La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 4 febbraio 2012

Carmine Abate: La festa del ritorno

Era fissata col mangiare, la mamma. A me sembrava che stesse tutto il giorno a cucinare o a preparare sottaceti, insaccati, olive in salamoia, funghi sott'olio, sardelle e sarde salate, piccanti come fuoco.
Nei racconti di Carmine Abate, lingua e cibo sono spesso al centro della narrazione. Una scrittura che avvince e intriga, tra favola e realtà. Paesaggi dall'aspetto immaginario, quasi mitico nei quali   fa irruzione e poi si intreccia la materialità del quotidiano con i suoi ostacoli i suoi problemi ordinari e i suoi impicci.
Lo scrittore è originario della Calabria e più precisamente di Carfizzi, un paese arbëreshë cioè appartenente a quella comunità albanese che, a partire dal XV secolo lasciò le regioni occupate dall'impero ottomano per stabilirsi nel sud dell'Italia. È qui che avevano deciso di vivere quegli antenati che moltissimi anni prima erano sbarcati proprio sulla spiaggia della marina e poi, risalendo fiumi e valloni, si erano fermati per sempre su una collina da cui si poteva vedere il mare. Vedere il mare con la speranza, sempre più tenue, di un ritorno in patria. E mantenere viva la storia attraverso il racconto orale dell'epopea del Tempo Grande e dei personaggi divenuti leggendari come quello Scanderbeg che aveva guidato la lotta contro i turchi.
E ci sarà una nuova partenza ma non, come a lungo si era sperato, per un ritorno nella terra favolosa di cui parlavano ancora gli anziani. Il nuovo esodo sarà causato da un nemico più subdolo. Sì perchè, in tempi più recenti, anche Karfici come gli altri paesi del meridione sarà decimato da una nuova emigrazione; non meno drammatica, verso il nord in cerca di lavoro e di una vita migliore, emigrazione che ha finito per separare, a volte in modo definitivo famiglie e amicizie.
Le storie che Carmine Abate racconta nei suoi libri attingono a questo universo di partenze e nostalgia, rimpianti e speranze. Spunti spesso autobiografici perchè anche lui ha lasciato il suo paese in cerca di lavoro. Prima in Germania, poi, a metà strada, in Trentino dove vive ancora oggi.
Così il padre di Marco, il bambino protagonista de La festa del ritorno, è partito per la Francia. Torna ogni anno a Natale atteso e festeggiato, ma sempre con un velo di malinconia, quella per una nuova, inevitabile e prossima partenza, sentita come una pistola puntata alla tempia.
Alla maniera di un romanzo di formazione La festa del ritorno racconta i giorni di Marco che vive a Hora, tra le donne: la madre, la nonna, le sorelle.
Le sue giornate sono fatte di corse nella campagna e nei boschi, giochi con Spertina, l'inseparabile cane fratello che lo accompagna, interrotte solo dall'afa dei giorni più caldi e quando il vento che di tanto in tanto decideva di salire, pareva gonfio di vampate di fuoco.
Arrivano gli anni della scuola e la scoperta di una nuova lingua, completamente sconosciuta. Già perchè il taliano non è, come credeva, quello che parlavano l'anziani cu furesteri c'accattavanu e vindianu a robba 'nda la chiazza o puramente i teatristi ca cantavanu «che bella cosa è na journata 'e sole» o u papà miu quandu si facia a varva, «l'aria serena para già na festa», na festa ranna come quandu illu riturnava da la Fróncia.
E poi all'albanese, al calabrese, all'italiano, lingua straniera imparata a scuola, si sono aggiunte le parlate del nord dell'Europa, dove i germanesi sono partiti in cerca di lavoro.
Sono per Marco i tempi della spensieratezza ma anche dell'attesa. Attesa del ritorno, sempre sperato definitivo e sempre interrotto da una scomparsa inaspettata e temuta.
Carmine Abate racconta tutto questo con una lingua intrisa di oralità. Gli intarsi di albanese e di calabrese non appaiono mai né manieristici né superflui, al contario arricchiscono il testo, rendendolo più vivo e avvolgente. La voce passa da un narratore all'altro, senza intoppi nella fluidità di una sorta di discorso indiretto libero. Abbiamo l'impressione di essere anche noi accanto al fuoco ad ascoltare la storia:
Le scintille ci avvolgevano, sembravano sciami d'api crepitanti, poi si azzittivano spegnendosi e ci cadevano sui capelli e sui vestiti come una bufera di neve, e mio padre diceva che un fuoco così non si era mai visto, pare fatt'apposta per schiaffarci dentro i ricordi più malamenti, diceva, e appicciarli in un lampobaleno, per sempre.

Carmine Abate La festa del ritorno, Piccola Biblioteca Mondadori.

1 commento:

  1. Ho un amico di Carfizzi. Amico che un giorno mi suggerì di leggere qualcosa di Abate, suo cugino (o suo zio, non ricordo). Suggerimento che ancora è annotato nella mia wish list e attende il momento giusto per emergere.
    Il tuo post ha riesumato quell’annotazione. Un motivo in più per leggere un romanzo di Carmine Abate. Grazie.

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