La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



domenica 23 ottobre 2022

Fonti del Clitunno, tempietto longobardo.

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Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte

nume Clitumno! Sento in cuor l'antica

patria e aleggiarmi su l'accesa fronte

gl'itali iddii.

Chi l'ombre indusse del piangente salcio

su' rivi sacri? ti rapisca il vento

de l'Apennino, o molle pianta, amore

d'umili tempi!

Qui pugni a' verni e arcane istorie frema

co 'l palpitante maggio ilice nera,

a cui d'allegra giovinezza il tronco

l'edera veste:

qui folti a torno l'emergente nume

stieno, giganti vigili, i cipressi;

e tu fra l'ombre, tu fatali canta

carmi, o Clitumno.

 

Siamo in Umbria, tra Trevi e Spoleto, nell’ultimo lembo della Valnerina, nel comune di Campello. Il paese moderno si trova lungo la via Flaminia ma l’antico centro storico, il castello, con le sue mura ancora intatte e la sua unica porta di accesso, è più in alto in posizione dominante a corona di un colle. In effetti il piccolo borgo non conta che nove residenti, le altre abitazioni sono destinate all’accoglienza dei turisti.

Scendiamo a valle e più precisamente nella frazione di Pissignano. Qui nasce il Clitunno, minuscolo fiume lungo una cinquantina di chilometri, affluente del Topino e quindi del Tevere. Delle Fonti del Clitunno, famose nell’antichità per le loro facoltà curative e miracolose, avevano parlato Virgilio, Lucano, Stazio, Giovenale e Plinio il giovane, che si rammaricava di non averle conosciute prima. La leggenda racconta che le acque di queste fonti avessero il dono di rendere bianca la pelle e che quindi in esse si immergessero i tori destinati ai Trionfi romani. Avevano quindi già incantato scrittori e poeti quando nel 1876 Giosuè Carducci, trovandosi a Spoleto, volle visitarle. E fu in quell’occasione che scrisse la sua celebre ode: Alle fonti del Clitumno.

Oggi il sito è diventato un parco privato con tanto di biglietteria ma il luogo è, malgrado ciò, ancora suggestivo e appagante. Una piacevole passeggiata tra specchi d’acqua, alberi, fiori e uccelli.

Conosciuti quindi fin dall’antichità per la loro sacralità, questi luoghi, lungo la via Flaminia, sembra accogliessero differenti templi di piccole dimensioni, tra i quali, il più importante era forse quello consacrato al dio Clitumnus, divinità identificata con Giove.

Qui sorge ancora un tempietto la cui fama è inversamente proporzionale alle sue dimensioni.

Alcuni studiosi ne datano una prima costruzione tra il IV e il V secolo, eseguita probabilmente utilizzando materiali di recupero da costruzioni ancora più antiche.
La sua struttura è quella di un tempio pagano classico ma oggi gli esperti si accordano nel considerarlo come chiesa cristiana fin dalle origini (una croce gemmata scolpita sul timpano – e quindi non aggiunta in seguito – lo confermerebbe) anche se, soprattutto per le successive modifiche è comunemente definito “tempio longobardo”. Dimenticato per molti secoli, il tempietto del Clitunno fu riscoperto durante il Rinascimento e poi, in seguito, dai poeti romantici, che ne fecero un luogo di ispirazione.
Lo visitò Goethe e lo cantò anche Byron: E sulla tua felice sponda un Tempio, / di minuta e delicata struttura, mantiene ancora, / sul mite declivio di una collina, / il ricordo di te.

Il tempio si trova a meno di un chilometro dalle Fonti, un po’ nascosto ma ben indicato dalla segnaletica. Quando arriviamo non ci sono molti visitatori, solo tre o quattro persone che stanno uscendo dal sito. Una casetta prefabbricata ospita l’impiegata che sta leggendo un libro. Paghiamo i tre euro del biglietto di ingresso e ci avviamo verso il tempietto che si trova un po’ più in basso.

Quello che stupisce e affascina maggiormente è probabilmente proprio l’eleganza e nello stesso tempo la modesta semplicità del monumento, un po’ più grande di una cappella di campagna. Quattro colonne sostengono il timpano e una stanza piuttosto buia, alla quale si accede dalla scala laterale, lascia intravedere dei residui di affreschi: un Cristo benedicente, San Pietro e San Paolo. Una nicchia in marmo e un piccolo altare completano l’arredo.

