La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



mercoledì 20 settembre 2017

Castelvecchio Calvisio AQ

È una delle rarissime giornate piovose di quest'estate davvero eccezionale. Il nostro vagabondare ci porta a Castelvecchio Calvisio, uno dei comuni dell'antica baronia di Carapelle nell'attuale provincia di L'Aquila.
Le origini di questo borgo sono antichissime, le prime informazioni su un castello situato da queste parti pare risalgano addirittura all'VIII secolo. L'attuale abitato di Castelvecchio, di origine medievale occupa la sommità di un colle a più di mille metri d'altezza e, visto dall'alto, ricorda il carapace di una tartaruga.
Lo schema è quello romano, con una via che attraversa il borgo nel senso della sua lunghezza.
Da questa partono, a destra e a sinistra, una serie di stradine. In origine solo due porte, ai lati opposti del decumano, permettevano l'ingresso nell'abitato fortificato, protetto dalle case mura.
Il panorama si apre sulla valle del Tirino mentre verso nord spiccano Calascio e la sua rocca.
Purtroppo il terremoto del 2009 ha provocato anche qui non pochi danni e in questa giornata grigia le rovine et le impalcature accentuano un sentimento di malinconia.
Passaggiamo tra le stradine senza incontrare nessuno. Di tanto in tanto le nuvole basse coprono l'orizzonte e anche la rocca di Calascio resta per un momento sospesa a mezz'aria.
Castelvecchio era, all'inizio del XX secolo, un comune di più di mille abitanti; attualmente i residenti sono poco più di un centinaio e tra questi molti non tornano in paese che di tanto in tanto.
Tra le viuzze silenziose ci arriva un suono di arpa.
Lo seguiamo e da una finestra vediamo la musicista che sta provando il suo strumento.
Siamo arrivati così al Palazzo del Capitano. L'antica dimora, ristrutturata con cura, accoglie l'associazione arteMISIA che organizza qui un ricco programma di manifestazioni culturali capaci di animare il piccolo borgo.



Oggi è un quartetto di Arpe, il Sursum Chordae proveniente da Stoccarda che propone un sorprendente programma tra Chopin, Satie, John Cage… Tre giovani musiciste accompagnate dalla loro professoressa Lucia Cericola. Tra i brani è il celebre Canon di Pachelbel in una versione davvero affascinante. La mia registrazione "artigianale" non la restitusce che molto parzialmente.

martedì 19 settembre 2017

hermann-hesse

 È facile esser giovane e agire bene,
e tenersi lontano da ogni meschinità;
ma sorridere, quando già rallenta il battito del cuore,

sabato 9 settembre 2017

Peltuinum

Possiamo visitare musei ed esposizioni per ammirare reperti archeologici e opere d'arte ma osservare le vestigia del passato nel loro ambiente naturale ha certo un fascino maggiore. È proprio il legame con la natura che immaginiamo (anche se spesso a torto) la stessa, immutata, frequentata dagli uomini del passato, a sublimare anche piccoli resti, testimonianze di un mondo scomparso ma che attraverso il paesaggio è ancora vivente.
È il caso di Peltuinum, - anche se qui le vestigia sono di una certa importanza - antica città situata su un pianoro più elevato di un centinaio di metri sull'altipano di Navelli.
Siamo nella valle dell’Aterno. Qui vivevano i Vestini, antico popolo italico (forse proveniente dal nord ma l’origine resta incerta e discussa) che occupava una larga parte dell’attuale Abruzzo, sui due versanti del Gran Sasso. Sconfitti e integrati alla Repubblica romana nel IV secolo avanti Cristo conservarono però per un periodo piuttosto lungo una certa autonomia.
Tra gli insediamenti più importanti nell’attuale provincia aquilana erano la città di Aufinum, tra Ofena e Capestrano, Aveia, vicino a Fossa, Prifernum, nel territorio di Assergi e appunto Peltuinum, vicino a Prata d’Ansidonia.
Poco si sa dell’antica Peltuinum vestina della quale non restano tracce. La città fu però ricostruita dai romani tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo. Era un centro di una certa importanza, situato lungo la via Claudia nova – corrispondente in gran parte all'attuale statale 17 - sul tracciato del Tratturo Magno. Ed il controllo della transumanza fu senza dubbio una delle ragioni che spinsero l'amministrazione romana a ricostruire qui un nuovo insediamento.
Ma nel V secolo un terremoto colpì la città ed essa, che tra l'altro era poco difendibile dalle scorrerie dei popoli barbari, cominciò ad essere abbandonata dai suoi abitanti.
Il sito divenne per i secoli successivi una sorta di riserva di materiali edili, decorazioni, colonne, che furono prelevati per altre costruzioni.
Oggi restano i ruderi delle mura esterne, quelle di un tempio e di un teatro e alcune cisterne.

