La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



venerdì 28 dicembre 2018

Abruzzo

Eremo di San Bartolomeo in Legio

Castello di Balsorano

Civitella del Tronto

Campo Imperatore

Eremo di Santo Spirito a Maiella

Castelvecchio Calvisio

Villalago

Penne

Capestrano

Scanno

Santuario di San Domenico Villalago

Castrovalva

Eremo di Sant'Onofrio al Morrone

La Maiella

Il Velino

Alba Fucens

Roccacasale

Eremo di Sant'Angelo

Abbazia San Giovanni in Venere

Sulmona

Pettorano sul Gizio

Calascio

Città delle Tre Corone, Castel del Monte

Bominaco

Pagliara di Tione

Fara San Martino, le gole

Peltuinum, Prata d'Ansidonia

Pietracamela


La Rocca di Calascio

Eremo di San Venanzio

domenica 2 dicembre 2018

Il Delfinato 4, viaggio nel tempo

Scesi da Saint May riprendiamo la strada che, risalendo la gola, segue il corso dell’Oule. Il cielo si è coperto e le nuvole basse si adagiano sui pendii delle montagne. Dopo un ponte attraversiamo Rémuzat, il paese che avevamo osservato dall’alto quando eravamo sull’altipiano.
Una ampia piazza con molti bei platani e un gruppo di ragazzi che sembra annoiarsi. Non incontriamo nessun altro, il borgo non è molto animato. Dopo Rémuzat ci fermiamo brevemente in un altro paesino: La Motte Chalancon. Ben esposto a sud La Motte attira in estate molti turisti “qui si cammina a gomitate” dice una donna.
Oggi c’è un minuscolo mercatino con tre ortolani e un venditore di formaggi. Gli operai comunali sono impegnati nella potatura degli alti platani che anche qui sono numerosi. Nonostante il “fuori stagione” che lascia vuote e chiuse le molte residenze secondarie, il borgo è piacevole e attraente. Ancora qualche chilometro ed eccoci a La Charce, un comune di 34 abitanti.
Le insegne di un ristorante e di un albergo, dipinte sui muri sono, almeno oggi, i soli residui di una passata vitalità. Il borgo sembra deserto, solo qualche automobile parcheggiata ci lascia dedurre qualche presenza.
Il borgo è disteso sul fianco di una collina e sul punto più alto un antico castello domina i dintorni. Nelle vicinanze un sito geologico attira specialisti e curiosi.
Molto didattico, il luogo racconta della Pangea, il megacontinente primitivo che includeva tutte le terre emerse e che comincia a separarsi 240 milioni di anni fa. La crosta terrestre si muove e deriva dando a poco a poco ai continenti la forma che hanno attualmente.
Secondo alcuni studiosi, il fulcro di questa separazione si trova qui, tra le Alpi e la Provenza. Quando, 65 milioni di anni fa la spinta provenzale prese a schiacciare le terre contro il blocco alpino, qui nelle Baronnies il paesaggio cambia.
Le larghe valli lasciano il posto a gole strette, falesie, creste e picchi. Le montagne non sono molto elevate, superano raramente i 1500 metri, ma varie e frastagliate. La fossa Voconziana tra il massiccio del Vercors e le Cevennes comincia a riempirsi di detriti, una massa di terra nera (la marna) che formerà uno spessore di 3 chilometri. Oggi queste terre, erose dalle acque, sono visibili con la loro struttura “a dorso di elefante”. Il loro colore grigio scuro è dovuto alla massa di materie organiche depositatesi in un ambiente privo di ossigeno. Più recenti sono le “pieghe” che hanno portato in superficie e messo in luce i differenti strati formatisi nel corso delle ere geologiche.
Ogni strato, oggi qui visibile in verticale, è il risultato di 20000 anni di tempo.
Con qualche passo risaliamo le ere geologiche sempre più nelle profondità del tempo.