La sua prigionia e la sua morte prematura lasciarono ad altri il compito di pubblicare ed interpretare i suoi scritti. Il Partito Comunista volle farne un simbolo dell'ortodossia marxista nella sua lettura più ligia alla strategia stalinista. Per altri egli era un martire non solo del fascismo ma anche dello stalinismo che avrebbe preferito far tacere, o almeno lasciare nell'ombra, un critico troppo scomodo.
Non a caso, dopo il successo della rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia, Gramsci aveva scritto per il quotidiano L'Avanti, un editoriale intitolato: La rivoluzione contro “Il Capitale” (il libro di Karl Marx) nel quale, rifiutando ogni determinismo storico, sottolineava che Il Capitale era in Russia il libro della borghesia e che se si fossero seguite schematicamente le sue tesi la rivoluzione proletaria non avrebbe dovuto aver luogo prima di un'evoluzione borghese di tipo occidentale. I fatti avevano invece fatto saltare in aria lo schema previsto.
Un concetto essenziale era per Gramsci quello dell'egemonia culturale. Analizzando la situazione italiana egli pensava che il potere dei partiti reazionari si basasse, più che sulla forza, sulla capacità di controllare gli strumenti della cultura (intesa in senso molto largo). Per questo considerava che il compito di un movimento progressista dovesse essere prima di tutto quello di sottrarre il popolo da questa egemonia. Da qui nasce il suo interesse per l'analisi e la critica delle espressioni culturali destinate al popolo e di solito considerate con un semplice sdegno dal mondo intellettuale.
Tra il 1916 e il 1918, Antonio Gramsci scrisse una serie di articoli per l'edizione torinese de L'Avanti. La rubrica, intitolata Sotto la Mole, si occupava di fatti di società o di costume, critiche teatrali, critiche e polemiche editoriali. Sempre con un linguaggio libero, spesso ironico, Gramsci osserva la società torinese e ne svela i meccanismi mentali, propone delle considerazioni morali che ancora oggi sono di attualità.
Una raccolta di quegli scritti è stata pubblicata dagli Editori Riuniti con il titolo: Piove, governo ladro!
L'indifferenza:
È invero la molla più forte della storia. Ma a rovescio. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto di valore può generare, non è tutto dovuto all'iniziativa dei pochi che fanno, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa dei cittadini abdica alla sua volontà, e lascia fare, e lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada può tagliare, e lascia salire al potere degli uomini che poi solo un ammutinamento può rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia è appunto l'apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. [...]
quel terribile fare di quelli che non fanno. Bel post, ciao e buona estate
RispondiEliminaGrazie.
EliminaBuona estate anche a te.