La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



domenica 30 ottobre 2011

Monte Bolza

Una mano volenterosa ha un po' ripulito il sentiero dai rovi e ha segnato le pietre.
L'ambizioso progetto del Sentiero Italia fa fatica a concretizzarsi. L'idea, quasi utopistica, di una via pedestre che in 6000 chilometri ed in un unico itinerario unisca l'Italia da Trieste alla Sicilia e che poi attraversi la Sardegna fino a Santa Teresa di Gallura, avanza con difficoltà. Eppure il simbolo è bello. Queste vie di montagna hanno sempre legato tra loro gli uomini. Percorrere il territorio significa conoscerlo, riconoscerlo e riconoscere anche i propri simili.
Non a caso fu Dante l'esiliato a creare nella Commedia quell'opera, vera e propria cartografia del mondo, che meglio di tutte parla dell'uomo.
Ma la buona volontà a volte non basta, resta l'idea, e non è poco.
L'inizio del sentiero.
Da Castel del Monte la via de la mentagna è stata percorsa nei secoli passati per raggiungere la piana di Campo Imperatore (la mendagna appunto in dialetto, montagna per antonomasia). 
Il cavone
Qui, nel territorio comunale, nei periodi più fasti, pascolavano fino a sessanta morra di pecore (na morra = 300).
Ma non solo i pastori passavano quassù. 
Era questa anche via di collegamento con il versante teramano. Il pellegrinaggio al santuario di San Gabriele dell'Addolorata, ad Isola del Gran Sasso era momento di devozione certo, ma anche di scoperta e di vacanza. 
Prena e Camicia
E poi, più brevemente, prima della costruzione dell'acquedotto, si salivano le pendici del monte Licciardi fino al cavone, sorgente e fossa riempita di neve a cui attingere l'acqua tanto preziosa e rara.
Le rocce del versante sud del Bolza
È da questa stessa via che si parte per salire sul roccione che domina e sorveglia il paese: il monte Bolza.
Dalla chiesetta di San Donato si attraversa la strada già statale 17bis. 
Il sentiero si inerpica a lato della sterrata, sfiorando la pineta. Salita abbastanza ripida che, dopo aver aggirati il cavone, oggi pozzetto di captazione in muratura, si dirige verso il vado della montagna
Castel del Monte poco a poco scompare dietro la curva del colle. Più lontano il paesaggio si apre verso la rocca di Calascio e la Valle del Tirino, sempre con il Sirente a far da sipario.
Sul valico il vento soffia quasi impetuoso. D'un tratto appaiono le cime maggiori ad est del Gran Sasso, ancora avvolte da nuvole.
La vetta
Il Bolza è sempre più incombente, i grandi macigni rotolati dalla montagna sono sparsi sulle pendici.
Il sentiero scende leggermente, poi costeggia, pianeggiante, il fianco orientale della montagna.

Lo si abbandona prima che cominci a scendere verso il canyon di Valianara.
Da qui si sale, con percorso libero, sulle falde del monte, dopo aver aggirato il primo spuntone, lungo un canalone ripido ed erboso che porta sulla cresta.
Si piega poi a sinistra, tra le rocce e si sale ancora per qualche metro fino alla targa che indica la cima. 
In realtà la vera vetta della montagna è più a ovest, sul lato opposto della lunga cresta. Ma laggiù il colle arrotondato è meno attraente di questo bello sperone e così il monte Bolza (1904 metri) è preferito alla Cima del Bolza (1927 metri).

sabato 22 ottobre 2011

Pettorano sul Gizio

Sull'antica porta di ingresso, una santa Margherita dall'enigmatico sorriso, abbracciata ad una croce, sorregge, con l'altra mano il paese.
Certo non bastano le pietre alla bellezza, non bastano per fare un borgo. A volte costituiscono un museo a cielo aperto o un'immagine da cartolina tra le cui vie è piacevole passeggiare ma in cui raramente verrebbe ad un estraneo l'idea di vivervi.
Tra i borghi più belli d'Italia anche Pettorano su Gizio espone con orgoglio il suo cartello ma questa volta è un epiteto che pare meritato.
Anche qui l'emigrazione ha svuotato molte case; vecchie porte abbandonate alla loro sorte hanno subito le intemperie e mostrano i segni del tempo.
Ma, nonostante tutto, il borgo continua a vivere.
Un paese sorprendente, sul suo colle circondato dai boschi. Risalendo tra les stradine si scoprono scorci e panorami. 
Quando si ha l'impressione di essere arrivati in cima ci si accorge che un'altra piazzetta è più in alto.
Si arriva al palazzo ducale, il cui cortile, arredato da una fontana, si affaccia come un balcone sulla valle.
È il castello dei Cantelmo che mette fine alla salita. Da qui la vista si perde in lontananza, verso la valle Peligna mentre, molto più in là, si scorge il Gran Sasso.
Una mano attenta e appassionata ha creato, sotto le mura della rocca un piccolo giardino di erbe aromatiche.
Scenette di vita quotidiana: un bambino che gioca con il nonno seduto sull'uscio della casa, panni stesi al sole in una vivace scala di toni, un attirante profumo di pane fresco che accompagna chi esce dalla panetteria.

