La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



mercoledì 2 novembre 2016

Norcia e Castelluccio

Siamo stati a Norcia nell'aprile del 2014. Ci affascino' quella città tra le montagne, con la sua atmosfera calma e tranquilla, forse un po' monotona ma sicuramente rilassante e gradevole. Avevamo ammirato la basilica di San Benedetto, austera, come l'insegnamento del monaco a cui è dedicata. Dico è anche se la logica vorrebbe l'uso dell'imperfetto dopo aver visto le immagini di quello che ne resta. Salimmo fino a Castelluccio, in una ventosa giornata nella quale la primavera sembrava ancora lontana. Anche quel borgo è stato colpito duramente dal terremoto, l'ennesimo. Forse non sarà l'ultimo ma gli uomini e le donne di queste terre sono tenaci e sicuramente ricostruiranno quello che è stato distrutto.  

Subito dopo Foligno la strada verso Colfiorito si infila tra le prime alture degli Appennini e comincia a salire. Nonostante la primavera avanzata, i boschi sono a tratti brulli, gli alberi, forse malati, hanno piuttosto un aspetto autunnale. Lasciamo la strada che continua verso le Marche e ci dirigiamo verso Cerreto di Spoleto.
La via è poco frequentata e in cattive condizioni. Il paesaggio è quasi montano, in lontananza si scorge la cresta ancora innevata dei monti Sibillini. I boschi di cerri, che hanno dato il nome alla località, sono ora più verdi e rigogliosi, qua e là un borgo o una casa isolata. Il nucleo principale di Cerreto si allunga sulla cresta mentre a fondovalle, sulla strada tra Spoleto e Norcia, alla confluenza dei fiumi Nara e Vigi, si è sviluppata la frazione di Borgo.
Saliamo al paese; dopo un'ampia piazza le case si affacciano sulla valle con un panorama aereo.
Il borgo sottostante è più animato, quassù i passanti sono rari. Pare che proprio gli abitanti di questo paese, i cerretani, siano all'origine del termine ciarlatano. Nel vocabolario della Crusca del 1612 essi venivano infatti descritti come "coloro che per le piazze spacciano unguenti, o altre medicine, cavano i denti o fanno giochi di mano che oggi più comunemente dicesi Ciarlatani, ...da Cerreto, paese dell'Umbria da cui soleva in antico venir siffatta gente, la quale con varie finzioni andava facendo denaro"*.

Riprendiamo la strada verso Norcia. La città appare in fondo ad un viale alberato. Le mura medievali, definitivamente consolidate nel Rinascimento, quando Norcia divenne Prefettura Pontificia, proteggono ancora il centro cittadino ma i numerosi terremoti hanno distrutto poco a poco il nucleo originario della città ed oggi sono le costruzioni ottocentesche che predominano.
Per tentare di limitare i danni di futuri probabili moti sismici, nel XIX secolo, l'amministrazione papale ancora in carica per qualche mese prima dell'arrivo dei piemontesi e del cambiamento di regime, limitò l'altezza delle abitazioni che, secondo la legge, non avrebbero potuto più superare i due piani.
Ed è forse anche grazie alla modesta altezza degli edifici che, nonostante i ripetuti cataclismi, la città ha un aspetto piacevole e accogliente. Belle piazze e strade luminose; le case hanno un caldo colore ocra. L'indole della cittadina è un po' strattonata tra la presenza della figura mistica di San Benedetto, patrono dell'Europa e la più prosaica tradizione salumiera.
Il santo originario della città, condivide la sua celebrità con gli insaccati che fecero (e fanno) la fama di Norcia a Roma e nel mondo tanto da essere all'origine di un sostantivo, norcineria, che nell'Italia centrale sostituisce la salumeria. Ed in effetti le norcinerie sono ad ogni angolo.

L'altro protagonista della storia di Norcia è dunque San Benedetto. La tradizione leggendaria colloca la sua nascita in una casa situata dove oggi si eleva la basilica consacrata al santo. La chiesa, sulla piazza principale, ha una semplice ed elegante facciata gotica. Sul lato opposto è la Castellina, palazzo fortificato che fu nei secoli passati sede del potere politico.
Al centro della piazza una statua del santo ha un bel gesto imperioso e solenne. Molta gente per strada, soprattutto turisti ma anche qualche monaco con un caratteristico saio azzurro.
Lasciamo Norcia e continuiamo a salire verso Castelluccio. Le nuvole sono sempre più basse e quando arriviamo al passo per poi scendere nell'altipiano siamo immersi nella nebbia. Fortunatamente le nubi sono rapidamente spazzate dal vento e Castelluccio appare al centro della larga valle.

Attraversiamo il piano; la stagione non è abbastanza avanzata e delle famose fioriture non c'è ancora traccia. Sulla sinistra vediamo il caratteristico boschetto che disegna la sagoma dell'Italia.
Il paesaggio è spoglio ed essenziale. La strada attraversa il piangrande in una profusione (forse eccessiva) di cartelli stradali. Nella luce grigia cielo basso e scuro il verde dei prati sembra ancora più brillante. Quasi al centro della valle un modesto colle accoglie il solo abitato della contrada.



Castelluccio è singolare e insolito; inconsueto e intrigante visto da lontano ma da vicino non è proprio un bel paesino. Le case sono costruite con materiali disparati : mattoni, blocchi di cemento, pietre.
Sui muri un grafomane si è divertito a scrivere con vernice bianca le sue massime nel dialetto del luogo. Il vento è gelido, siamo a 1400 metri di quota, incontriamo qualche abitante in giacca a vento. Facciamo un rapido giro tra le case prima di ripartire. Nei canaloni delle montagne vicine la neve tarda a sciogliersi.





Ritorno verso Norcia

* tratto dal sito del Comune di Cerreto

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