La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 31 ottobre 2015

Provenza : Montjoux

Non è solo chi può toccare una bestia o un albero, o avvicinare gli occhi alla nebbia azzurra o al sole; chi può essere fontana o ruscello, secondo la fantasia del rumore dell'acqua e chi come essa può scorrere con il riflesso di tutti i cieli. Non è solo chi ha il gusto per il giorno. Chi ha un naso, una bocca, degli occhi, delle orecchie, una buona carne animale. Tutto gli fa compagnia. Ci sono gioie piene che passano nell'aria come pesci infiammati.
Jean Giono: “La fine della strada”
Abbandoniamo l'auto dietro una chiesa, in una piazzetta limitata da due case in pietra e da un muro sul quale un grosso cane passeggia su e giù, - forse cercando il modo per scendere - , e ci guarda incuriosito.

Una passeggiata tra i boschi di Monjoux. Siamo sempre nella Drôme provenzale anche se il paesaggio non assomiglia alla Provenza delle cartoline; a noi fa pensare piuttosto l'Appennino magari tra Toscana e Emilia.
Solo qualche campo di lavanda, ormai senza fiori, ricorda i segni della regione. Monjoux è un altro paesino appartato, non molto lontano da Comps, minuscolo e silenzioso; abitato da un centinaio di persone o poco più. In questa mattina d'autunno le imposte sono quasi tutte chiuse e solo l'auto del postino si infila tra le poche case.
Una bella mulattiera risale dolcemente il pendio parallela ad un ruscello che scorre rumoroso nel fosso.
La via si allunga dritta tra gli alberi, solo alcune case in pietra, abbandonate o con qualche segno di presenza umana, animano il percorso.
Querce, faggi, frassini e pini si mescolano dando ciascuno una sfumatura particolare alla composizione autunnale.
Da lontano la composizione si colora in punteggiati tratti da pittura divisionista. Non sono molte le aperture tra gli alberi, solo più in alto (il passo è a 650 metri di quota) il paesaggio si apre verso la valle da cui siamo partiti.
Qualche campo coltivato, altri già arati, prati ancora verdi.

Pochi gli incontri, solo qualche scoiattolo che attraversa rapidamente il sentiero. I monti sono quelli delle Prealpi, non superano i 1300 metri e anche sulla cima sono completamente coperti di boschi.
È un percorso meditativo e, dopo aver abbandonato più a valle il ruscello, molto silenzioso. Anche gli uccelli si fanno discreti e solo qua e là commentano e discutono.
Arrivato sul passo, il sentiero piega sul fianco del monte e poi comincia a scendere nella valle parallela a quella salita.
Arriviamo ad un'altro minuscolo borgo, anch'esso tranquillo e silenzioso.
Lo attraversiamo senza incontrare nessuno.


martedì 27 ottobre 2015

Provenza : Comps

Non c'è un vero e proprio paese a Comps. Il comune è composto da gruppetti di case, piccoli villaggi sparsi qua e là sulle alte colline, quasi montagne, che formano il territorio.
Nel periodo di massimo sviluppo, un paio di secoli fa, gli abitanti erano più di 400, attualmente ne restano circa 150.
Il territorio è stato un luogo di transito, conosciuto già dai romani.
I resti più antichi di una struttura difensiva, - una motta castrale - costruita per proteggersi da eventuali attacchi risalgono all'anno Mille.
All'epoca del Sacro Romano Impero Germanico, Comps divenne una sede amministrativa relativamente importante e i signori del luogo furono delle figure conosciute che si distinsero partecipando alle crociate nell'ordine ospedaliero di Gerusalemme.
Siamo nel dipartimento della Drôme e più precisamente nella sua parte più meridionale, quella detta provenzale anche se ancora nella regione Rodano-Alpi. Storicamente sono le terre del Delfinato, ridisegnate amministrativamente quando la Rivoluzione volle cancellare le vecchie suddivisioni di origine feudale.
Arriviamo su queste terre risalendo una strada tra querce faggi e pini, fino ad un'ampia distesa di colli con grandi prati ancora di un verde splendente nell'autunno inoltrato.
Il maestrale che ha soffiato a lungo in questi ultimi giorni, ha lasciato un cielo brillante e limpido. Le sfumature rossastre degli alberi sottolineano come in contrappunto l'azzurro dell'aria.
Nel silenzio arriva da lontano il belato del gregge che pascola al sole. Gli animali sono disegnati in un'immobilità apparente come quelli che appaiono a volte nello sfondo naturalista di un quadro rinascimentale.
Sul pendio di uno dei colli, il castello signorile sembra ancora controllare il territorio circostante.

Al centro di questo paesaggio campestre quasi bucolico è la chiesa dei Santi Pietro e Paolo. È un edificio singolare, di stile romanico.
Con la sua pianta quasi quadrata da lontano assomiglia ad un torrione, ma la sua semplicità le conferisce una misteriosa armonia.
In realtà pare che in origine fosse prevista una navata più lunga, tale da completare la classica croce latina, ma poi i lavori furono interrotti, forse per mancanza di fondi e il risultato è stato questo sorprendente edificio, la cui “navata” non supera i quattro metri.
In una magnifica solitudine su un colle allungato come un promontorio nella valle, la chiesa corona lo spendido paesaggio.
I muri massicci di pietra grigia e la torre campanaria, anch'essa incompleta, le semplicissime decorazioni e anche il minuscolo cimitero, compongono un quadro sorprendente e affascinante.