La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



domenica 13 ottobre 2013

Castel del Monte: Città delle tre corone

Tra Calascio e Castel del Monte la strada provinciale scende nell'avvallamento carsico della piana di San Marco. È il pomeriggio ormai inoltrato di un giorno di fine agosto. Il traffico, che è sempre relativamente scarso è in quest'ora quasi inesistente.
Il silenzio è interrotto solo dal gracchiare delle cornacchie e da qualche raffica di vento un po' più forte che scuote gli arbusti e i rari alberi.
Sulla sinistra una sterrata si stacca dall'asfalto e sale sul fianco di una collina.
Di fronte a chi sale, Castel del Monte appare disteso a mezza costa, con alle spalle un colle più elevato, coperto da una pineta e sul quale il paese sembra posato. 
Verso est, al di là di colle San Marco, si scorge, più lontano, l'abitato di Villa Santa Lucia e il valico di Forca di Penne.
Il colle della battaglia deve il suo nome allo scontro tra l'esercito del console romano Bruto Sceva e quello delle genti italiche di Aufina, l'odierna Ofena. 

Gli studiosi parlano infatti della presenza di un insediamento italico, risalente al primo millennio avanti Cristo e poi di un villaggio romano, nato dopo la famosa battaglia, situato più in basso e al quale fu attribuito il nome, leggendario, di Città delle tre corone. 
Nome altisonante ma che in realtà, più che alla presenza di un monarca, sembra fare riferimento alle tre barriere difensive che circondavano l'abitato e la cui collocazione è ancora riconoscibile negli avvallamenti del terreno.
Il pagus romano fu abbandonato e un insediamento relativamente più recente, Marcianisci, si sviluppò su un colle vicino.  
Fu da quest'ultimo villaggio, che in epoca medievale, partirono i primi abitanti di Castel del Monte e della Rocca di Calascio, accastellandosi in insediamenti più al sicuro dalle scorrerie dei barbari.
Nella zona archeologica del Colle della battaglia le esili tracce spingono chi voglia ritrovare i segni di quel lontano passato a far prova di fantasia e di immaginazione tra le non molte vestigia.
A parte i tenui resti della cinta difensiva e di una porta carraia, non rimane, ben evidente, che una postierla, sorta di porta di emergenza dalla struttura a imbuto, pensata per non fare passare che una persona per volta.
Ma è forse proprio l'assenza di monumenti più vistosi a dare a questo luogo un fascino particolare. Si pensa alla mano di quella persona che, migliaia di anni fa, ha camminato sul colle e ha raccolto queste pietre. 
Ci si trova ad immaginare la vita di quelle genti. Sentire la loro presenza, la loro vita quotidiana, le loro preoccupazioni ed i loro pensieri.
L'uomo di prima della Storia (è un modo di dire) ci è più vicino di quanto si potrebbe credere. I suoi desideri, le sue paure e le sue gioie scorrono ancora nelle nostre vene […].Sapeva che l'albero è saggezza, che la pietra è presenza, che la via lattea è uno specchio della semenza, che egli condivide con l'animale la furbizia e il calore, che il volo dell'uccello è simile al suo spirito portato via dalla morte, che il canto ha potere sulle paure e sul risveglio.
Quell'uomo sapeva varcare lo spazio e il tempo.*
*Olivier Germain-Thomas: Le Bénares-Kyôto

1 commento:

  1. accidenti che bel post...sì abbiamo ancora vivide dentro di noi questi pensieri di uomini di tanto tempo fa, arcaico..

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