In poche righe de Il Partigiano Johnny è già evidente il carattere antiretorico della Resistenza descritta da Beppe Fenoglio.
Certo, è stato sottolineato, non si tratta che di un abbozzo, senza dubbio lo scrittore non aveva ancora terminato il suo lavoro e non l'avrebbe mai pubblicato così. Ma è forse proprio il carattere grezzo dell'opera a farne emergere la forza e l'originalità. Il testo, soprattutto nella prima parte, è inframezzato di termini, espressioni o intere frasi in inglese (una versione completamente in inglese fu trovata tra le carte) e non si sa se Fenoglio avesse voluto lasciarli in una stesura definitiva: aveva detto, forse non per scherzo, di scrivere in inglese e poi di tradurre in italiano. Ma gli intarsi in inglese non sono la sola particolarità della prosa di questo libro. Fenoglio inventa neologismi, crea da verbi aggettivi e sostantivi o viceversa. Scuote la sintassi, anticipa l'aggettivo, creando un ritmo sorprendente e inaspettato. A più di cinquant'anni dalla sua scrittura, Il Partigiano Johnny colpisce innanzitutto per una prosa fuori dagli schemi che si dispiega in uno stile personalissimo e inconfondibile. È una lingua nuova, nel senso tutto materiale dell'espressione, creata dall'autore e che non assomiglia a nessun'altra:
Guadagnò la breccia, s'inerpicò per il suo coloso sentiero e fu sulle falde della gigantesca, mammutica collina di Mango. Ondosamente incombevano su lui i boschi neri, come carboniosi, e gli aperti, sfuggenti prati, su alcuni dei quali stavano greggi al pascolo, apparentegli così alti ed immoti come una torma di massi erratici arrestati da una mano miracolosa a mezzo dei vertiginosi pendii.*
Per molti versi autobiografico, il libro di Fenoglio è lontano dalla letteratura resistenziale a volte troppo celebrativa dell'immediato dopoguerra. La scoperta e la pubblicazione tardiva del testo furono forse un vantaggio per la sua ricezione; probabilmente la scelta badogliana di Johnny-Fenoglio avrebbe ispirato reticenze più forti in un periodo di speranze epocali che dava poco spazio alle sfumature. Lo scrittore, conservatore nell'animo, non è tenero con i partigiani comunisti.
Il libro fu pubblicato nel 1968, Fenoglio era morto cinque anni prima. Fu l'editore Einaudi ad occuparsene e non fu cosa facile. Tra le carte dello scrittore, si erano trovati due dattiloscritti le cui storie, entrambe incomplete e prive di inizio, si incrociavano. Con una scelta evidentemente (troppo?) arbitraria, i curatori, tra i quali Lorenzo Mondo, decisero di riunire parti delle due stesure per farne un unico racconto: il cambiamento di stile è abbastanza netto e evidente tra la prima e la seconda parte del romanzo.
Inventarono un titolo che mancava.
Mancava anche la data di stesura e un acceso dibattito si aprì subito tra chi collocava Il Partigiano Johnny tra i primi scritti di Fenoglio e chi lo considerava come il primo abbozzo di un grande romanzo sulla Resistenza ancora da completare. Nel 1978 Maria Corti pubblicò un'edizione critica dei due dattiloscritti e ancora negli anni '90 Dante Isella curò una nuova, diversa, edizione. È però la prima, quella del 1968 la versione di cui vi parlo.
Il romanzo si presenta come la ripresa di Primavera di bellezza, pubblicato nel 1959. Il protagonista, (che alla fine del precedente romanzo era morto), è ancora Johnny appunto, studente appassionato di letteratura inglese che decide di unirsi ai partigiani sulle colline delle Langhe.
Dopo una prima esperienza, conclusasi drammaticamente, tra i garibaldini comunisti, Johnny si unisce agli azzurri filomonarchici, più vicini alle sue concezioni ideologiche, partecipando alla effimera liberazione di Alba.
