La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



martedì 25 febbraio 2014

Mariusz Wilk: Appunti di un lupo

Prendete delle placchette di ferro, dotate di fori per poterle infilare in uno spago e così tirarle fuori più facilmente dal bagno. Se ne siete sprovvisti, prendete delle vecchie serrature, vecchie chiavi o vecchie catene. Potete usare del ferro non corroso, ma certi preferiscono invece della ferraglia arrugginita, e anche le battiture che schizzano sotto il martello del fabbro. Mettete il metallo e le noci di galla pestate grossolanamente, in un recipiente nel quale si formerà l'acido gallico, che potrete usare per otto o dieci anni. Le noci di galla sono delle escrescenze dovute a particolari insetti, che si formano sulle quercie. Sceglietele con cura perché ce ne sono di dure, di verdi e macchiate, di scolorite. Pestate, spruzzate con acqua mischiata a kwas (o succo di cavolo marinato) e mettete da parte al riparo dalla luce, oppure immergete immediatamente il metallo nella soluzione. Versate poi nell'acido ottenuto un decotto di foglie di quercia, di ontano o di frassino. Strappate la corteccia a primavera, appena la linfa sale, e fatela seccare – la corteccia secca da una tinta più scura. Fate bollire fino a evaporazione in un recipiente di rame. Aggiungete del liquido e scaldate a fuoco basso fino ad ispessimento. Passate in un crivello e pressate. Poi passate in un setaccio più fine e pressate. Infine passate in una tela e pressate di nuovo. Versate quindi questo decotto nell'acido. Per ottenere sali ferrugginosi, aggiungete del miele, della birra d'orzo, o del vino, rosso di preferenza. Mettete il recipiente di tchernilo al riparo della luce e mescolate più volte al giorno. Il processo si effettua lentamente: contate tra i dodici e i quattordici giorni. Temperate con un decotto di luppolo per evitare la muffa. Se il tchernilo passa attraverso la carta aggiungete della gomma di ciliegio per indurirlo; se volete che scorra più facilmente sotto la penna, aggiungete dei chiodi di garofano o dello zenzero...
Questa ricetta di inchiostro (tchernilo) è tratta da un libro di ricette del XVI secolo. Gli scribi del monastero non erano autorizzati a prendere in mano una penna prima di aver fabbricato essi stessi il proprio tchernilo.

Mariusz Wilk, giornalista polacco nato nel 1955, fece parte dell'opposizione alla dittutura di Jaruzelski e finì anche in prigione. Nel 1991 si stabilì sulle isole russe di Solovki, nel mar Bianco, all'estremo nord del paese, dove restò sei anni. Per Wilk non si trattava di andare in volontario esilio ma, all'indomani del crollo dell'impero sovietico, di cercare un punto di vista emblematico per osservare e raccontare i cambiamenti della società.
Solovki è stata nel passato la sede di un importante monastero, meta di pellegrinaggio per gli ortodossi russi. Dopo la rivoluzione del 1917 divenne luogo di reclusione, uno dei primi gulag sovietici. In una serie di articoli pubblicati in Francia dalla rivista polacca Kultura, Mariusz Wilk (il suo cognome in polacco vuol dire lupo) ne ha descritto il paesaggio rude e affascinante, l'esistenza e il carattere del migliaio abitanti dalla vita inquieta e caotica.

lunedì 10 febbraio 2014

Luciano Bianciardi: La vita agra

E se ora ritorno al mio paese, e ci incontro Tacconi Otello, che cosa gli dico? Sono certo che nemmeno stavolta lui dirà niente, ma quel che gli leggerò negli occhi lo so fin da ora. E io che cosa posso rispondergli? Posso dirgli, guarda, Tacconi, lassù mi hanno ridotto che a fatica mi difendo, lassù se caschi per terra nessuno ti raccatta, e la forza che ho mi basta appena per non farmi mangiare dalle formiche, e se riesco a campare, credi pure che la vita è agra, lassù.