sabato 15 ottobre 2011

Serguiei Esenin: Confessione di un teppista

Il 28 dicembre 1925, nella camera n.5 dell'Hotel d'Inghilterra a Leningrado, Serguiei Esenin muore, impiccato ad un tubo dell'impianto di riscaldamento.
Lascia un ultimo poema, scritto con il proprio sangue:
Arrivederci amico mio 
Arrivederci. 
Una prematura separazione un futuro incontro promette. 
Morire nella vita non è nuovo 
Ma più nuovo non è nemmeno vivere.
Esenin aveva attraversato correndo gli anni della rivoluzione. Aveva aderito con entusiasmo alle vicende del suo paese. Incapace pero' di restare nei ranghi, troppo esuberante per rispettare le regole, anche quelle rivoluzionarie.
Già a diciott'anni è schedato dalla polizia zarista come giovane militante socialista. Chiamato sotto le armi, si fa arrestare per un ritardo dopo una licenza.
Diserta dall'esercito nel 1917, allo scoppio della rivoluzione e si impegna  percorrendo il paese e scrivendo articoli e poemi che innaggiano alla lotta. Ma quando, l'anno seguente, vorrà iscriversi al partito bolscevico sarà respinto: troppo individualista.
Nel 1920 è escluso dall'associazione panrussa degli scrittori.
Peripezie amorose, matrimoni e divorzi, risse, scandali e alcol accompagnano la sua vita. Nel 1921 incontra Isadora Duncan, con la quale percorrerà l'Europa. Sarà l'ultimo amore, destinato a finire due anni dopo.
Uomo irrequieto e grande poeta, Esenin resterà sempre legato ai paesaggi della sua terra natale e al mondo contadino dei suoi nonni, mondo nel quale era cresciuto.
Un cantautore italiano ha inciso, negli anni settanta, una versione, un po' edulcorata, ma non del tutto inutile di questa bella poesia:

Confessione di un teppista 
Non a tutti è dato cantare, 
E non tutti possono cadere come una mela 
Sui piedi degli altri. 
Questa è la più grande confessione, 
Che mai possa fare un teppista . 

Io vado a bella posta spettinato, 
Un lume sulle spalle è il mio capo. 
Mi piace rischiarare nelle tenebre 
L’autunno spoglio delle vostre anime. 
E mi piace quando una sassaiola di ingiurie 
Mi vola contro, come grandine di fitta bufera, 
Solo allora stringo più forte tra le mani 
La folta chioma dei miei capelli.

È così dolce allora ricordare
Lo stagno erboso e il suono rauco dell’ontano, 
Che da qualche parte vivono per me padre e madre, 
Che ignorano tutti i miei versi, 
E che a loro sono caro come il campo e la carne, 
Come la pioggia fine che accarezza il grano verde a primavera. 
Con le loro forche verrebbero a infilzarvi 
Per ogni vostro grido che mi affligge. 

Miei poveri genitori contadini! 
Voi, di sicuro, siete imbruttiti, 
E temete ancora Dio e gli acquitrini. 
Oh, se almeno poteste comprendere, 
Che vostro figlio in Russia 
È il primo tra i poeti! 
Non vi si raggelava il cuore per lui, 
Quando le gambe nude 
Immergeva nelle pozzanghere autunnali? 
Ora egli porta il cilindro 
E calza scarpe di coppale. 

Ma vive in lui ancora la frenesia 
Del monello di campagna. 
Ad ogni mucca sull’insegna di macelleria 
Da lontano fa un inchino. 
E incontrando in piazza i vetturini, 
Sente ancora l’odore del letame dei campi, 
Ed è pronto a reggere la coda d’ogni cavallo, 
Come fosse uno strascico nuziale. 

Amo la patria! 
Amo molto la patria! 
Anche con la sua tristezza di salice rugginoso. 
Adoro i grugni infangati dei maiali 
E nel silenzio della notte, la voce limpida dei rospi. 
Sono malato di ricordi d'infanzia, 
Sogno delle sere d’aprile la nebbia e l’umido. 
Come per scaldarsi alle fiamme del tramonto 
S’è accoccolato il nostro acero. 
Ah, salendo sui suoi rami quante uova, 
Dai nidi ho rubato ai corvi! 
È lo stesso d’un tempo, con la verde cima? 
È sempre forte la sua corteccia come prima? 

E tu, mio amato, 
Mio fedele cane pezzato! 
La vecchiaia ti ha reso rauco e cieco 
Vai per il cortile trascinando la coda penzolante, 
E non annusi più il portone e la stalla. 
O come mi è cara quella birichinata, 
Quando si rubava una crosta di pane alla mamma, 
e a turno la mordevamo come due fratelli. 

