La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 7 gennaio 2017

In Bretagna 1


Tréméloir, Trégomeur, Tréguidel, Tressignaux, Tréméven, Plouagat, Pludual, Pléhédel, Plouézac, Paimpol, Ploublazanec, una toponomastica ripetitiva come uno scioglilingua ci avverte che siamo in Bretagna. I nomi sono di difficile pronuncia anche per i francesi e, quasi per complicare ancora le cose, sono associati, sui cartelli stradali, all'etimo bretone, se non più complicato, spesso abbastanza differente da quello nazionale.
La Bretagna è una regione che vuole conservare la sua specificità nella più grande nazione francese. Nel panorama politico locale una corrente autonomista ha ancora un certo peso. Le bandiere bianconere simbolo dell'identità regionale sventolano qua e là (anche se un po' macchiate dalla collaborazione che gli indipendentisti strinsero durante l'occupazione tedesca con il regime nazista). Oggi la battaglia dell'identità bretone si svolge soprattutto attorno alla conservazione della lingua. È infatti questo il segno culturale - e in definitiva politico – più importante per la definizione della specificità regionale. Il bretone è una lingua celtica, molto differente quindi dal francese e molto difficile anche paragonata ad altri idiomi regionali come il corso, il catalano o la lingua d'Oc, tutti di origine neolatina. Le scuole bilingue francese-bretone, anche se largamente sovvenzionate, non riescono a frenare il progressivo declino della pratica linguistica. Contrariamente a quanto avviene ad esempio per il corso, o per il catalano nella regione di Perpignan, qui in Bretagna è quasi impossibile incontrare qualcuno intento a parlare bretone nei momenti della vita quotidiana. Quello della conservazione del patrimonio linguistico è un tema molto importante ma, malgrado le apparenze, anche molto complesso. La lingua è anche uno strumento di dominazione politica e ideologica e la progressiva ma rapida uniformizzazione linguistica a cui stiamo assistendo ne è la prova più flagrante. Dicono i ricercatori che ogni mese due lingue si estinguono e ciò è certo sinonimo di impoverimento culturale perché con esse si perde il bagaglio culturale dei locutori; in altre occasioni però la battaglia linguistica può assumere apetti meno condivisibili, di rigetto dell'estraneo e di ripiego su concetti xenofobi.

Per chi arriva dal nord la Bretagna comincia dopo aver superato il Mont Saint Michel. L'isolotto roccioso su cui si eleva una delle abbazie più famose al mondo spicca nella sua baia come un gigantesco cono culminante nella guglia della grande chiesa.

Risaliamo la costa settentrionale della penisola armoricana, nel dipartimento che un tempo si chiamava appunto “Côtes du Nord”. Si chiamava, perché gli abitanti della regione, considerando l'appellativo non troppo attrattivo per il turista (il nord è freddo, piovoso, buio) decisero di chambiarlo preferendogli quello, tutt'ora vigente di “Côtes d'Armor”.
La carta della regione sembra un immenso frattale; la lunghissima penisola che si distende fino a Brest puntando perentoria verso l'Atlantico è, vista da vicino, un infinito susseguirsi di baie, golfi, altre penisole, isole e isolotti e scogli. Le maree ne modificano largamente i contorni e il profilo della costa cambia profondamente nel corso della giornata.

La nostra meta è Ploublazanec ( Plaeraneg in bretone), un paio di chilometri a nord della cittadina di Paimpol. La casa che abiteremo è vuota da qualche mese e quindi piuttosto glaciale. Ci vorrà qualche ora prima che un sembiante di calore sia sufficiente ad intiepidire l'aria. È una casa tipica della regione, i muri sono in pietra, con blocchi di differente dimensione e le persiane in legno sono verniciate in grigio bluastro. Come molte altre abitazioni anche la nostra è ormai una residenza secondaria. In questo mese di dicembre le strade sono quasi deserte, la regione ha fama di essere molto piovosa e ventosa soprattutto in questa stagione e ciò non attira molto i turisti.

Come per sfatare l'ironico detto del luogo In Bretagna fa bel tempo più volte al giorno, il mattino successivo non solo non piove ma il sole fa qualche apparizione, timida all'inizio, poi più calda. Scendiamo verso la costa che dalla casa si vede in lontananza.
La stradina asfaltata si trasforma rapidamente in sentiero e poi in una scalinata che arriva sulla spiaggia di ciotoli. Qua e là delle case isolate circondate da prati e poi da alberi e cespugli. Sorprendentemente delle palme, più adatte al clima mediterraneo, svettano di tanto in tanto accanto a pini e abeti.

Mentre siamo in riva al mare arriva una giovane donna sorridente che ci saluta, si mette in costume da bagno e entre nell'acqua dicembrina mentre noi abbottoniamo il cappotto.

Una “Croce delle vedove” che ormai, corrosa dalla salsedine, sembra piuttosto un obelisco, si eleva su uno dei promontori che dominano la baia. È uno dei tanti simboli sacri che costellano la regione, ricordo dei marinai scomparsi in mare e segno di una pratica religiosa che nel passato è stata molto popolare.
La Bretagna è una regione di vento e di pietra che ha sempre avuto un legame fortissimo con l'oceano che la circonda. Nel cimitero di Ploublazanec un lungo muro ricorda con una successione di lapidi i numerosi marinai mai più tornati dalle campagne di pesca al merluzzo.

Per quasi un secolo, dal 1852 al 1935, da Paimpol e dai paesi vicini, decine di pescherecci partirono verso i mari di Islanda. Al suo apogeo, alla fine del XIX secolo, la flotta di Paimpol contava 80 golette. I pescherecci partivano per più di un mese verso le acque glaciali dell'Artico. Il lavoro dei marinai era durissimo e il rischio molto elevato: negli ottant'anni di quell'epopea 120 battelli fecero naufragio e più di 2000 marinai morirono in mare.

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