La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



venerdì 28 settembre 2018

Gran Sasso d'Italia, Vado di Corno

Verso il Vado di Corno

Monte Infornace e Monte Prena

Cresta dal Brancastello alle Torri di Casanova

È questa una breve passeggiata, adatta a chi, pur essendo amante della montagna, non ha la passione o le capacità per un impegno più alpinistico e magari nemmeno per l'escursione faticosa. Permette di addentrarsi tra le montagne del Gran Sasso e di scoprire scorci e panorami senza dubbio affascinanti e, se la giornata è serena, di ammirare i colori vivi e brillanti di questi luoghi, così familiari e nello stesso tempo così selvaggi e sorprendenti.
Lungo la diramazione della strada regionale 17 bis che sale verso l'albergo di Campo Imperatore, più precisamente a quota 1800, sulla destra si stacca una mulattiera che si dirige verso le pendici del monte Aquila.
Incontriamo un cercatore di funghi, già di ritorno da una proficua passeggiata, qualche mucca al pascolo che ci guarda con curiosità
A destra il Monte Scindarella, sullo sfondo il Bolza e, dietro, la Maiella.
Dopo aver piegato ad est e continuando a salire dolcemente, si arriva in breve al valico (da queste parti si dice vado) di Corno a 1924 metri di quota.
Chi vuole cimentarsi con percorsi ben più impegnativi sappia che da qui parte il Sentiero del Centenario, inaugurato nel 1974 dal CAI di L'Aquila per festeggiare il centesimo anniversario della fondazione del club.
È uno dei più bei percorsi su questo massiccio ma anche uno dei più impegnativi: circa sedici chilometri, oltre i 2000 metri di quota, quasi sempre in cresta, scavalcando tutte le cime della catena orientale del Gran Sasso, dal monte Brancastello al Camicia, per scendere infine ai 1632 metri di Fonte Vetica. Un percorso magnifico, con l'Adriatico da un lato e Campo Imperatore dall'altro, ma riservato ad escursionisti ben allenati.
Le pendici nord del monte Brancastello
Noi per questa volta ci accontentiamo del Vado di Corno.
È stato per secoli, e probabilmente già in epoca romana, un'importante via di collegamento tra la Conca Aquilana e la valle Siciliana nel teramano.
Fino al XIX secolo era una via era molto frequentata e permetteva commercio e scambi tra i due versanti del Gran Sasso. La rilevanza e l'interesse strategico del valico erano tali che in epoca borbonica, pare che il passo fosse sorvegliato da una guarnigione.*
La realizzazione del traforo che attraversa la montagna quasi sotto di noi portò quassù ingegneri e tecnici per realizzare lavori di sbancamento.
Oggi da qui passano solo gli escursionisti.
Svoltato l'angolo” l'immensa parete del Corno Grande appare in tutta la sua imponenza. Più lontano, dietro la cresta che sale verso il Corno Piccolo, appaiono i Monti della Laga.

martedì 11 settembre 2018

Capestrano AQ

Capestrano sul suo colle è un balcone sulla valle del Tirino. Le massicce mura del castello Piccolomini dominano il borgo.
In basso i filari dei vigneti si stendono verso nord e, al di là dello stradone, il laghetto di Capo d'Acqua, accanto alle sorgenti del fiume, brilla come uno specchio posato sulla piana.
Una brutta cava di ghiaia fa macchia. Poco oltre sono i primi contrafforti del massiccio del Gran Sasso, Ofena e più in alto Villa Santa Lucia e Castel del Monte.
Più a est, al di là dei boschi è il valico di Forca di Penne e, ancora più lontano, il massiccio del Morrone. Sul lato opposto si staglia il profilo della Rocca di Calascio mentre sullo sfondo, in alto, dietro la sagoma del monte Bolza, si intravedono le cime del Gran Sasso con monte Camicia che chiude il panorama.

Paesaggio di montagna anche se siamo a meno di 500 metri sul livello del mare.

