Francesco
Guccini incide nel 1972 nell'album Radici una delle canzoni
(quella che dà il titolo al disco) più riuscite della sua lunga carriera. Sulla copertina la foto color seppia di una famiglia tradizionale, del primo
Novecento forse. Uomini con baffi e panciotto, donne con lunghe gonne
e tutti con l'aria un po' impettita, di chi si è messo in ghingheri
per la fotografia ma che è pronto a tornale al lavoro nei campi. Sul
retro una foto più moderna sulla quale il cantante si mette in scena
con la sua compagna e un gatto. Evidente la volontà di dialogo tra
le due immagini, con ciò che è cambiato e ciò che resta. Perché
il tema del 33 giri, - come si usava qualche tempo fa le canzoni
sono legate da un filo conduttore - è quello delle radici appunto.
È
un tema che da quegli ormai lontani anni Settanta non è passato di
moda, tutt'altro, ma che non è mai facile da affrontare. La
citazione da La luna e i falò, di
Cesare Pavese che, non ha caso, è stata scelta per introdurre questo
spazio di appunti, è emblematica.
L'opposizione, o piuttosto
direi il legame, è tra
la necessità di avere un luogo in cui riconoscere la
propria storia personale e
il bisogno di muoversi è di seguire il fischio del treno
che sera e mattina correva lungo il Belbo facendomi pensare a
meraviglie, alle stazioni e alle città.*
Oggi
tutti cercano le proprie radici necessarie, si dice, per ritrovare
valori che un mondo globalizzato ha fatto scomparire. Radici nella
tradizione popolare, nell'alimentazione, nella musica. Un'idea che è
stata fatta propria dalla cultura cosiddetta alternativa. Così
l'artigianato è osservato con interesse, contrapposto all'industria;
si riscoprono verdure e legumi che erano stati dimenticati; si
riscopre la lentezza come valore positivo opposto alla frenesia del
progresso.
Ma
lo sguardo indietro, verso le radici, può anche diventare
reazionario, riflesso identitario e xenofobo soprattutto quando è
ripiegamento sul territorio e sull'etnia. “La terra non mente”
era uno degli slogan del regime fascista di Vichy. Il contadino è
fonte di saggezza perché più di tutti ancorato allo spazio naturale
in cui vive e che lo fa vivere.
Da
qui il rigetto e il sospetto per chi non ha legami: lo zingaro o il
vagabondo, i senza patria per i quali camminare per il mondo è un
fine e non uno spazio tra due luoghi di vita.
Ma
l'uomo non è una pianta, non ha radici, ha due piedi e due gambe per
camminare e per andare altrove. E
poi nemmeno le piante stanno
ferme, non si legano ad un terreno: il vento, gli uccelli portano i
semi, viaggiano, trovano nuovi spazi**.
*
Cesare Pavese: La luna e i falò.
**Jean-Christophe
Bailly :Le dépaysement