La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 22 aprile 2017

Orvieto, Umbria

Eccola Orvieto.
Nella valle del fiume Paglia il battello di tufo naviga sulla canopea dei boschi sottostanti. La facciata del duomo è come una vela aperta al vento e a tratti, il mosaico dorato brilla, ma è forse solo un sogno.
Dalle colline si scende verso la città bassa “Orvieto scalo”. È qui che tutta l”animazione dell'attivo commercio umano si concentra. Fabbriche, supermercati, distributori di benzina (innumerevoli), code ai semafori.
Ma basta lasciare il tracciato di autostrada, ferrovia, fiume e, risalendo verso la città antica, ci si ritrova tra le vie medievali e i palazzi di pietra.
 

Anche qui i quartieri sono animati, almeno le vie più passanti, ma non come in basso. Turisti che passeggiano con il naso per aria e che sembrano attirati verso un punto preciso, alla fine della salita.
Sì, perché, a parte il “pozzo di san Patrizio”, le enoteche che propongono i vini della regione, tra i quali il bianco che prende il nome dalla città, un solo monumento spinge i visitatori a risalire la rocca.
Lassù infine, prima a tratti, poi più precisa, appare la grande fabbrica del duomo.
Una struttura assai semplice, con il bianco e il nero della pietre che scandiscono le pareti uniformi e sembrano alleggerirla.


Ma davanti c'è la sorprendente e splendida facciata.
È proprio qui che gli artisti hanno concentrato lo sfoggio della loro maestria in un'opera unica.
In realtà anche sui fianchi delle nicchie d'angolo accolgono qualche scultura ma lo sguardo è prepotentemente attratto dalla ricchezza dell'iconografia della facciata.


Statue in marmo, bassorilievi, statue in bronzo, mosaici. Al centro un prezioso rosone ricamato con maestria e circondato da nicchie con altre statue di apoostoli e di profeti.



L'interno è anch'esso sottolineato dall'alternarsi di pietre bianche e nere. Ed anche il soffitto delle tre navate è lasciato con le travi apparenti. Come se si fosse voluto semplificare al massimo lo spazio architettonico per mettere in valore le orere che esso conserva. E le opere da ammirare sono veramente molte:
dalla Madonna di Gentile da Fabriano alla fonte battesimale, al trecentesco cancello in ferro battuto, dagli altari marmorei alla vetrata policroma di Giovanni di Bonino da Assisi.









Tra le numerose opere spiccano gli affreschi della Cappella Nova. Il Giudizio Universale di Luca Signorelli, la vela dei profeti e il Cristo giudice del Beato Angelico.
L'artista orvietano Ippolito Scalza, capomastro del duomo, è senz'altro meno conosciuto. È qui l'autore del magnifico organo monumentale e soprattutto della Pietà, scolpita nel 1579.
Un'opera che spicca per la sua forza espressiva. Maria piange mentre leva la mano sinistra in un gesto quasi di collera. Nicodemo, che ha aiutato Giuseppe d'Arimatea a deporre il corpo di Gesù dalla croce, aggrotta la fronte quasi perplesso di fronte all'accaduto.
Con una mano tiene il martello e la scala che ha usato per
schiodare il crocifisso mentre nell'altra ha i chiodi e la tenaglia, arnesi di una materialità concreta che contrastano con il dramma sovrumano che si è appena prodotto. Affranta dal dolore, più della madre del Cristo, è Maria Maddalena che cerca un'ultima carezza da una mano che sembra gonfia dal supplizio sopportato.
Con l'altra sua mano sorregge teneramente il piede del defunto; un dettaglio di un essenziale realismo.

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