Quando
nel 1928 Antonio Gramsci fu giudicato, dopo quasi due anni di
detenzione, dal tribunale speciale fascista, il pubblico ministero
Isgrò precisò, con una frase rimasta tristemente celebre, il
compito che il regime attribuiva a quel processo: per vent'anni
dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare.
I giudici ubbidirono docilmente condannando l'imputato a vent'anni di
reclusione. Gramsci decise
che per resistere avrebbe dovuto opporsi all'intento del tribunale,
continuando appunto a far funzionare la sua mente per non
sparire come un sasso nell'oceano.
Fu così che, nel carcere di Turi, cominciò la redazione di quei
Quaderni che
diventeranno una delle opere più importanti del
pensiero contemporaneo. Sì, perché ancora oggi, Antonio Gramsci è
uno degli autori italiani più tradotti, letti e studiati nel mondo.
Il crollo del blocco sovietico, la cosiddetta “fine delle
ideologie”, non hanno messo fine a questo interesse anzi, ne hanno
definitivamente mostrato l'originalità e la modernità. Si studia il
suo pensiero in India, in Brasile, in Giappone e in Australia. Può
sorprendere ma negli Stati Uniti Gramsci, con Dante, è uno degli
scrittori italiani considerati essenziali negli studi di
italianistica ma è anche indicato dalla destra reazionaria come un
ideologo ancora pericoloso e capace di ispirare una rivoluzione
sovversiva contro l'America.
La
sua prigionia e la sua morte prematura lasciarono ad altri il compito
di pubblicare ed interpretare i suoi scritti. Il Partito Comunista
volle farne un simbolo dell'ortodossia marxista nella sua lettura più
ligia alla strategia stalinista. Per altri egli era un martire non
solo del fascismo ma anche dello stalinismo che avrebbe preferito far
tacere, o almeno lasciare nell'ombra, un critico troppo scomodo.
Sta
di certo che per Antonio Gramsci il marxismo non è mai stato una
dottrina, una doxa da utilizzare in modo acritico ma piuttosto
uno strumento di analisi della società, capace di dare linee di
interpretazione necessarie ma non sufficienti per la comprensione
della società umana.
Non
a caso, dopo il successo della rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia,
Gramsci aveva scritto per il quotidiano L'Avanti, un
editoriale intitolato: La rivoluzione contro “Il Capitale” (il
libro di Karl Marx) nel quale, rifiutando ogni determinismo storico,
sottolineava che Il Capitale era
in Russia il libro della borghesia e che se si fossero seguite
schematicamente le sue tesi la rivoluzione proletaria non avrebbe
dovuto aver luogo prima di un'evoluzione borghese di tipo
occidentale. I fatti avevano
invece fatto saltare in aria lo schema previsto.
Un
concetto essenziale era per Gramsci quello dell'egemonia
culturale. Analizzando
la situazione italiana egli
pensava che il potere dei
partiti reazionari si
basasse,
più che sulla forza, sulla capacità di controllare gli strumenti
della cultura (intesa in senso molto largo). Per
questo considerava che il compito di un movimento progressista
dovesse essere prima di tutto quello di sottrarre il popolo da questa
egemonia. Da qui nasce il suo interesse per l'analisi e la critica
delle espressioni culturali destinate al popolo e di solito
considerate con un semplice sdegno dal mondo intellettuale.
Tra
il 1916 e il 1918, Antonio Gramsci scrisse una serie di articoli per
l'edizione torinese de L'Avanti.
La rubrica, intitolata Sotto la Mole,
si occupava di fatti di società o di costume, critiche teatrali,
critiche e polemiche editoriali. Sempre
con un linguaggio libero,
spesso ironico, Gramsci
osserva la società torinese e ne svela i meccanismi mentali, propone
delle considerazioni morali che ancora oggi sono di attualità.
Una
raccolta di quegli scritti è stata pubblicata dagli Editori Riuniti
con il titolo: Piove, governo ladro!
L'indifferenza:
È
invero la molla più forte della storia. Ma a rovescio. Ciò che
succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un
atto di valore può generare, non è tutto dovuto all'iniziativa dei
pochi che fanno, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti.
Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che
avvenga, quanto perché la massa dei cittadini abdica alla sua
volontà, e lascia fare, e lascia aggruppare i nodi che poi solo la
spada può tagliare, e lascia salire al potere degli uomini che poi
solo un ammutinamento può rovesciare. La fatalità che sembra
dominare la storia è appunto l'apparenza illusoria di questa
indifferenza, di questo assenteismo. [...]