche ebbe nel passato una posizione strategica importante. Furono costruite molte fortificazioni e durante il periodo rinascimentale, molti signorotti locali vollero il loro castello, segno di ricchezza e di prestigio. 
Un patrimonio architetturale ancora presente e ben conservato, spesso diventato proprietà dei signorotti dei tempi moderni, avvocati d'affari, professori universitari, dottori emeriti. 
Continuiamo il nostro divagare e ci dirigiamo verso le beau chêne que vous ne pouvez pas rater (la bella quercia  impossibile da mancare), descritta nella nostra guida, che ci indica il cammino verso Saint-Cyr-la-Rosière un piccolissimo paesino nato attorno all'antico priorato di Santa Gauburge.  L'albero è in effetti visibile da lontano, imponente e isolato al centro del pianoro coltivato.
Poco lontano  un altro esemplare, ugualmente maestoso, giace ormai morto e sembra levare verso il cielo i rami ormai secchi.
Entriamo a Saint-Cyr arrivando con il sentiero direttamente nel cortile di una fattoria. Così dovevano essere gli ingressi nei paesi prima dell'arrivo dell'asfalto. I muri di pietra hanno pochissime finestre, gli edifici assomigliano più a fortificazioni che ad aziende agricole. 
Poco lontano, dietro i grandi tetti rossi, spunta la massiccia torre campanaria della chiesa. Il priorato fu fondato dopo l'anno mille da un signore locale e poi affidato ad un'abbazia della regione: St Florentin de Bonneval poi Saints-Pères de Chartres, infine l'abbaye royale de Saint Denis.
I priorati erano nel medioevo delle sorta di case coloniche, gestite da monaci incaricati di amministrarne le proprietà per conto dell'abbazia. In seguito la Chiesa volle riunire i monaci troppo isolati sul territorio e i priorati si trasformarono in semplici aziende agricole.

Il passaggio di un'automobile ci riporta al XXI secolo. 
Le belle siepi del bocage profumano di rose e di biancospino, i meli mostrano le loro rigogliose fioriture ma non manca l'odore meno poetico ma nemmeno poi tanto sgradevole dalla stalla vicina. Il prato davanti alla chiesa è di un verde smagliante e un piccolo gregge di pecore bruca tranquillamente al sole che ora picchia forte.

sabato 4 maggio 2013

Normandia: Il Perche

Famosa per la razza di cavalli da tiro percherons che da essa prende il nome il Perche è una regione collinare nella parte più a sud della Normandia.

Il dipartimento è l'Orne e la città principale è Alençon. Città per modo di dire perché la zona è soprattutto rurale. 
I boschi si alternano alle fattorie (les fermes) e ai pascoli. Arriviamo nel paesino di Préaux-du-Perche, préaux vorrebbe dire «praticello». Case in pietra attorno ad un'antica chiesetta con a fianco il tradizionale munumento ai caduti. 
Per le strade non c'è quasi nessuno. Solo ai tavoli dell'unico bar, qualche persona discute bevendo birra o una famosa acqua minerale che (più cara della birra) fa tanto chic. Siamo ad un centinaio di chilometri da Parigi e gli abitanti della capitale hanno portato fin qui le loro strane usanze.
Poco lontano dal paese troviamo la nostra meta.

Siamo i un vero agriturismo. La signora che ci accoglie arriva un po' in ritardo perché stava mungendo le mucche. Il marito sta seminando il granturco, approfittando del giorno di sole, il primo di una primavera fredda e piovosa. 
Deve finire il lavoro in fretta perché il macchinario, troppo caro per un solo agricoltore, è stato comprato in società con altri contadini e deve servire a tutti. Ieri è restato sul trattore fino alla dieci di sera, lavorando con i fari accesi.

La cascina è una bella costruzione tradizionale, con intelaiatura a traliccio, risalente al XIV secolo.

La nostra stanzetta ha una finestra che dà sulle colline; nel prato sottostante pascola qualche mucca.

La mattina, prima che il sole si alzi, la bruma nasconde le vallette, poi l'aria si riscalda rapidamente e ci invita ad una camminata tra le colline.

I sentieri passano tra prati recintati, piccole mandrie pascolano qua e là e quando ci fermiamo, le mucche accorrono incuriosite. 
Ascoltiamo il silenzio della vasta campagna, interrotto ogni tanto dal rumore di un trattore all'opera. La via si allunga in saliscendi con bei panorami. 
Le fattorie sono sparse, lontane le une dalle altre. Alcune sono state trasformate in residenze secondarie e si distinguono per l'aspetto pulitino che contrasta un po' con quello delle cascine in attività.