Arriviamo a Peltuinum alla fine del pomeriggio. Qualche visitatore si aggira tra le mura in mattoni. Incontriamo un gruppetto di ciclisti che è partito da L'Aquila e che si propone di seguire il tracciato del Tratturo Magno fino a Foggia.
Il luogo è molto suggestivo, circondato da campi coltivati e con sullo sfondo le montagne, il Gran Sasso la Maiella e il Sirente.
Su una collina è Castel Camporeschi, un piccolo borgo fortificato mentre più lontano sul suo colle spicca la Rocca di Calascio a guardia della vallata e del tratturo.
Regnano il silenzio e la tranquillità. Ci sediamo sotto un piccolo gazebo e aspettiamo il tramonto.
Il sole colora di rosso il paesaggio e si perde dietro le montagne mentre noi sorseggiamo la bottiglia di Montepulciano che qualcuno ha avuto la buona idea di portare.



martedì 5 settembre 2017

Campo Imperatore, Rassegna ovina 2017

Tradizionale, come ogni anno la Rassegna ovina di Campo Imperatore riunisce gli allevatori della zona che vengono ad esporre qui le loro greggi. Siamo in Abruzzo, sulle pendici meridionali del Gran Sasso d'Italia nella parte più montana del territorio di Castel del Monte.
Il Corno Grande e le vette della parte orientale del massiccio fanno da sfondo alla piana che si allunga risalendo da est verso ovest là dove una soglia a più di 2000 metri di altezza la separa dalla conca aquilana. (vedi qui)
Siamo arrivati dopo due ore di cammino percorrendo per un tratto una delle antiche vie che collegavano i due versanti degli Appennini e superando a 1900 metri il guado della montagna, il passo che, aggirando le pendici del monte Bolza porta da Castel del Monte all'altipiano.
L'aria è calda e il vento come un phön attenua appena la calura del torrido mattino.
La mancanza di pioggia e il lungo arido periodo hanno seccato l'erba; attorno a noi le sterminate praterie non sono che distese di paglia e solo qualche pino mugo rinverdisce il paesaggio circostante.
In questi mesi d'estate il vasto altipiano è percorso da greggi e da mandrie e sembra animarsi dopo i lunghi e freddi mesi invernali.
Certo, non ci sono più le migliaia di pecore che nei secoli passati popolavano il Piccolo Tibet e che facevano la ricchezza di ricche famiglie di possidenti; ormai il modello economico e cambiato mettendo fine al sistema della transumanza.
Per un giorno almeno
però, il cinque di agosto, i pastori sono festeggiati e il loro lavoro è riconosciuto anche se spesso le frasi dei discorsi ufficiali pronunciati dal palco suonano un po' di circostanza.

Il pubblico è numeroso, la mostra è anche e soprattutto l'occasione per una piacevole gita in montagna e gli accenti dialettali svelano provenienze diverse.
La gente circola fitta tra gli stand di prodotti del territorio: formaggi - tra cui il rinomato Canestrato di Castel del Monte - , miele della Maiella, aglio di Sulmona, prodotti in lana, zafferano di Navelli, birra artigianale aquilana.
Poco lontano, ma tenuto a doverosa distanza, è un altro mercato-fiera meno ligio ai canoni dell'aquisto etico e del prodotto artigianale e dove i venditori di porchetta affiancano paccottiglie di ogni genere.

Il cuore della manifestazione è però rappresentato dagli animali: pecore, montoni ma anche molte capre e qualche asino.
Gli allevatori, spesso in una posa fiera e orgogliosa, si tengono a fianco degli stazzi delimitati da reti e attendono e scrutano con qualche circospezione i giudici preposti che circolano tra le bestie valutando con occhio critico e annotando con scrupolo i propri giudizi.
Diverse sono le razze esposte, dalla merinos alla gentile di Puglia alla francese berichonne du Cher.
I cani pazientano vicino alle greggi, spesso mescolati agli ovini e sembrano anche loro in attesa, stupiti ma non troppo scomposti dalla confusione di questa giornata particolare. Non mancano i cavalieri e anche le forze dell'ordine pavoneggiano sui loro destrieri.

Momento culmine e punto finale della manifestazione ufficiale, dopo la premiazione, è l'attesa apertura degli stazzi, con le pecore che si spargono correndo nei vasti prati, seguite e incitate da cani e pastori. Un tempo era una marea bianca che come schiuma su un mare verde si allargava a ventaglio dallo spiazzo della mostra, oggi le morre di pecore sono ben meno numerose; quasi il gento simbolico di un rito che risale alla notte dei tempi, residuo di un mondo arcaico che ha segnato la storia dell'Uomo.

p.s. La giornata, cominciata sotto auspici festivi, si è chiusa in modo drammatico. Provocato dalla dabbenaggine di qualcuno, un incendio ha devastato un largo tratto della prateria e ha distrutto parte della vicina pineta. Non sarà definitivamente spento che dopo alcuni giorni.