La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 9 aprile 2011

John Steinbeck: I pascoli del cielo

Al confine tra Umbria e Marche, la torre di Salmaregia, frazione di Nocera umbra è al centro di una valletta sorprendente. Il silenzio è interrotto dagli uccelli e dall'abbaiare di un cane. Prati e campi coltivati, delimitati da boschi di belle e maestose querce brillano di colori vivi. Un gruppetto di case si aggrappa attorno alla torre, ma non si vede nessuno. Solo la strada asfaltata che attraversa la valle ci dice che il tempo è passato da quando Salmaregia era di guardia tra queste montagne.

È attraversando questa valletta che mi sono venuti in mente, magari con un'associazione d'idee un po' facile e frivola, I pascoli del cielo di John Steinbeck:
I campi si stendevano a grandi scacchi verdi e gialli: era maturo il grano, e le colline dall'altra parte avevano un colore scuro che sfumava nell'azzurrognolo. [...]
Una brezza soffiava su dalla valle, a intermittenze, leggera come il sospiro di un dormiente.
I missionari spagnoli in America non andavano sempre per il sottile quando si trattava di covertire gli indiani. E spesso conversione era sinonimo di manodopera a buon mercato. Così nel 1776, mentre si costruiva una missione carmelitana in California, quando un gruppo di indigeni decise che quel lavoro non faceva per loro e se la diede a gambe, fu inseguito sulle montagne dai soldati spagnoli e riportato al cantiere in catene.
Ma fu in quell'occasione che uno dei soldati, cacciando un cervo, trovò una valle straordinaria:
Una lunga valle si stendeva entro un anello di colline che la proteggevano dalla nebbia e dai venti. Disseminata di querce, era coperta di verde pastura e formicolava di cervi. Al cospetto di tanta bellezza il caporale si sentì commosso..."Madre di Dio!" mormorò. "Questi sono i verdi pascoli del Cielo ai quali il Signore ci conduce!
È da qui che parte Steinbeck per il suo romanzo I pascoli del cielo pubblicato nel 1932.
In effetti più che un romanzo si tratta di dieci racconti che hanno come filo conduttore quella valle paradisiaca scoperta per caso. Storie drammatiche di personaggi in lotta contro un destino avverso. Affranti da un fato che sembra volere far scontare loro la bellezza del posto. Una serie di ritratti ricchi di vita, caratteri singolari presi in un conflitto, spesso irrazionale contro le vicissitudini travolgenti dell'esistenza.
Gli abitanti della valle vivono convinti che ogni favore del cielo dovrà essere scontato. Così quando la moglie di Edward Wicks, detto lo Scroccone, si rende conto della bellezza della figlia appena nata, invece di gioia prova spavento: La bellezza di Alice era troppo straordinaria per non avere qualche inconveniente. I bambini belli finiscono molte volte per diventare brutti uomini o brutte donne.
Anche la vita di Helen van Deventer si svolgeva sotto il peso di un sentimento acuto e perenne di tragedia.[...] Sembrava ch'essa avesse bisogno di tragedia per vivere e il destino non la lasciava insoddisfatta, gliene procurava.
Che dire poi della bella e malinconica storia di Junius Maltby e di suo figlio Robert Louis (come Stevenson) detto Robbie. Vivono felici, in un universo tutto loro, in cui leggere un libro o raccontare una storia seduti sul ramo di un sicomoro è più importante che zappare un campo. Fino al giorno in cui il regalo di qualche vestito da parte di chi credeva fare del bene svela loro la povertà che fino ad allora non vedevano.
La bella prosa di Steinbeck, con il suo realismo epico, è intrisa di un'ironia che spesso sfiora il sarcarsmo. Uno sguardo penetrante nelle piccolezze ma anche nella grandezza umana, in un mondo dove nessuno è mai banale. Una critica acerba dei soprusi e delle prevaricazioni sociali, sempre con attenzione e empatia verso l'umanità oppressa.
Fu Elio Vittorini a tradurre e a fare pubblicare questo libro da Einaudi (nel 1940!). E anche se oggi sembra facile criticare la sua traduzione per alcune imprecisioni, che però tutto sommato restano secondarie, bisogna soprattutto ricordare che leggere e tradurre Steinbeck nell'Italia del fascismo e della guerra non era certo una banalità. Nel provincialismo autarchico dell'epoca, si trattava di un atto non solo culturale ma anche politico.

1 commento:

  1. Grazie per la tua visita che ricambio con piacere! Mi ha permesso di scoprire un blog davvero particolare. Sono tutte tue le fote pubblicate?
    A presto.
    Silvana Planeta.

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