La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 24 settembre 2011

Sulmona

A Sulmona è giorno di fiera.
Il mercante di piatti fa volare la sua mercanzia come fosse un giocoliere. Attira i passanti lanciando in aria scodelle che poi riprende al volo. La gente ride.
Non lontano un giovane venditore si attiva attorno al suo banco di libri usati.
Nella mattina d'estate il sole splende e scalda le belle pietre della città.
Poco prima però un improvviso scroscio di pioggia ha bagnato le copie più esposte e il ragazzo tenta di asciugarne le pagine.
Qualche curioso fruga nel mucchio sfogliando poi le pagine ingiallite. Tra libri di cucina e gialli, saggi di storia medievale e trattati di architettura monastica la scelta e veramente varia e per tutti i gusti.
In un mucchietto, un po' in disparte, si accumulano raccolte di poesie, più o meno famose. Le copertine dallo stile desueto rivelano gli anni trascorsi. Chissa quali mani le avranno sfolgliate.
Tra tutti spicca un volumetto color nocciola: Liriche slovene moderne, nel quale la modernità si ferma al 1938, anno di edizione. In realtà però le liriche in questione risalgono quasi tutte agli anni a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento. Scelse e tradusse Luigi Salvini precisa l'editore, con il sostegno dell'Akademska Založba di Ljubljana e del Regio Istituto Orientale di Napoli. In un angolo della copertina è un appunto a matita: Recensire?
Noi non lo sapremo mai.


















 Terra nativa
sei per noi comme fior di gelsomino!
In lungo e in largo va pel modo l'uomo,
mangia e lavora di giorno, e nel sogno si illude
beve vino straniero, e con due mani,
ma non s'inebria.
Neppure un solo amore c'è per lui
neppure una calda mano si posa sulla sua.
E infine tutti,
perché l'antica storia si rinnovi,
a te torniamo come il figliol prodigo
della Santa Scrittura.

Ma anche se trovassimo fortuna
a te stessa torneremmo;
quando l'ultimo sogno ci delude,
tutto il dolore
dei querceti e dei boschi non nostri
ci porterà nuovamente rappaciati
alla casa e alla terra nativa,
come ape torna all'alveare.
E dal ritorno ognuno t'è fedele
come fu al padre il figlio della Bibbia.

Oh qui da noi ogni dieci case
c'è la sua osteria
e due vicini, ma spesso
due nemici.
Il padre s'è mangiato il suo podere
nel vino o nei processi,
il figlio s'è alla fabbrica venduto
ed è operaio.

Belli, i nosti boschi!
E da noi la scure
non canta che davvero sul lavoro;
e cantano gli abeti
che cadono sul soffice muschio
e i tronchi arsi dal fuoco
che guidan per le strade polverose,
squillano come fossero di bronzo.

E pur son tristi i tempi anche da noi;
morde nei boschi come un lupo
la gola dei grassi mercanti.
Che c'importa dei boschi!
Della bellezza che ce ne facciamo!
Quattrini, ci vogliono, quattrini!”

Terra nativa
sei per noi come fior di gelsomino!

Sotto ogni biondo fiore,
sotto ogni verde foglia
sono tre spine, sono tre punte aguzze.
E per ogni nostra bellezza
sono tre singhiozzi di dolore...

Jože Pogačnik

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