La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 15 ottobre 2011

Serguiei Esenin: Confessione di un teppista

Il 28 dicembre 1925, nella camera n.5 dell'Hotel d'Inghilterra a Leningrado, Serguiei Esenin muore, impiccato ad un tubo dell'impianto di riscaldamento.
Lascia un ultimo poema, scritto con il proprio sangue:
Arrivederci amico mio 
Arrivederci. 
Una prematura separazione un futuro incontro promette. 
Morire nella vita non è nuovo 
Ma più nuovo non è nemmeno vivere.
Esenin aveva attraversato correndo gli anni della rivoluzione. Aveva aderito con entusiasmo alle vicende del suo paese. Incapace pero' di restare nei ranghi, troppo esuberante per rispettare le regole, anche quelle rivoluzionarie.
Già a diciott'anni è schedato dalla polizia zarista come giovane militante socialista. Chiamato sotto le armi, si fa arrestare per un ritardo dopo una licenza.
Diserta dall'esercito nel 1917, allo scoppio della rivoluzione e si impegna  percorrendo il paese e scrivendo articoli e poemi che innaggiano alla lotta. Ma quando, l'anno seguente, vorrà iscriversi al partito bolscevico sarà respinto: troppo individualista.
Nel 1920 è escluso dall'associazione panrussa degli scrittori.
Peripezie amorose, matrimoni e divorzi, risse, scandali e alcol accompagnano la sua vita. Nel 1921 incontra Isadora Duncan, con la quale percorrerà l'Europa. Sarà l'ultimo amore, destinato a finire due anni dopo.
Uomo irrequieto e grande poeta, Esenin resterà sempre legato ai paesaggi della sua terra natale e al mondo contadino dei suoi nonni, mondo nel quale era cresciuto.
Un cantautore italiano ha inciso, negli anni settanta, una versione, un po' edulcorata, ma non del tutto inutile di questa bella poesia:

Confessione di un teppista 
Non a tutti è dato cantare, 
E non tutti possono cadere come una mela 
Sui piedi degli altri. 
Questa è la più grande confessione, 
Che mai possa fare un teppista . 

Io vado a bella posta spettinato, 
Un lume sulle spalle è il mio capo. 
Mi piace rischiarare nelle tenebre 
L’autunno spoglio delle vostre anime. 
E mi piace quando una sassaiola di ingiurie 
Mi vola contro, come grandine di fitta bufera, 
Solo allora stringo più forte tra le mani 
La folta chioma dei miei capelli.

È così dolce allora ricordare
Lo stagno erboso e il suono rauco dell’ontano, 
Che da qualche parte vivono per me padre e madre, 
Che ignorano tutti i miei versi, 
E che a loro sono caro come il campo e la carne, 
Come la pioggia fine che accarezza il grano verde a primavera. 
Con le loro forche verrebbero a infilzarvi 
Per ogni vostro grido che mi affligge. 

Miei poveri genitori contadini! 
Voi, di sicuro, siete imbruttiti, 
E temete ancora Dio e gli acquitrini. 
Oh, se almeno poteste comprendere, 
Che vostro figlio in Russia 
È il primo tra i poeti! 
Non vi si raggelava il cuore per lui, 
Quando le gambe nude 
Immergeva nelle pozzanghere autunnali? 
Ora egli porta il cilindro 
E calza scarpe di coppale. 

Ma vive in lui ancora la frenesia 
Del monello di campagna. 
Ad ogni mucca sull’insegna di macelleria 
Da lontano fa un inchino. 
E incontrando in piazza i vetturini, 
Sente ancora l’odore del letame dei campi, 
Ed è pronto a reggere la coda d’ogni cavallo, 
Come fosse uno strascico nuziale. 

Amo la patria! 
Amo molto la patria! 
Anche con la sua tristezza di salice rugginoso. 
Adoro i grugni infangati dei maiali 
E nel silenzio della notte, la voce limpida dei rospi. 
Sono malato di ricordi d'infanzia, 
Sogno delle sere d’aprile la nebbia e l’umido. 
Come per scaldarsi alle fiamme del tramonto 
S’è accoccolato il nostro acero. 
Ah, salendo sui suoi rami quante uova, 
Dai nidi ho rubato ai corvi! 
È lo stesso d’un tempo, con la verde cima? 
È sempre forte la sua corteccia come prima? 

E tu, mio amato, 
Mio fedele cane pezzato! 
La vecchiaia ti ha reso rauco e cieco 
Vai per il cortile trascinando la coda penzolante, 
E non annusi più il portone e la stalla. 
O come mi è cara quella birichinata, 
Quando si rubava una crosta di pane alla mamma, 
e a turno la mordevamo come due fratelli. 

Io sono sempre lo stesso. 
Con lo stesso cuore. 
Simili a fiordalisi nella segale fioriscono gli occhi nel viso. 
Stendendo stuoie dorate di versi, 
Vorrei dirvi qualcosa che vi tocchi. 

Buona notte! 
A voi tutti buona notte! 
Più non tintinna nell’erba la falce del crepuscolo 
Oggi avrei una gran voglia di pisciare 
Dalla mia finestra sulla luna.
Una luce azzurra, una luce così azzurra! 

Così che anche morire non dispiace. 
Non m’importa, se ho l’aria d’un cinico 
Che si è appeso una lanterna al culo! 

Mio buon vecchio e sfinito Pegaso, 
M’occorre davvero il tuo morbido trotto? 
Io sono venuto come un maestro severo, 
A cantare e celebrare i topi. 
Come un agosto, la mia testa, 
Versa vino di capelli in tempesta.
 

Voglio essere una gialla vela 
Verso il paese per cui navighiamo.

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