In basso una piccola apertura centrale dà accesso ad un altro piccolo locale, forse l’antico tempio pagano dedicato a Giove.

 

giovedì 13 ottobre 2022

Sui monti del Beaujolais

Alla scoperta delle montagne del Beaujolais.

Dire montagne è forse eccessivo, il “tetto” della regione del Rodano è il monte Saint Rigaud, una alta collina boscosa che culmina a 1005 metri.

Ma prima di affrontare questa impresa ci dirigiamo verso il monte Brouilly che, dall’alto dei suoi 485 metri domina la valle della Saona.
Il nome deriverebbe da quello di un generale romano dell’esercito di Cesare, un certo Brulius, stabilitosi su queste terre.
Per la sua posizione, isolato al centro della pianura, ben visibile da lontano, il monte Brouilly è considerato il simbolo del Beaujolais. È circondato dalle vigne, coltivate qui già in epoca romana.
Due denominazioni specifiche, dalle caratteristiche differenti, hanno preso il nome da questa collina: Côtes de Brouilly, prodotta dalle uve coltivate sulle pendici meridionali del monte e Brouilly, dalle vigne situate nella pianura sottostante.

Partendo dal paesino di Saint Lager, ci incamminiamo per stradine e sentieri che, abbastanza rapidamente, dopo aver attraversato il boschetto che ne copre la parte più elevata, ci conducono sulla cresta della collina. Una cappella – non molto bella - occupa la “cima” del monte. Costruita nella seconda metà del XIX secolo, Notre Dame aux raisins (Nostra signora dell’uva) è là per proteggere i vigneti dalle malattie e dalla grandine. Ogni anno un pellegrinaggio invoca la protezione della Madonna.

Ancora più sorprendente è uno strano monumento in legno alto più di quattro metri che rappresenta un ciclista mentre solleva la sua bicicletta in segno di vittoria. È l’opera di uno scultore locale che ha voluto rendere omaggio ai corridori che affrontano questa salita. Il monte è spesso incluso nella corsa a tappe “Parigi Nizza”.

Il panorama si apre sulla pianura e sui paesi circostanti. In lontananza, tra la foschia, si scorge il Monte Bianco.

Più nascosto è il monte Saint Rigaud. Ci allontaniamo dalla Saona dirigendoci verso ovest. Il percorso è molto bello, ricorda a tratti le Langhe piemontesi. A poco a poco i vigneti si fanno più rari, sostituiti da pascoli e boschi.
Arriviamo al passo di Crié, a circa 600 metri di quota. Qui è un centro di accoglienza per i turisti: una Maison de la randonnée (Casa dell’escursione) che vende prodotti regionali: formaggi caprini, miele, vino.

La via verso il monte si inoltra tra i boschi. A tratti è asfaltata (con un giro un po’ più ampio è possibile arrivare con l’auto quasi fino in cima) a tratti si trasforma in un sentiero ben più ripido.
Camminiamo tra abeti e pini Duglas, ogni tanto il panorama si apre sulle valli sottostanti. In basso si scorge il paese di Monsols.
Sulla vetta del monte Saint Rigaud è stata costruita una torre panoramica in legno che permette di osservare il panorama circostante.

A pochi metri dalla vetta una fontana di acqua “miracolosa” è circondata da croci in legno, ex voto di fedeli curati dalle proprietà di questa sorgente.
La leggenda parla di un monaco eremita, morto su questa montagna. L’acqua sarebbe diventata miracolosa attraversando il suo corpo sepolto quassù. Essa è conosciuta per la sua capacità di guarire l’infertilità delle donne, l’epilessia, la cecità e i reumatismi.

Scendendo dal monte, prima del paese di Monsols, incontriamo il viadotto ferroviario, ormai in disuso, della linea che collegava Villefranche sur Saône a Cluny. Attualmente è stato integrato nel percorso escursionistico attorno al monte Saint Rigaud.

Tornati al passo di Crié compriamo due ottimi tomini di latte caprino, ben stagionati e saporiti.