Erano già gli anni Sessanta, gli anni del miracolo economico e gli italiani sognavano l'utilitaria e il televisore. Le catene di montaggio delle fabbriche del nord correvano sempre più veloci. I contadini e i pastori del sud, abbandonavano già pieni di rimpianto la loro terra e partivano verso il promesso benessere del triangolo industriale. Il paese si trasformava a vista d'occhio; nelle periferie i palazzoni spuntavano come funghi nella notte, costruiti dagli stessi contadini meridionali trasformatisi in manovali. L'Italia agricola e sottosviluppata del dopoguerra vendeva ormai elettrodomestici al mondo intero, ricercati perché economici, grazie ai salari di miseria degli operai: a quel tempo turchi e bengalesi erano i nostri padri.
Tra gli intellettuali poche erano le voci critiche che, come Pasolini, denunciavano una corsa al progresso che era piuttosto corsa al profitto degli uni e all'alienazione degli altri.
E tra le poche, quella di Luciano Bianciardi è stata presto dimenticata. Solo nel 1993, grazie al saggio di Pino Corrias Vita agra di un anarchico, si è riscoperta l'importanza dello scrittore grossetano. Il titolo del saggio di Corrias è un evidente richiamo al romanzo che Bianciardi ha pubblicato nel 1962: La vita agra, riferimento doveroso dato il carattere ampiamente autobiografico di quest'ultimo.
La vita agra è la storia di un intellettuale che lascia la provincia grossetana per andare a Milano con uno scopo ben preciso: vendicare la morte dei 43 minatori di Ribolla, uccisi nel 1954 da un colpo di grisù nella miniera della Montedison. L'idea è di fare esplodere il torracchione, sede della società.
Ma le vita nella metropoli non è facile. Il protagonista deve fare i conti con una società che a poco a poco tenta di inghiottirlo. Si rende conto ben presto che il suo gesto isolato non avrebbe senso, solo una presa di coscienza e un'azione collettiva sarebbero efficaci.
La vita agra, -il titolo è un'evidente contrapposizione alla Dolce vita felliniana, uscita due anni prima- , è un libro vitale e sostanzioso, un testo che resta, a distanza di più di cinquant'anni di grande modernità anzi, a tratti, profetico. È l'espressione piena di un pensiero eretico: Occorre che la gente impari a non collaborare, a non farsi nascere bisogni nuovi, e anzi a rinunziare a quelli che ha.
Ma non e solo il contenuto a fare di questo romanzo un'opera importante. La scrittura di Bianciardi gioca a spiazzare il lettore fin dalla divagazione filologica di un incipit che si dilunga nella rievocazione del quartiere di Brera. Si diverte con sottintesi letterari che mettono a repentaglio le riminiscenze scolastiche del lettore, tra Manzoni (il securo napoleonico del Cinque maggio) e Cassola (si sa come son fatte queste ragazze di Bube), Carducci e Verga: (e sono capaci di mangiare vivo te con tutta la casa del nespolo).
E poi richiami storici più o meno velati come quello di Vittorio Emanuele III: quel gambecorte di un italiano rimasto sul trono cinquant'anni, ma cosa comandava quel poveretto sposato con la montanara pecoraia se a Roma c'era quell'altro, quello tutto nero, a fare e disfare ogni cosa.
E ancora accumulazioni di sinonimi, termini tecnici o dialettali, latinismi...
Bianciardi sembra irridere i manierismi e la ricerca dello Stile; fa l'occhiolino a Gadda, altro scrittore fuori dalle forme, e costruisce un romanzo in cui forma e contenuto operano concretamente nello stesso senso, nella stessa critica radicale al conformismo.
Paradossalmente il successo del libro, le interviste, la fama, furono fatali a Luciano Bianciardi. Lui che quando lavorava da Feltrinelli, era stato licenziato per scarso rendimento è ormai sotto i riflettori della celebrità. La società dei consumi che aveva voluto denunciare è riuscita a fagocitare il libro e il suo autore. Ritiratosi a Rapallo lo scrittore abbandonerà ogni velleità, morendo alcolizzato a soli 49 anni, nel 1971.