Qui lo “spaesamento” è sicuramente il frutto dalla sensazione di dismisura che si apprezza nel momento in cui un punto di riferimento conosciuto appare sproporzionato rispetto alla vastità dell’ambiente circostante. Questa sensazione è poi accentuata dai suoni, sorprendentemente vicini quando, portati dal vento, che contrastano con la lontananza della loro origine.
giovedì 5 dicembre 2019
Gran Sasso d'Italia, Sella di Fontefredda
È in Abruzzo che è nata l’idea
di un movimento wilderness italiano che avesse come scopo la
salvaguardia dei “luoghi selvaggi” ancora presenti nella
penisola.
E
probabilmente non è un caso. Forse suo malgrado – la regione è
stata ed è ancora un po’ snobbata dal turismo di massa – gli
spazi naturali sono qui numerosi e vari. Ma già nel lontano passato
questa terra era considerata come uno spazio selvaggio e inesplorato.
Da sempre essa ha accolto monaci ed eremiti provenienti anche da
altre regioni e che hanno trovato tra le sue montagne e le sue valli,
soprattutto quelle della Majella, luoghi impervi e solitari nei quali
insediarsi.
È
anche vero che l’ambiente montano, e questo vale in modo più
generale, rappresenta un luogo emblematico per chi cerca spazi
preservati e, se non inesplorati, almeno incontaminati. Chi va in
montagna lo fa spesso e soprattutto per ritrovare quel contatto
diretto con la natura che altrove manca.
L’Abruzzo
è una regione relativamente piccola ma ricca di aree preservate e
non è un caso se molti film ambientati in tempi o continenti lontani
hanno questo territorio come tela di fondo.
Il
massiccio del Gran Sasso, per le sue caratteristiche geografiche e
geologiche, è da questo punto di vista un luogo significativo e
affascinante. Attorno all’imponente roccia del Corno Grande, spazi
vari e multiformi appagano la vista. La piana di Campo Imperatore,
così
isolata, anche visivamente da ogni centro abitato, può
riecheggiare epopee medievali o le ampie praterie americane. Certo le
dimensioni non sono equivalenti e, anche adottando la definizione di
“Piccolo Tibet” che Fosco Maraini trovò
con successo per questo altipiano, non possiamo dimenticare che poca
cosa sono i venti chilometri di lunghezza del Campo confrontati ai
2500 chilometri dell’altopiano tibetano. Ma, anche se la presenza
di una strada asfaltata abbastanza comodamente percorribile, toglie
al sito una parte del suo carattere “selvaggio”, per il
camminatore che vi si avventura è facile provare impressioni ed
emozioni di piacevole meraviglia. (vedi qui)
Qui lo “spaesamento” è sicuramente il frutto dalla sensazione di dismisura che si apprezza nel momento in cui un punto di riferimento conosciuto appare sproporzionato rispetto alla vastità dell’ambiente circostante. Questa sensazione è poi accentuata dai suoni, sorprendentemente vicini quando, portati dal vento, che contrastano con la lontananza della loro origine.
Qui lo “spaesamento” è sicuramente il frutto dalla sensazione di dismisura che si apprezza nel momento in cui un punto di riferimento conosciuto appare sproporzionato rispetto alla vastità dell’ambiente circostante. Questa sensazione è poi accentuata dai suoni, sorprendentemente vicini quando, portati dal vento, che contrastano con la lontananza della loro origine.
Altre
zone sono meno estese e meno immediatamente evidenti ma forse proprio
per questo altrettanto o forse, più suggestive. Il vallone d’Angora
(o d’Angri) per esempio, con la sua vegetazione rigogliosa e la sua
avifauna specifica. Di accesso non facilissimo, la forra nasconde
scorci seducenti per i quali il termine “selvaggio” non è certo
un luogo comune. (vedi qui)
Anche
le pendici del versante sud del monte Prena attraggono per il loro
carattere proprio. Qui è spazio roccioso ricco di pinnacoli, rocce
in bilico e di altre sculture naturali a costituire un ambiente
dolomitico, lunare. (vedi qui)
Io
vorrei suggerire un luogo meno immediatamente spettacolare, forse
perché meno impervio e nascosto: la sella di Fontefredda. L’ampio
valico erboso si scopre salendo la costa tra i monti Tremoggia e
Siella. Il sentiero che sbuca dalla pineta di Fonte Vetica, si
inerpica velocemente anche con stretti tornanti, per poi allungarsi
verso un ampio pratone,
sul quale spesso domina il vento. Si arriva così
alla sella. Per la maggior parte degli escursionisti questo è solo
un passaggio, tra i due versanti della catena montuosa o, più
sovente, per affrontare la salita verso il monte Camicia. Verso
occidente è il grande panettone del monte Tremoggia dal lungo
crinale spesso punteggiato
da
numerose stelle alpine, verso oriente il meno imponente monte Siella.
Un ampio vallone precede l’arrivo sulla cresta. Qui il vento è più
impetuoso, risale dalla costa adriatica, spazza l’erba e fischia.
Occorre
fermarsi più di un attimo, lasciare correre lo sguardo dall'erba più
vicina fino alle creste e poi più lontano, là dove gli altri
massicci montuosi della regione chiudono la vista. Ed è questo
andare e venire dello sguardo, tra il concentrarsi sull'immediata
vicinanza e il perdersi verso l'azzurra
lontananza
a riempire lo spirito.
Chiunque
abbia viaggiato in luoghi selvaggi avrà provato qualcosa del genere,
una fugace, cocente percezione del disinteresse del mondo. In piccole
dosi entusiasma. Provata per intero annichila. (Robert
Macfarlane)
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