La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



venerdì 18 maggio 2012

Salvatore Quasimodo: Vento a Tindari

L'opera di Quasimodo è stata letta con enfasi. Foga di elogi, quando l'epoca voleva farne emergere l'impegno morale; pour sapendolo lontano dal neorealismo, nella figura del poeta militante si voleva ritrovare l'immagine dell'intellettuale che Gramsci aveva descritto. Foga di critiche da chi sosteneva che la poesia per essere tale dovesse elevarsi dal terriccio del presente.
Poi gli anni passarono, l'urgenza sociale lasciò le scrivanie della critica letteraria e nemmeno il premio Nobel bastò ad evitare a Quasimodo l'ironia o il silenzio sufficiente. Quello che era stato fonte di elogi divenne grave difetto, sola spiegazione di una fama altrimenti immeritata.
A distanza di anni, sbarazzata la sua poesia dalle fronde e dai fronzoli, rileggiamo qualcuno di quei versi senza il peso del contesto.
Lasciamo da parte la parafrasi scolastica, la ricerca del codice ermetico e le metafore troppo precise. Dimentichiamo anche la posa dell'autore, austero, malinconico, triste nel rimpianto un po' barbante. Resta la musica di un verso che, per un istante ferma il correre del tempo.
E chissà, forse ci ricorda qualche personalissima Tindari.
VENTO A TINDARI.
Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
morte d’anima

A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.

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