La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



domenica 6 dicembre 2015

Ma la festa dell'Unità non si fa più?

Per chi abita all'estero non è facile seguire la vita politica italiana. Molte cose sono cambiate in questi ultimi decenni e il cambiamento sembra accelerarsi sempre più, preso in un vortice che spazza via tutti i punti di riferimento che sembravano inamovibili.
Ciò è ancora più evidente in un contesto particolarmente circoscritto e singolare com'è quello di un paese di montagna come Castel del Monte, malgrado tutto ancora un po' appartato rispetto al mainstream contemporaneo.
Così capita ancora di sentire qualche compaesano abitante all'estero e in vacanza chiedere incuriosito: Ma la festa dell'Unità non si fa più?
Per molti connazionali in effetti, il ritorno al borgo per le vacanze estive era, ed è tuttora, segnato da una serie di avvenimenti culturali che scandiscono il calendario delle giornate estive: la rassegna ovina di Campo Imperatore, la festa di San Donato, la scampagnata di Ferragosto, la festa della classe e, da qualche anno, la “Notte delle streghe”.
Tra queste manifestazioni si inseriva la Festa dell'Unità, un tassello, forse un po' anomalo ma non troppo, nella successione di appuntamenti estivi.
Anomalo perché era forse l'unico non unanimemente accolto nel panorama delle iniziative pubbliche.
Quando, sempre più raramente, si parla di politica, soprattutto per coloro che abitano all'estero, appare la necessità di capire quali siano gli schieramenti in campo e di associarli a schemi conosciuti che più o meno corrispondano.
Così, semplificando all'estremo (ma forse non a torto) fino a qualche anno fa si distinguevano le due fazioni: comunisti e democristiani, sinistra e destra, anticlericali e bigotti. E soprattutto i più giovani, nati all'estero e un po' sperduti nelle sottigliezze arcane del panorama ideologico nostrano, erano sconcertati quando il quadro manicheo non corrispondeva più alle attese.
Certo in un paesino in cui tutti si conoscono, il dibattito politico può rapidamente sviare in un battibecco tra i seguaci di Peppone e quelli di Don Camillo e la schermaglia può avere conseguenze paradossali.
Fu il caso per esempio nel 1980 quando alle elezioni comunali, dopo anni di opposizione, una lista di sinistra, organizzata attorno alla sezione comunista riuscì ad imporsi e a fare eleggere alla carica di sindaco Mario Basile, principale animatore di un gruppo di giovani intraprendenti e motivati, che aveva saputo scuotere l'arcaica e sonnolenta sezione e che resterà poi in carica per i successivi 24 anni.
Per il campo avverso la batosta fu rude e inattesa a tal punto che gli sconfitti decisero -arma letale- di boicottare la festa patronale di San Donato, ritirandosi dalla deputazione incaricata dell'organizzazione dell'evento. La risposta non si fece attendere. Era impossibile infatti per l'amministrazione neoeletta bollare, con un segnale che sarebbe apparso incomprensibile a molti, il nuovo corso e macchiare con un simbolo così inaudito – il vuoto incolmabile lasciato dalla secolare festa - le rosee prospettive future. Ed ecco quindi i militanti comunisti, abbandonate per l'occasione le bandiere rosse e, imbracciati i monumentali sacri stendardi, occuparsi con buona lena del programma di animazione delle festività in onore del santo protettore accompagnando la statua nelle due canoniche processioni tra la chiesa matrice e quella eponima.
L'implicazione dell'amministrazione di sinistra non si smentirà negli anni seguenti anche quando la parte avversa tornerà a più miti consigli riprendendo le redini delle celebrazioni. La partecipazione alla processione religiosa, comunemente accettata dalla maggioranza della popolazione, avrà però delle insospettate conseguenze oltralpe, mettendo nell'imbarazzo il sindaco comunista di Somain, la cittadina francese gemellata con Castel del Monte. Una cartolina raffigurante il santo seguito dai due sindaci verrà utilizzata da un oppositore per denigrare l'incongruo atteggiamento filo clericale del maire comunista.
Tra gli eventi chiave dell'estate castellana si inseriva quindi la Festa dell'Unità, organizzata anch'essa, ma con più congruenza dalla locale sezione del Partito Comunista. Un momento certo festivo ma non sprovvisto di iniziative culturali e di dibattito un po' a controcorrente tra processioni e le messe.
Sulla piazza principale o nella “zona sportiva” le tradizionali grigliate accompagnavano spettacoli più o meno “impegnati”, come si diceva allora. Punto nevralgico di coordinamento era la Casa del popolo, sede di partito ma anche centro di ritrovo e di incontro.
Il destino della Casa del popolo fu forse l'ultimo sussulto vitale e organico (come direbbe Gramsci) del popolo di sinistra castellano. La sfida lanciata tra i castellani e dettata da contingenze locative era chiara: dare una sede definitiva e stabile al Circolo. Fu una mobilitazione all'altezza della posta in gioco. Nelle città del nord Italia ma anche all'estero, i compaesani simpatizzanti e militanti, giovani e meno giovani, furono sollecitati e risposero volentieri partecipando alla colletta che permise l'acquisizione della nuova (ultima) sede dell'istituzione.
Ma poi il Partito Comunista scomparve, la Cosa si trasformò in quercia, poi in ulivo del quale non resteranno che cinque foglie. Terminata la spinta propulsiva dell'amministrazione di sinistra, anche la Casa del popolo perse il suo ruolo di cellula politica. Continuerà a funzionare ancora qualche anno, come circolo ARCI, tenuto aperto da qualche volenteroso pensionato.
Oggi il locale è ancora aperto in occasioni particolari, come sede di esposizioni.

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