La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



mercoledì 28 maggio 2014

La fornaia di Castel del Monte

Il rione del Colle
Si chiamava Maria Maddalena perché la mammina, la levatrice del paese, chissà come mai, aveva deciso così. A nulla valsero gli argomenti (e i diritti) dei genitori, l'ostetrica del borgo era testarda e probabilmente si compiaceva un po' del potere di persuasione che la sua professione le attribuiva.
Certo a quel tempo, all'inizio del XX secolo, nascere indenni, soprattutto in un paese di montagna, lontano da medici e ospedali, non era cosa facile. La mammina, con i suoi rudimentali strumenti del mestiere aveva un ruolo essenziale ed era meglio non contrariarla.
Fu così che gl'abbate (il parroco del paese) la battezzò con quel nome e così la iscrisse nel registro parrocchiale.
Ma la famiglia ne aveva scelto un altro: Concetta e, non se ne voglia l'ostetrica, così la piccola si senti sempre chiamare. Nel vicinato anche coloro che conoscevano il nome ufficiale ben presto lo dimenticarono e gli altri non lo conobbero mai.
Poi a poco a poco, come spesso accadeva e a volte accade ancora per i nomi degli abitanti del paese, la familiarità e la vicinanza della persona fecero in sorta che un diminutivo si imponesse e fu così che da Concetta si passò a Cetta.
Non fu facile la vita di Cetta. La sua famiglia modesta aveva poche risorse; si viveva alla giornata, sfruttando come si poteva un piccolo campo dove seminare un po' d'orzo o di grano e qualche patata.
Cetta aveva un fratello che imparò a fare il calzolaio e aprì una piccola bottega dove risuolava scarpe per gli scarpaleggia (gli artigiani dal pié leggero) e scarponi per i pastori, destinati a durare il più a lungo possibile. Lei si ritrovò, non si sa se per scelta o per un concorso di circostanze a gestire uno dei tre forni del paese, quello del Colle, uno dei rioni del borgo. Ed il suo nome cambiò ancora una volta, l'epiteto familiare de Martine lasciò il posto a quello più personale che ormai l'accompagnerà per tutta la vita: la furnora (la fornaia).
Il locale del forno del Colle era molto piccolo, un vero bugigattolo, il lavoro era duro. Le donne del vicinato preparavano il pane nella mesa, la madia presente in ogni casa, poi lo portavano su tavole in equilibrio sulla testa, fino al forno di Cetta che lo cuoceva. Le targiate, le pagnotte, erano molto grandi e pesanti (fino a sette chili). I castellani dicono che era la tradizione che voleva così. In realtà la ragione era più pragmatica: la cottura si pagava al pezzo e non al peso (quindi più la pagnotta era grande meno costava al chilo). Cetta infornava a fatica, il peso del pane si faceva sentire, indolenziva le braccia e la schiena. A volte brontolava contro quell'assillo di misera economia che le rendeva la vita più dura. Ma un soldo era un soldo e le castellane sapevano contare.
Negli anni Cinquanta abbandonò il forno del Colle per prendere in gestione quello che il Comune aveva fatto costruire nel palazzo municipale. Lo lasciò alla fine degli anni Sessanta quando raggiunse la famiglia della figlia emigrata in Piemonte.
Ma quella vita di fatica aveva lasciato il segno. Cetta morì, ancora non anziana ma molto invecchiata a 67 anni.
Riposa ormai nel cimitero di Castel del Monte ma il nome della sua vita non è sulla tomba: sulla lastra di marmo è tornata ad essere Maria Maddalena.
Il forno del Colle, abbandonato da tempo.


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