Le Langhe, e soprattutto Alba, sono al centro dell'universo di Fenoglio. Lo scrittore ha sempre vissuto nella città in cui era nato nel 1922 e se n'è allontanato solo per brevi periodi. Alba, dove lavorava in una ditta enologica, è anche il centro del suo mondo letterario. Fenoglio è tenacemente legato ad Alba, è là che scrive e di essa parla, della sua gente e delle sue colline. I suoi testi però sono lontanissimi da un eventuale regionalismo e non c'è nulla nei suoi romanzi del bozzetto paesano. Così è per esempio quando il narratore Johnny si sofferma ad osservare la città:
La città episcopale giaceva nel suo millenario sito, coi suoi rossi tetti, il suo verde diffuso, tutto smorto e vilificato dalla luce non luce che spioveva dal cielo, tenace e fissa e livida come una radiazione maligna. Ed il suo fiume – grosso, importante fiume, forse più grande di essa, forse beyond her worth- le appariva dietro, not fullbodied, unimpressive and dull come infantile riproduzione di fiume in presepio. E la mutilazione del ponte che lo varcava, lo squarcio delle bombe inglesi, faceva si che apparisse lampante la collimazione dello sporco cielo con lo sporco ponte. Johnny poteva quasi vedere il traffico del traghetto a valle del ponte; un frettoloso nasty traffico, necessitato da odiati bisogni, ammorbato dalla paura. E la campagna circostante partecipava di quello svilimento, priva del tutto del presmalto della imminente primavera. Oltre il fiume, nella campagna esemplare, gli alberi scuri e sinistri componevano una virgolatura imponente ma misteriosa sul disteso verde smorto, plumbeizzato.*
Johnny-Fenoglio non si considera un eroe e non aspira nemmeno a diventarlo. La sua scelta partigiana è prima di tutto una scelta etica. Si rende conto definitivamente della necessità dell'azione quando partecipa, con altri alla liberazione degli ostaggi, incarcerati dai fascisti come rappresaglia contro i giovani figli renitenti alle armi. Un'azione che all'inizio non è ancora presa di posizione: uno stuolo di ragazzi di una data città aveva fatto il diavolo a quattro unicamente per rimediare ad una porcheria consumata in una detta città.* Ma è in quel momento che il protagonista si rende conto che unirsi ai partigiani è per lui un dovere da compiere, non alla ricerca della gloria ma semplicemente per continuare a sentirsi umano.
La Resistenza è un'interruzione di quella che per lui era l'attività essenziale della sua vita: scrivere. E le due cose gli sembrano inconciliabili: La penna l'ho lasciata a casa e con essa sintassi e grammatica. Per tutto il tempo che starò qui non intendo stringere in mano che un fucile* risponde
Johnny al capo partigiano che gli propone di scrivere per un giornale.
Sotto la forma del romanzo Fenoglio racconta la sua personale esperienza di vita tra i partigiani. È una vita raramente gloriosa, fatta di pioggia e di fango, di piccolezze umane e di lunghe attese, di paure e di morti poco gloriose: per incidenti stradali o scoppi imprevisti di ordigni. Anche i personaggi più nobili che il protagonista incontra muoiono sconfitti, senza gloria.
Il Partigiano Johnny ha come tela di fondo la Resistenza ma la storia che esso racconta assume un valore universale. Fenoglio ha scritto un libro che parla dell'umanità, delle sue lotte e delle sue debolezze. È stato detto con giustezza che la storia è quella dello scontro tra Achille e Ettore. E Fenoglio preferisce trovarsi dalla parte di Ettore.
Di quell'epopea storica lo scrittore non racconta la grandezza e l'eroismo, l'esultanza della primavera del 1945 ma preferisce parlare delle sconfitte, delle perplessità e delle incertezze dell'inverno che precedette la liberazione dal fascismo. Un tragico inverno segnato dal funesto proclama del generale inglese Alexander che chiedeva, incomprensibilmente, ai particigiani di abbandonare la lotta e di tornare a casa. La storia vissuta da Johnny non è un rettilineo cammino verso la libertà ma è fatta di tortuose svolte, di dubbi, incomprensioni e drammi.
Fu l'esperienza partigiana che permise a Fenoglio di affermare la sua vocazione per la scrittura. Un'esperienza però che, indipendentemente da questo dato, fu un momento essenziale nella sua vita.
Non a caso volle, sulla tomba che lo accolse a soli quarant'anni, due aggettivi riuniti per riassumere il senso della sua esistenza: Partigiano e Scrittore.
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