La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



giovedì 1 maggio 2014

Marco Aime: Rubare l'erba


Proprio mentre leggo questo libro, i pastori, con gli altri allevatori francesi, manifestano a Parigi per chiedere maggiori aiuti all'Unione Europea. In realtà l'agricoltura riceve cospicui finanziamenti dall'Europa ma la maggior parte vanno ai già ricchi produttori di cereali.
Immagine un po' incongrua di greggi che sfilano lungo i borghesi viali parigini, con, alle finestre, la curiosità di chi osserva uno spettacolo di altri tempi, un mondo venuto da una cartolina color seppia.
Un mondo che ricorda tempi passati, anche se non è ancora completamente morto. Nelle valli piemontesi per esempio, dove c'è qualcuno, anche giovane, che fa ancora con passione questo mestiere; una vita dura che solo una forte motivazione può sostenere. Malgrado tutto però, le condizioni di vita, anche se restano difficili, sono cambiate e qualche scampolo di modernità è arrivato fin là.
Questo libro parla invece di una realtà ormai quasi scomparsa. Quasi, perché ne restano i protagonisti con i loro racconti e ricordi e sono loro i personaggi chiave della storia.
Marco Aime è un antropologo e insegna all'università, un intellettuale quindi, ma è originario di queste valli, ne conosce la gente e la interroga non tanto - non solo - come ricercatore ma piuttosto per farne rivivere la memoria e conservarne una traccia. Ed è un racconto che Aime fa spesso in prima persona, lasciando che i momenti autobiografici affiorino e si uniscano alla storia di quell'universo.
Siamo in Piemonte, nel cuneese e più precisamente a Roaschia. È qui che Marco Aime ha le sue radici ed è qui che incontra Margherita e Toni due, ormai anziani, pastori transumanti.
Conosciamo meglio la transumanza del meridione, soprattutto quella tra gli altipiani dell'Abruzzo e il Tavoliere delle Puglie. Percorsi codificati lungo i tratturi, regole, ruoli e incarichi precisi per ognuno degli attori di un grande e complesso meccanismo.
Nelle valli piemontesi le cose sono un po' diverse. I pastori di cui parla Aime costituiscono un mondo a parte tra gli abitanti di questi paesi. La transumanza li allontana dal mondo dei sedentari e li accomuna a quello della gente di strada: les gens du voyage come dicono i francesi con un dolce ma ipocrita eufemismo.
Roaschia è il paese dai cinque cognomi e dai due mestieri: contadino e pastore. Due mestieri che dividono le famiglie perché, d'inverno, i contadini restano in paese mentre i pastori devono partire. Non lasciano a casa mogli e figli come invece succede nel meridione. Caricano su un carro i pochi beni e si mettono in strada. C'è il baule con gli abiti più preziosi - per un matrimonio o un funerale bisogna vestirsi decentemente -, c'è il sacco con i vestiti di tutti i giorni, poi quello con le patate per nutrirsi, poi i materassi e, sopra tutto, gli agnelli nati da poco e ancora incapaci di camminare. È così ogni anno, quando l'inverno si avvicina e li spinge verso la pianura nebbiosa, in lunghi e freddi percorsi. Quali radici possono avere, sempre in bilico tra la piana e le montagne? Sempre a casa di qualcun altro, sempre attenti ai proprietari che difendono i beni attraversati dal gregge. I legami si stringono attorno a momenti tradizionali come fiere e feste nei quali si ritrovano conoscenti e amici poi di nuovo sparsi sulle strade. Ma le feste sono rare, sono per gli altri perché le bestie vogliono mangiare tutti i giorni. Si sa, ci ricorda Aime, i nomadi liberi figli del vento sono belli, avventurosi ma solo quando sono lontani: i tuareg o gli indiani d'America. Quando, vicino a noi, ci sono gli zingari, perdono tutto il loro fascino e la retorica lascia il posto a luoghi comuni meno divertenti. Anche i pastori diventano come loro i “gratta”, i ladri che bisogna controllare e scacciare. E, racconta Toni con un sorriso malizioso, un po' gratta lo erano davvero quando, approfittando del momento, rubavano un po' d'erba per far mangiare le pecore.
La geografia dei pastori era costruita sui due universi antagonisti: la montagna e la pianura e quest'ultima era tutto quello che stava in basso, anche le colline del Monferrato. Anche per Toni e Margherita i luoghi si distinguevano in pascoli e no, in prati d'erba buona e in prati cattivi. La discesa verso la pianura - il Monferrato, le terre del piacentino - non si fa su percorsi prestabiliti. Anzi, bisogna cercare di passare dove nessuno è ancora stato per trovare erba sufficiente per nutrire le pecore. E da lontano, quando la nebbia si dirada, lo sguardo va verso le montagne che laggiù chiudono l'orizzonte e che danno un po' di nostalgia. Poi il viaggio li spingerà più lontano quando, abbandonata la vita transumante, partiranno, superando i colli, verso la Francia o l'America, alla ricerca di una vita meno dura. A Roaschia i contadini non erano ricchi, anche loro in definitiva costretti ad emigrare in cerca di lavoro, ma almeno avevano una casa mentre i pastori dormivano sulle strade. I due gruppi non si mescolavano e per una contadina sposare un pastore era una specie di disonore. Ma questi ultimi conoscevano “il mondo” e consideravano con un po' di superiorità gli üvernenc, i contadini, che non si erano mai allontanati da casa.
Arrivarono gli anni Sessanta, il miracolo economico, le strade asfaltate e le automobili. Le pecore si caricavano ormai sui treni o sui camion. Oggi a Roaschia di pastori non ce ne sono più. Il paese si è quasi svuotato e le case sono aperte solo per le vacanze.
La vita era faticosa, se ci penso non mi sembra nemmeno vero che ho fatto quelle cose. Comunque l'abbiamo attraversata, dice ancora Toni, e si gratta di nuovo la testa.
Attraversata, perché per Toni e Margherita e per tutti i pastori come loro la vita è come una terra, non ci si siede a guardarla, ad attendere che dia qualcosa. La si attraversa.

4 commenti:

  1. in effetti su splinder c'era una ragazza che scriveva dalle montagne, era appassionata di mucche e pecore e conosceva ed incontrava pastori ed allevatori girando per le montagne...mi ci hai fatto pensare ora. non esistono più perchè non ci sono più territori liberi, veramente liberi dalla "proprietà"...liberi da recinti, e da case. spero che non arriveremo a recintare la natura, prima o poi...

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  2. Non so se sia la stessa persona ma io seguo questo blog:
    http://pascolovagante.wordpress.com/
    Ciao

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  3. ti ringrazio per la segnalazione. provo a vedere. un blog originale, testimonianza di una vita originale. forse un pò faticosa.

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  4. eh sì, è proprio lei, la stessa !! grazie, sono contenta di averla ritrovata.

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