La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



lunedì 31 maggio 2010

Pescara Brittoli

L'autobus lascia la costa e comincia a salire verso le colline dell'entroterra. Un lungo rettilineo è bruscamente interrotto da una serie di curve che salgono verso un boschetto. A sinistra, nitido, il massiccio della Maiella, dall'altra parte una valletta e, sullo sfondo, le montagne del Gran Sasso. La provinciale si inerpica bruscamente tra prati e boschi in tornanti stretti.
Siamo partiti dalla città nel primo pomeriggio, nel caldo del giorno primaverile. Adesso il fresco della collina comincia a farsi sentire. L'autista chiude il finestrino. Sull'autobus una decina di persone.
Un vecchio è salito all'ultimo paese e si è seduto dietro l'autista che sembra conoscere. Gli parla in un dialetto ruvido che capisco a malapena.
Malgrado la stagione è vestito con una giacca di fustagno e porta un cappello di feltro invernale. Deve avere una settantina d'anni.

Il "bicerin" davanti alla Consolata

La giornata è fredda. Sulla piazza un uomo spazza il selciato. E' vestito bene, non elegantemente ma non come uno spazzino. Sulla destra un locale tipico, di quelli ricercati dai turisti: vi si beve il cioccolato caldo o il caffé.
Nella chiesa qualche persona che prega, rivolta verso un altare chiuso da un'inferriata. A sinistra della porta un uomo chiede l'elemosina. Neanche lui sembra troppo dimesso.
L'interno della chiesa è ricoperto di stucchi dorati, una profusione di decorazioni e di marmi, una ricchezza eccessiva. In fondo, un inserviente passa uno straccio sul pavimento di marmo. Mi avvicino e mi accorgo che uno spazio si apre al di là della balaustra che fa da balcone. Una cappella sottostante, una sorta di cripta ma più grande.
Esco sulla piazza. Non c'è più nessuno. Solo l'interno del piccolo bar è pieno di gente. Una donna sta in piedi vicino ad un bancone in miniatura. Prepara un pacchetto. In vetrina delle cioccolate di vario tipo.

mercoledì 5 maggio 2010

Verso il Corno Grande del Gran Sasso

E' il 19 agosto. Partiamo in due alla 7.15 in macchina da Castel del Monte. Alle 8.00, dopo aver attraversato in tutta la sua lunghezza l'altipiano di Campo Imperatore arriviamo davanti all'osservatorio. Non ci sono ancora molte macchine. In una ventina di minuti saliamo al rifugio Duca degli Abruzzi (non abbiamo ancora deciso dove andare). Dal rifugio, si vede sulla destra il sentiero che aggira Campo Pericoli. Decidiamo di andare da quella parte. La via scende verso la Sella di Monte Aquila per poi risalire dolcemente. Ad un certo punto biforca, a sinistra si scende verso il rifugio Garibaldi, a destra si sale, tagliando di sbiego la costa di Monte Corno, fino alla Sella del Brecciaio. Il sentiero sale sempre più ripidamente come un'iperbole e il brecciaio in questione diventa abbastanza faticoso. Sulla sella ci fermiamo. Siamo a più di 2500 metri. A destra il sentiero continua a salire verso la "Cresta Ovest". mentre la "Via normale" attraversa un falsopiano per poi tagliare il diagonale, tra lo sfasciume, sempre più ripida. In basso, dal versante teramano le nuvole coprono il panorama. Di fronte è il massiccio blocco gratitico del Corno Piccolo. Ci sediamo un attimo. Un grosso cane nero si avvicina e si accuccia vicino a noi. Guardiamo intorno cercando un eventuale padrone ma non c'è nessuno.
Il fatto è, mi disse, che non so più dove andare quando la piazza si svuota. Un tempo, lo so, avevo più fretta di cercare una strada. Ora che il mio passato si ingrossa e prende il sopravvento sul futuro, quando vedo la gente andarsene sono preso da sgomento.
A poco a poco, piccoli gruppi si allontanano. Sul selciato resta la polvere, si possono vedere i segni della sconfitta in quelle piccole pietre. Finirà che un giorno non tornerà più nessuno e lo sgomento per chi va via sarà sostituito da quello per chi non arriva più.