Capestrano è celebre per due guerrieri.
Uno è ormai simbolo dell'Abruzzo; ritrovato per caso, nel 1934, da un contadino in un campo non lontano dalla necropoli dell'antica città italica di Aufinum.
La statua dalla sorprendente sagoma risale al VI secolo a.C. Inconfondibile è il suo imponente copricapo, ma anche le sue forme, più femminili che maschili. Oggi il guerriero è conservato al museo archeologico nazionale di Chieti ma una riproduzione è qui, all'ingresso del castello Piccolomini.

La statua stilizzata di un altro guerriero sorveglia il paese dal colle vicino.
È Giovanni, frate minore francescano, canonizzato nel 1690 da papa Alessandro VIII. Qui, nel suo paese natale, poco dopo la sua morte fu costruito un convento che ancora oggi perpetua il nome e il culto del santo.

Giovanni da Capestrano fu apostolo nei paesi dell'Europa centrale e orientale, lottando duramente e senza tregua contro le eresie, fu inquisitore di ebrei e fu soldato, non esitando a guidare nei Balcani le truppe crociate nella guerra contro l'impero Ottomano.
Cruciale fu la sua azione durante l'assedio di Belgrado che fu liberata, si dice, grazie allo sprono e all'azione del frate francescano.
Non a caso Giovanni da Capestrano, morto di peste qualche mese dopo,  è stato assunto a patrono dai cappellani militari.


L'antico paese di Capestrano è stato, come molti altri borghi di questa zona, colpito dal terremoto del 2009. Oggi, passeggiando tra le sue stradine, si incontrano case ristrutturate, ma altre ancora in rovina.
Incontriamo un abitante: un tedesco, innamoratosi qualche anno fa del luogo e che qui ha comprato un'antica casa che poco a poco sta ristrutturando. Su una terrazza con una piacevole vista sulla valle sottostante sta scegliendo delle verdure.
Ci fa vedere un bell'affresco, riscoperto sul muro della sua casa. Ci racconta il suo arrivo casuale a Capestrano e la decisione quasi immediata di istallarsi qui.

Più in alto, dagli spalti del castello, oggi palazzo comunale, il panorama è affascinante.

martedì 4 settembre 2018

Gran Sasso d'Italia, Campo Imperatore

L'estate sull'altopiano può essere deliziosa come il miele; può essere anche un terribile tormento. Chi ama il luogo apprezza entrambe le cose, perché entrambe fanno parte della sua natura essenziale. Ed è conoscere la sua natura essenziale ciò che sto cercando di fare qui. Conoscere, intendo con la conoscenza che è un processo di vita. È qualcosa che non si fa facilmente, né che si fa in un'ora. È un racconto troppo lento per l'impazienza della nostra epoca, di importanza non abbastanza immediata per i suoi disperati problemi. Eppure possiede un suo straordinario valore. È, tanto per dirne una, un correttivo alle valutazioni superficiali: non conosci mai del tutto la montagna, né te stesso in rapporto alla montagna. Per quanto spesso le percorra a piedi, per me queste alture preservano un senso di meraviglia. Non c'è modo di abituarcisi.
Nan Shephed La Montagna vivente Ponte alle Grazie 2018

Il testo di Nan Shephed è tratto dal suo libro La Montagna vivente. Bisognerà riparlarne perché senz'altro uno degli scritti più poetici e profondi e meno banali sul tema della montagna. Nan Shepheld parla dei Cairngorms, un massiccio della Scozia nord-orientale.
Attraversando la piana di Campo Imperatore nel primo mattino di fine agosto, quelle parole si sono imposte in modo evidente in una naturale associazione di idee.
Si possono percorrere queste praterie infinite volte e in ogni occasione scoprire un'immagine diversa, una luce nuova. Basta un attimo e il panorama cambia, l'aria fa brillare l'erba e il sole accentua i contrasti tra le curve delle doline, le nuvole che da nord scavalcano le creste del Gran Sasso sembrano l'onda di un oceano che rotola verso la riva. Le vette del Corno Grande scompaiono ultime inghiottite da quel mare bianco.