La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 18 settembre 2010

Bruce Chatwin: Le Vie dei Canti

Bruce Chatwin racconta il suo vagabondare in giro per il mondo. Descrive persone e popoli, paesaggi e animali, senza pregiudizi né complessi di superiorità. Si interessa al nomadismo, cerca negli altri i motivi che spingono all'erranza, forse per scoprirne le similitudini con se stesso.

Percorrere il mondo per dare il nome alle cose è il grande mito delle origini dei popoli autoctoni australiani. Ed è per questo che il suo viaggio lo porta in Australia, all'incontro degli aborigeni. Vede un popolo che vive spesso nella miseria, subendo il disprezzo e il razzismo dei bianchi e delle teorie che parlano dello « stato infantile e primitivo » dell'intelligenza di questa gente ma scopre anche una cultura antica, ricca e complessa.
Nelle Vie dei Canti parla di questi incontri e del suo tentativo di capire il sistema con il quale gli aborigeni descrivono il mondo:
Nel « Tempo del sogno » le creature totemiche hanno percorso il mondo in lungo e in largo dando un nome alle cose, cantandole e, dunque, creandole. Per gli aborigeni era la terra che dava vita all'uomo. Gli dava nutrimento, linguaggio, intelligenza e, quando lui moriva, se la riprendeva. Anche per questo, dice Chatwin, gli aborigeni si muovono con passo leggero, meno prendevano sulla terra, meno dovevano restituirle. Una terra non cantata è una terra morta. Il territorio è dunque un reticolo di vie che « dicono » il mondo ma stabiliscono anche le relazioni tra le varie tribù, ne definiscono i confini e i rapporti. Non a caso le parole usate per paese sono le stesse che per via.

Nel suo peregrinare Chatwin incontra personaggi sorprendenti come padre Terence che ricerca l'ascetismo: oggi più che mai, gli uomini dovrebbero imparare a vivere senza gli oggetti. Gli oggetti riempiono gli uomini di timore: più oggetti possiedono, più hanno da temere. Gli oggetti hanno la specialità di impiantarsi nell'anima per dire all'anima cosa fare. Incontra Hanlon che vive in una baracca di lamiera. Sulla porta un manifesto scolorito « Lavoratori di tutto il mondo unitevi. » Hanlon prende un libro e finge di aprirlo a caso. Il vangelo secondo il nostro padre Marx dice. E legge un passaggio che potrebbe far riflettere chi, anche tra i sedicenti marxisti odierni non esita a far l'elogio del lavoro: In cosa consiste dunque l'alienazione del lavoro? Innanzitutto nel fatto che il lavoro è esterno al lavoratore, cioè non appartiene al suo essere più profondo; che nel lavoro egli non afferma se stesso, non si sente appagato bensì inappagato; non sviluppa la propria energia fisica e mentale ma mortifica il corpo e distrugge la mente.

Chatwin ascolta e annota nei suoi taccuini. Lega la sua esperienza giornaliera a quella passata. Trova affinità tra popoli distanti migliaia di chilometri. Cita Guatama Buddha: Non puoi percorrere la Via prima di essere diventato la Via stessa; e l'antropologo norvegese Frederick Bart a proposito dei Basseri, popolo nomade dell'Iran e del fatto che questi avessero così pochi rituali: giunse alla conclusione che il viaggio era di per sé un rituale, che la strada verso gli altipiani era la via e che il montare e lo smontare le tende era una preghiera più eloquente di quelle che si recitano nelle moschee.
Al termine del viaggio, il libro, tra romanzo e diario, appare come un insieme coerente e ricco di spunti. Un omaggio al popolo viandante.

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