La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



giovedì 29 agosto 2019

Fonte Vetica, la pineta.


Entriamo nella pineta di Fonte Vetica, alle pendici di monte Tremoggia, una delle cime della catena orientale del Gran Sasso. Il sentiero passa a sinistra della fonte e sale tra gli alti alberi.
È un bosco recente, fu piantato dopo la costruzione dell'acquedotto che da qui portò l'acqua a Castel del Monte. Era l'inizio del XX secolo e per il paese fu un progresso sostanziale. Fino ad allora gli abitanti – il compito era affidato soprattutto alle donne – andavano a rifornirsi con le loro conche di rame, alla magra sorgente del Cavone, sul sentiero che, dietro la chiesetta di San Donato, si inerpica verso monte Bolza. Era un compito faticoso e ingrato, la scarsezza dell'acqua costringeva ad attese lunghissime, il sentiero impervio rendeva difficile il trasporto.
Dopo la costruzione dell'acquedotto che fece per la prima volta zampillare la fontana sulla piazza del paese, si cominciarono a piantare i pini su queste coste fino ad allora deserte.
Oggi gli alberi coprono (coprivano, perché un incendio nel 2018 ha distrutto una larga fascia dei bosco) le pendici più basse di queste montagne fino a Vado di Sole.
Nei mesi invernali gli alti pini devono resistere alle impervie condizioni climatiche; vento e neve li aggrediscono, le valanghe lasciano spesso tracce indelebili.
Molti sono gli alberi che non resistono e, ogni anno in estate, si contano a decine le vittime della stagione fredda.

Una luce calda e tagliente attraversa la cima degli alberi e illumina il sottobosco, cosparso di sculture espressioniste.
È un museo di sculture naturali, personaggi che si salutano, si abbracciano, si invettivano, si sostengono. Fiori gialli, lilla, viola danno un tocco magico alla mostra.
I tronchi degli altissimi alberi sono spogli fino ad una ventina di metri, formano come un sipario al di là del quale sono, in lontananza, le montagne che chiudono a sud l'altopiano di Campo Imperatore.

Radici e tronchi spezzati rappresentano animali fantastici, giganteschi millepiedi, intrecci di braccia, picchi rocciosi, tappezzerie arabescate.


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