Io sono sempre lo stesso. 
Con lo stesso cuore. 
Simili a fiordalisi nella segale fioriscono gli occhi nel viso. 
Stendendo stuoie dorate di versi, 
Vorrei dirvi qualcosa che vi tocchi. 

Buona notte! 
A voi tutti buona notte! 
Più non tintinna nell’erba la falce del crepuscolo 
Oggi avrei una gran voglia di pisciare 
Dalla mia finestra sulla luna.
Una luce azzurra, una luce così azzurra! 

Così che anche morire non dispiace. 
Non m’importa, se ho l’aria d’un cinico 
Che si è appeso una lanterna al culo! 

Mio buon vecchio e sfinito Pegaso, 
M’occorre davvero il tuo morbido trotto? 
Io sono venuto come un maestro severo, 
A cantare e celebrare i topi. 
Come un agosto, la mia testa, 
Versa vino di capelli in tempesta.
 

Voglio essere una gialla vela 
Verso il paese per cui navighiamo.

sabato 8 ottobre 2011

Monte Brancastello


Nel 1974, per commemorare il centesimo anniversario della fondazione della sezione aquilana del Club Alpino Italiano, si inaugurò una via escursionistica tra le più belle del Gran Sasso: il Sentiero del Centenario appunto.
Monte Brancastello
Percorso quanto mai panoramico, sempre sulla cresta tra le verdi colline del teramano e l'altopiano di Campo Imperatore, certo meno rigoglioso dell'altro versante, ma non per questo meno affascinante.
Vado di Corno

Il Sentiero del Centenario unisce, in un unico percorso, le più alte vette della catena orientale del Gran Sasso. Dal Vado di Corno a Fonte Vetica i tratti escursionistici si alternano ad altri più imegnativi, come quello attrezzato con corde e scalette delle Torri di Casanova. 
Campo Imperatore. Dietro Monte Bolza si scorge la Maiella. A destra Monte Scindarella

Escursione impegnativa, e non solo per questi passaggi alpinistici ma anche per la sua lunghezza: una giornata piena con un dislivello totale considerevole.
La cresta tra il Monte Scindarella e il Monte Portella. Al centro l'osservatorio astronomico del Gran Sasso

È possibile però accontentarsi di un percorso più limitato; accontentarsi per modo di dire perché la bellezza dei luoghi ripaga ampiamente anche il camminatore meno intraprendente.
Dietro le pendici di Monte Aquila appare il Corno Grande
Tra le infinite sfumature di verde, il bianco delle rocce e, magari, in lontananza il riflesso del mare, solo lo spirito più ottuso può restare insensibile a tanta bellezza.
Corno Grande e versante teramano

Anche il Brancastello, la prima delle vette che la via collega, seppur più modesta, è una meta sorprendente. La vista sulla parete del Corno Grande è forse una delle più belle, mentre verso sud il panorama si apre, superando l'altopiano, fino alla Maiella.
Verso i Monti della Laga

Per arrivare alla targa che, sul Vado di Corno, segna l'inizio del Sentiero, si lascia, prima degli ultimi tornanti, (quota 1800 metri) la strada che sale all'albergo di Campo Imperatore. Una sterrata si dirige verso il monte Aquila per poi tagliarene in diagonale le pendici. 
Sotto la mole del Corno Grande

Il Corno Grande appare improvviso, quasi inatteso.
Lasciando a sinistra la strada che supera il valico, ci si inerpica seguendo poi un evidente e comodo sentiero.
Il Monte Aquila

Dopo aver superato (a sud) il Pizzo San Gabriele e poi l'anticima del Brancastello, si arriva sulla vetta a 2385 metri.
Il vento da sud è forte, soffia in raffiche violente. Rende più faticoso il cammino ma nello stesso tempo accentua la limpidezza dell'aria e sottolinea i contrasti.
Uno spettacolo magnifico.

sabato 1 ottobre 2011

Roccacasale

“Bella, assolata e gaia la mia Rocca,
sotto l’usbergo del Castello antico,
spande alla valle assorta, al verde aprico
dolce armonia che nel cuor rintocca”…
Anche Roccacasale ha avuto il suo cantore locale: Cesare Torelli, pittore, musicista, fotografo (soprattutto) ma anche poeta, che con versi classicheggianti ma non privi di sensibilità ne ha lodato le genti e il luogo.

Il borgo, aggrappato alla sua montagna, domina la valle peligna ed è vero che il sole non lo dimentica. 
Sembra che il paese sbocchi dal suo castello verso la valle, come stendendosi per meglio approfittare del calore dell'estate.
Per il viandante che risale dal piano, le vie si inerpicano verso la parte più antica del villaggio e poi verso la rocca. 

Un venditore ambulante ha fermato il suo furgoncino ad un angolo e ha steso vestiti e corredi. Sulla piazzetta i bambini giocano a pallone mentre più in alto, tra un balcone e l'altro, si fanno quattro chiacchiere.