La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 19 dicembre 2015

La passatella

Sarà l'inverno che arriva, sarà la fine dell'anno che, con lo scandire delle ricorrenze, ci fa considerare con maggior raccoglimento lo scorrere implacabile del tempo, l'ora sembra alla rievocazione.
Reminiscenza di aneddoti spesso insignificanti nello scorrere degli avvenimenti ma capaci, come la proverbiale madeleine di Marcel Proust, di riportare a galla stralci di vite passate, di mondi che sembrano ormai lontanissimi nell'accelerazione spettacolare di una modernità che fa sembrare preistorico il decennio precedente.
Così basta un accenno in una pagina di un interessante blog http://www.qualcheriga.it/10-cose-che-ho-imparato-in-abruzzo-nel-2015/ alla passatella per ritrovare immagini del passato ormai dimenticate.
Nel borgo di Castel del Monte le possibilità di svago, soprattutto finita la bella stagione, non sono molte. Lo erano ancor meno quando l'automobile era un privilegio di pochi e quindi più difficile spostarsi. La vita sociale, più di oggi, separava spesso il mondo femminile da quello maschile. Per questi ultimi il ritrovo era la cantina, l'osteria e poi il più moderno bar, dove ritrovarsi dopo il lavoro e passare il tempo tra amici e conoscenti. Questi locali erano relativamente numerosi, quasi quanto le chiese, e tutti molto frequentati.
Si battevano le carte, a tressette, a scopa, a volte a briscola. Ma senza dubbio il gioco che più di tutti appassionava gli astanti e spesso accendeva gli animi era la passatella.
Un gioco antichissimo; pare fosse conosciuto già dagli antichi romani, diffusissimo poi negli ambienti popolari della Roma papalina al punto da provocare tali turbe all'ordine pubblico che, nel XVI secolo, fu necessario l'intervento delle forze dell'ordine del papa Sisto V.
Una partita a carte era solo il pretesto per decidere chi fosse il padrone e chi il sottopadrone. Stava poi a quest'ultimo proporre al primo chi potesse bere e chi no le bevande pagate equamente. Si animavano lunghe discussioni, soprattutto se il padrone e il sottopadrone non erano proprio amici o, peggio, avevano un conto da regolare. Entravano in ballo ripicche, antipatie, rancori, animosità. Chi restava “a secco” era fatto olmo (olmo, forse perché con i rami di questa pianta si legavano le viti e quindi erano vicini al vino ma senza berlo). Oppure, con un fine ancora più perfido, a volte si designava uno zimbello per farlo bere fino all'ubriacatura, la famosa gatta. Succedeva che antiche amicizie fossero messe a dura prova e che, bicchiere dopo bicchiere gli animi si scaldassero è il gioco finisse sovente in rissa.
L'osteria castellana non sfuggiva a questa malasorte. Ed era forse il ricordo di epiche dispute ad accollare epiteti battaglieri ai locali. Oggi Montelepre (il paese di Salvatore Giuliano) ha definitivamente chiuso i battenti mentre Il Vietnam è diventato l'accogliente Rifugio del pastore.

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