La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



giovedì 13 giugno 2013

François-Xavier de Villemagne: Pèlerin d'occident

Ho sentito parlare per la prima volta di François-Xavier de Villemagne (senza però sapere come si chiamasse) a Castel del Monte. Qualcuno mi aveva raccontato la storia di un francese che viaggiava a piedi e che si era rotto un braccio poco prima di arrivare in paese. Sulla piazza aveva chiesto l'indirizzo di un dottore ma era stato accompagnato dalla farmacista perché ormai in questi paesi il medico non c'è che qualche giorno per settimana. La sua frattura sembrava abbastanza grave e, dopo un passaggio all'ospedale di L'Aquila, era tornato in Francia per farsi curare. Ma François-Xavier de Villemagne è un ostinato (sembra che questa sia una qualità intrinseca ai viaggiatori pedestri ) e, pochi giorni dopo, era tornato in Abruzzo, riprendendo il suo periplo là dove l'aveva interrotto. Racconta nel suo libro che appena ritrovatosi sulle strade abruzzesi, un'automobilista gli aveva fatto cenno: era il dottore che lo aveva curato all'ospedale di L'Aquila, sorpreso di rivederlo da quelle parti mentre lo credeva in Francia.

François-Xavier de Villemagne ha un diploma di ingegnere e lavora in banca. Nulla di meno mistico dei dossier finanziari. Ma il suo lavoro lo ha portato in giro per il mondo ed è forse da qui che si è sviluppata la sua passione per i viaggi e per gli incontri.

Villemagne non fa trekking né sfide sportive. Quando decide di prendere un anno sabbatico e di partire per Roma ha in mente il Grand Tour. Vuole seguire le tracce di Goethe, di Stendhal e di tutti gli altri scrittori e poeti che hanno visitato e amato l'Italia. Scoprire i luoghi di Virgilio, quelli del Decamerone e il paese di Dante (la Divina Commedia sarà una delle sue letture durante il viaggio), ammirare le vestigia del passato e i paesaggi immaginati nelle descrizioni lette sui libri.

Ma non è solo l'aspetto culturale a guidare i passi del viaggiatore. Anzi, forse non è il principale.

Se non ci fosse stata, al termine del viaggio, la sede della Chiesa, la Santa Sede forse non mi sarei rimesso in cammino. È un pellegrino dunque. Anche se Villemagne è un po' reticente ad accettare il termine che, nel suo caso, considera riduttivo. Piuttosto, dice, è il richiamo di un'Italia sognata, congiunzione di desideri e di necessità a metterlo in strada. Ma in definitiva ciò che lo spinge a camminare è prima di tutto la sua ricerca spirituale e l'esigenza di approfondire la sua fede cristiana. Non è un caso se il suo precedente viaggio, anche questo raccontato in un libro: Pèlerin d'Orient, lo aveva condotto a Gerusalemme. 6400 chilometri in otto mesi, partendo da Parigi. Quando decide di partire verso l'Italia dunque, la destinazione è per lui evidente: sarà la tomba dell'apostolo Pietro a Roma. Ma a Villemagne non basta scegliere la strada più corta. Vuole uscire dei “sentieri battuti”, in questo caso la classica via Francigena. Per questo progetta un itinerario molto particolare.

Da Parigi, attraversa l'est della Francia e poi la Svizzera, non esitando ad una faticosa deviazione verso il Cervino per ammirarne la maestosa sagoma. Qui, passando il colle del Teodulo, sempre con ai piedi i suoi sandali, raggiunge il punto più elevato del suo percorso a 3316 metri. Visita il Sacro monte di Varallo Sesia e ne resta affascinato. Percorre la penisola restando il più possibile sugli Appennini, poi lascia la strada che lo avrebbe condotto direttamente a Roma per proseguire verso la Puglia, fino a Santa Maria di Leuca. È questo un obiettivo intermedio, quasi un pretesto per arrivare il più lontano possibile al limite della penisola: è infatti a Santa Maria di Leuca che, una delle tante tradizioni, situa il luogo in cui sarebbe sbarcato l'apostolo Pietro diretto a Roma. Da qui Villemagne risale verso Matera per poi attraversare la Campania, e arrivare a Roma da sud. Il suo motto è significativo: Scrivere. Viaggiare. Lavorare. In quest'ordine o in un altro. Poco importa. Mai l'uno senza l'altro. Blocco di appunti e matita in mano. Restare aggrappati alla terra e parlare del cielo.

Molti gli incontri fatti durante il viaggio. Villemagne, da buon pellegrino, evita il più possibile gli alberghi e gli ostelli. Ad ogni tappa cerca qualcuno disposto ad ospitarlo, non certo per parsimonia ma per incontrare nuove persone, condividerne qualche momento della giornata. Una pratica fatta di begli incontri ma anche di delusioni, davanti a rifiuti che provengono a volte proprio da coloro, -frati e suore nei conventi- che avrebbero dovuto essere più aperti e sensibili all'esperienza del viaggiatore che va verso Roma.

Il libro di Villemagne è un racconto che appare sincero, non imbellito e nemmeno edulcorato. Ciò può avere una conseguenza spiacevole: devo confessare di aver provato un certo imbarazzo quando, nel suo resoconto, lo scrittore, ospite in una famiglia, non esprime molta benevolenza verso aspetti che non gli sono piaciuti.

Villemagne era partito per ritrovare un'Italia sognata e nel suo viaggio il sogno della letteratura si è intrecciato con la realtà; questo però il viaggiatore, non certo neofita, lo sapeva già dall'inizio. L'arrivo a Roma è conclusione ma il ritorno al quotidiano di fa dolcemente perché la città da scoprire attenua il senso di vuoto che può sorgere al termine di una simile impresa.

Insomma -dice François-Xavier de Villemagne- ciò che mi piace nel viaggio è la promessa. Al limite, arrivare è ben necessario quando si è partiti. “Essere arrivati”, è probabilmente il peggio. E se preferisco il viaggio, è forse perché, sulla terra, le promesse sono raramente mantenute.

Pèlerin d'Occident, pubblicato in francese dall'editore Transboréal non è ancora stato tradotto in italiano.

mercoledì 5 giugno 2013

Cartolina 3


Su questa roccia si aggrappano
Pensieri, giorni e muschi.
Ruvida e dura come i casi della vita,
Spazzata dal vento che gela
La brina del mattino.
Il gracchio si posa e guarda giù
Dove la macchia più chiara
Di un gregge cambia lentamente forma
Seguita dal pastore.
Come una nuvola che si specchia
Sull'erba del prato.
Sorprendente mondo
E senza tempo
Rimasto uguale oggi
Come quando Bruto Sceva e i Vestini
Si battevano in quei campi.