La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 28 gennaio 2012

Da Castel del Monte al Laghetto San Pietro

Tra Campo Imperatore e le valli dell'Aterno e del Tirino le montagne si succedono, colli dai tenui contorni arrotondati. Meno imponenti di quelle che chiudono l'altopiano a nord.
All'apparenza piuttosto grandi colline se non fosse per l'altezza, ben superiore ai mille metri.
Un panorama di onde che si perdono in lontananza; dalle molteplici sfumature tra cui predominano secondo la stagione, il verde o più sovente il giallo dell'erba mossa dal vento.
Poca acqua, solo qualche fonte, spesso asciutta nei mesi più caldi. Nel territorio carsico una decina di  laghetti (il più famoso e più grande, un po' più lontano, verso nord, nella piana, è quello di Racollo). Spesso semplici aquitrini, dalla forma circolare, non si sa bene se di origine carsica, meteoritica, o addirittura  secondo degli studiosi, artificiale.
Sarebbero il risultato del lavoro umano quindi, come lo sono le innumerevoli macerine, cumuli di pietre faticosamente accatastate per liberare le poche zone coltivabili.
Da Castel del Monte una strada sterrata sale verso la contrada che gli abitanti del paese chiamano, forse per la presenza di una vecchia chiesa, San Donato vecchio.
Il divagare ci spinge a lasciare la sterrata e a salire sui colli. Dal primo un bel panorama sul paese sottostante, un po' evanescente nella foschia.
Non sono molti gli incontri, ogni tanto un uccello, disturbato, spicca il volo dal prato dove forse ha il nido. Più in basso un gregge in uno stazzo con i cani che vedendoci cominciano ad abbaiare e accennnano a venire verso di noi.
Allungando il cammino scavalchiamo un colle dopo l'altro, a poco a poco aumentando la quota.
Sulla sinistra, in lontananza la Rocca di Calascio interrompe la successione di mammelloni mentre a destra, ormai non più nascoste dalla cresta del Bolza, appaiono le cime del Gran Sasso.
Vediamo la strada che dalla sella San Cristoforo scende nel territorio di Calascio.
La attraversiamo e riprendiamo a salire. Il vento si fa sempre più forte. Ora la vista è completamente aperta su Campo Imperatore.
Aggiriamo l'ultimo colle prima del «laghetto» e cambiamo direzione per risalire verso la Cima di Bolza.
Da qui tagliamo in diagonale le coste a sud del monte fino a raggiungere la sterrata che riporta al paese.
















sabato 21 gennaio 2012

Fernando Pessoa: Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares

Che cosa significa viaggiare e a che cosa serve viaggiare? Qualsiasi tramonto è il tramonto; non è necessario andare a vederlo a Costantinopoli. E il senso di libertà che nasce dal viaggio? Posso averlo andando da Lisbona a Benfica e forse con un'intensità maggiore di chi va da Lisbona in Cina perché se la libertà non è in me non la troverò da nessuna parte.
A Bernardo Soares, l'eteronimo a cui Pessoa fa scrivere Il libro dell'inquietudine*, basta aprire la finestra dell'ufficio in cui lavora per partire in viaggio. Un rumore che sale dalla strada, una nuvola o un volo di uccelli, un soffio di vento o la luce improvvisa del sole che passa attraverso il grigio del cielo; d'un tratto un nuovo universo sostituisce quello fatto di pratiche da completare e di lettere da redigere.
Ma anche l'arrivo di un fattorino, l'odore dell'inchiostro, la frase di un collega o un gesto del capufficio bastano per far sì che Bernardo Soares cominci a riflettere e a spaziare in panorami di paesi lontani: I veri paesaggi sono quelli che noi stessi creiamo, perchè così, essendo i loro Dei, noi li vediamo come sono veramente, cioè come sono stati creati.
E così che questa raccolta di appunti e riflessioni del malinconico impiegato che dichiara di avere due sole certezze: la mia vita quotidiana di passante incognito e i miei sogni come insonnie di uomo desto diventa un libro di immagini e di descrizioni come affreschi dalla presenza concreta e reale.
Certo Il libro dell'inquietudine non è solo questo. Le pagine del diario di Bernardo Soares si aprono verso il mondo esteriore ma scendono anche nell'animo umano. E senz'altro i due percorsi si intrecciano. Riflessioni che analizzano e scrutano l'essere, divagano, approfondiscono, si interrogano. Come dice Antonio Tabucchi nella prefazione al libro: La finestra di Bernardo Soares ha le imposte che si possono aprire nei due sensi, sul fuori e sul dentro. La modestia della figura dell'impiegato scribacchino, per molti versi autobiografica, fa emergere con più chiarezza la forza del ragionamento. È il solo libro in prosa di Pessoa, ma spesso la frase si fa poetica, dalla musicalità mesta.
È nel 1982, quarantasette anni dopo la morte dell'autore, che fu pubblicato per la prima volta in portoghese Il libro dell'inquietudine (Livro do desassosego por Bernardo Soares). Raccolta di appunti scritti, a partire dal 1913, durante più di vent'anni, ma mai diventati il libro che Pessoa avrebbe voluto. Quella che leggiamo oggi è solo un'ipotesi, costruita e poi modificata dagli studiosi attorno alle migliaia di fogli sparsi ritrovati in un baule.
Al centro del libro è Lisbona, la città in cui Bernardo Soares lavora. Una città amata soprattutto nei suoi contrasti tra notti silenziose e giornate animate e caotiche, cieli luminosi e stradine ancora nella penombra, con il grande fiume Tago a fare da sfondo e ad aprire la vista verso il sud. Lo svegliarsi di una città, che avvenga con la nebbia o altrimenti, per me è sempre più commovente dello spuntare del giorno in campagna. Pessoa, prima di lasciare la parola al suo alter ego lo presenta e racconta il loro incontro in un ristorantino dai prezzi modesti. È là che Soares, uomo solitario e schivo, prende i suoi frugali pasti ogni giorno; ed è là che osserva i presenti: il suo non era uno sguardo censorio, ma un'attenzione che tuttavia non sembrava rivolta ai tratti e alle fisionomie della gente. Perchè quello che lo interessa non è l'aspetto superficiale né degli uomini né delle cose ma piuttosto il loro senso profondo e nascosto. Soares finirà per confessare al suo interlocutore, quasi scusandosene, la sua passione per la scrittura, passione che riempie una vita vuota di amici e di altri interessi. Quello che leggiamo è il risultato delle serate solitarie in una stanza d'affitto.
Chissà cosa sarebbe stato questo libro se Pessoa avesse potuto concludere il progetto. Tutta una (breve) vita non gli è bastata. E forse non è un caso. Il libro dell'inquietudine era probabilmente destinato a restare quello che è, un «romanzo» che, con la parola fine avrebbe perso tutto il suo senso e che invece è uno dei libri più importanti del ventesimo secolo.

*Traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi Feltrinelli editore

sabato 14 gennaio 2012

Pietracamela : cartolina d'estate

Con la costruzione del traforo e dell'autostrada, la vecchia statale 80, l'antica via Cecilia , ha perso il suo ruolo principale di collegamento tra Teramo e L'Aquila.
Ribattezzata Strada Maestra del Parco è percorsa ormai quasi esclusivamente dagli abitanti del luogo e da turisti curiosi.
In effetti il percorso è bello da Teramo lungo la valle del Vomano, tra il massiccio del Gran Sasso e i monti della Laga. Si snoda tra boschi, panorami e rocce, in alto fino al passo delle Capannelle per poi scendere, ancora tra i boschi, verso L'Aquila.
Abbandonando la via principale prima della salita verso il valico, la strada per Pietracamela si allontana sulla sinistra e si inerpica rapidamente con qualche tornante.
Il paesino è arroccato a più di mille metri d'altezza; un vero nido per gli Aquilotti, quel gruppo di alpinisti che, a partire dal 1925 rivuluzionarono l'idea stessa dell'alpinismo. Sul paese si stacca il roccione a forma di gobba che, si dice, sia all'origine del nome de borgo. Sullo sfondo sono le imponenti pareti del Corno Piccolo.
Interessanti escursioni verso il rio Arno e la val Maone. E da qui risalendo l'anfiteatro di Campo Pericoli fino al passo della Portella a 2260 metri. Nei tempi passati gli abitanti di Piatracamela, conosciuti per la lana lavorata in grezzi e robusti tessuti: i carfagni commerciavano con la valle aquilana attraversando questo valico.
Oggi a Pietracamela non sono rimasti che qualche centinaio di residenti. Lo sviluppo del turismo, soprattutto grazie alla stazione dei Prati di Tivo, non è riuscito ad arginare l'esodo degli abitanti.
Lungo le strette stradine si respira un'aria di tempi passati. Tra l'odore della legna accatastata e i profumi di cucina che escono dalle finestre socchiuse.

sabato 7 gennaio 2012

Clemente Gemmano: Strade

Strade
Ne abbiamo percorse tante
Molte le abbiamo dimenticate
E quelli che ci accompagnavano.

Pensavamo fossero indispensabili
La strada e la persona
E invece li abbiamo persi
Senza rumore, ad un bivio.

Chi andava in senso inverso
Era guardato con distacco
Salutato appena
Dimenticato in fretta

A volte ci siamo fermati
Per riprendere fiato
O presi dal dubbio
Abbiamo guardato indietro.

La polvere dei giorni
Si è raccolta sulle nostre scarpe
I passi ci sono sembrati più stentati
Come le parole.

Ci è parso che il cammino cominciasse a salire
Rallentati dalla fatica
Che la sera fosse troppo vicina
Le ore più veloci

Paesi e città, ci sembravano la meta
Li abbiamo attraversati senza fermarci
Con uno sguardo alle finestre
Aperte su ombre, e lingue sconosciute.

Qualcuno ci ha raggiunto
Per un tratto ci ha affiancato
Ha camminato con noi
Poi, con un gesto, ci ha lasciati.

La strada sembrava senza fine
Ma sembrava sicura la meta
Un bicchiere di vino bastava per dissetarci
Il saluto di un amico a sostenerci

Ora un'impressione nuova
Ci ha colto quasi di sorpresa
Che il cammino percorso
Sia più lungo del restante.