domenica 13 ottobre 2013
Castel del Monte: Città delle tre corone
Tra
Calascio e Castel del Monte la strada provinciale scende
nell'avvallamento carsico della piana di San Marco. È il pomeriggio
ormai inoltrato di un giorno di fine agosto. Il traffico, che è
sempre relativamente scarso è in quest'ora quasi inesistente.
Il
silenzio è interrotto solo dal gracchiare delle cornacchie e da
qualche raffica di vento un po' più forte che scuote gli arbusti e i
rari alberi.
Sulla
sinistra una sterrata si stacca dall'asfalto e sale sul fianco di una
collina.
Di fronte a chi sale, Castel del Monte appare disteso a
mezza costa, con alle spalle un colle più elevato, coperto da una
pineta e sul quale il paese sembra posato.
Verso est, al di là di
colle San Marco, si scorge, più lontano, l'abitato di Villa Santa
Lucia e il valico di Forca di Penne.
Il
colle della battaglia deve il
suo nome allo scontro tra l'esercito del console romano Bruto Sceva e
quello delle genti italiche di Aufina, l'odierna Ofena.
Gli
studiosi parlano infatti
della presenza di un
insediamento italico, risalente al primo millennio avanti Cristo e
poi di un
villaggio romano,
nato dopo la famosa
battaglia, situato più in
basso e
al quale fu
attribuito il nome, leggendario,
di Città delle tre corone.
Nome
altisonante ma che in realtà, più
che alla presenza di un monarca, sembra fare
riferimento alle tre barriere difensive che circondavano l'abitato e
la cui collocazione è ancora
riconoscibile negli avvallamenti del terreno.
Il
pagus romano
fu abbandonato e un insediamento relativamente più recente,
Marcianisci, si
sviluppò su un colle vicino.
Fu
da quest'ultimo villaggio, che in epoca medievale, partirono i primi
abitanti di Castel del Monte e della Rocca di Calascio,
accastellandosi in
insediamenti
più al sicuro dalle
scorrerie dei barbari.
Nella
zona archeologica del Colle della battaglia le esili tracce
spingono chi voglia ritrovare i segni di quel lontano passato a far
prova di fantasia e di immaginazione tra le non molte vestigia.
A
parte i tenui resti della cinta difensiva e di una porta carraia, non
rimane, ben evidente, che una postierla, sorta di porta di
emergenza dalla struttura a imbuto, pensata per non fare passare che
una persona per volta.
Ma
è forse proprio l'assenza di monumenti più vistosi a dare a questo
luogo un fascino particolare. Si pensa alla mano di quella persona
che, migliaia di anni fa, ha camminato sul colle e ha raccolto queste
pietre.
Ci si trova ad immaginare la vita di quelle genti. Sentire la
loro presenza, la loro vita quotidiana, le loro preoccupazioni ed i
loro pensieri.
L'uomo
di prima della Storia (è un modo di dire) ci è più vicino di
quanto si potrebbe credere. I suoi desideri, le sue paure e le sue
gioie scorrono ancora nelle nostre vene […].Sapeva che l'albero è
saggezza, che la pietra è presenza, che la via lattea è uno
specchio della semenza, che egli condivide con l'animale la furbizia
e il calore, che il volo dell'uccello è simile al suo spirito
portato via dalla morte, che il canto ha potere sulle paure e sul
risveglio.
Quell'uomo
sapeva varcare lo spazio e il tempo.*
*Olivier
Germain-Thomas: Le Bénares-Kyôto
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accidenti che bel post...sì abbiamo ancora vivide dentro di noi questi pensieri di uomini di tanto tempo fa, arcaico..
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