Forse fu proprio tra questi campi che, il 23 agosto 1268, il sedicenne Corradino di Svevia perse l'ultima battaglia della sua brevissima vita. I francesi di Carlo D'Angiò erano meno numerosi ma finirono per avere il sopravvento grazie a Alard de Valéry che suggerì al suo principe uno stratagemma per sconfiggere l'esercito imperiale. Mentre i tedeschi, credendo di aver vinto, saccheggiavano il campo nemico, Carlo, restato fino ad allora nascosto con 800 cavalieri, piombò sugli avversari sbaragliandoli. Più con l'astuzia (senz'arme) che con la forza dice Dante nel XXVIII canto dell'Inferno.
Bisogna però percorrere ancora più di 4 chilometri per arrivare a Tagliacozzo, paese che ha dato il nome alla battaglia. L'antica via Valeria (proseguimento verso le terre dei Marsi della Tiburtina) è qui un lungo rettilineo.
Tagliacozzo si inepica sul monte Bove restringendosi come il vertice di un triangolo. La montagna è spaccata in due da una profonda fenditura. Sembra che sia questa caratteristica ad aver ispirato il nome del paese.
Più in basso bei palazzi signorili, con un aria di malinconica decadenza, e piazzette animate da villeggianti romani; verso l'alto case più modeste in un ambiente sempre ricco di fascino.
Sotto i balconi fioriti di gerani, il fiume Imele sembra quasi un torrente alpino.
La salita è ripida. A poco a poco si allontanano i rumori. Più si sale più il paese sembra tranquillo e appartato. In alto, fuori dal paese, l'ultimo edificio è la modesta chiesetta del Calvario, un tempo meta di pellegrinaggi.
Nel cortile dell'ex convento francescano |
Il Velino al tramonto |
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