La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



mercoledì 16 giugno 2010

Sulle colline d'Umbria

Dalla superstrada Cesena Roma si prende la statale per Urbino. La deviazione porta a Val dell'orto. Ad una croce di legno, prima del paese, c'è una strada bianca sulla sinistra. Dopo più di due chilometri (la strada non è facile) si arriva al casolare di Carrubio. Parcheggiamo nel cortile dopo aver aggirato la casa. Ci sono un numero indefinito di gatti e gattini (più di 12), galline, oche, un cane. Si sente qualche pecora (le campanelle).
Il casale è massiccio, sembra una fortezza. Al pianterreno l'antica stalla è stata trasformata in una grande sala. Due archi la dividono. Un grande camino e una tavola di legno lunghissima. In un angolo una poltrona davanti al televisore.
Poi ci sono delle stanze, arredate con rustici mobili d'epoca. Nelle camere non c'è luce elettrica ma solo candele. La stanza è molto spaziosa, con un letto grandissimo, una culla e un altro lettino. Ai muri, delle vecchie fotografie e delle pagelle altrettanto vecchie.
Una finestra dà sul cortile, l'altra, dal lato opposto, si apre sulla valle. Il pavimento è in mattoni.
Per entrare in questa camera si passa da uno studio, poco più piccolo, con una scrivania e due librerie. Tra i libri, un trattato di medicina salernitana in latino, tradotto in francese in versi.
Una porta dà nel bagno, un'altra su una scala a chiocciola in ferro che permette di scendere nella grande sala al pianterreno.
La famiglia è composta da tre persone. Francesco è il padre. Sembra malato; mangia sempre molto poco e poi prende tre o quattro scatole di medicine e si allontana. Ama gli animali. E' lui che ha trasformato il casolare in un'arca di Noè. Aveva una pecora che lo seguiva come un cagnolino e che veniva a chiamarlo alla finestra quando voleva qualcosa. Francesco sembrava capirne il linguaggio. Un cane randagio e in pessimo stato, sporco, spelacchiato e impaurito, forse abbandonato dai cacciatori, è stato battezzato "bruttina". Ha avuto un cucciolo, stranamente bello che è stato chiamato "beau".
Francesco è romano e ha conservato l'accento del suo dialetto. Suo nonno fu il più giovane laureato in medicina nel 1933 (a 23 anni). La moglie di Francesco si chiama Anna. Porta vestaglie di cotone. E' una signora molto modesta ma molto istruita. Si occupa dell'agriturismo con suo figlio Carlo. Quest'ultimo deve avere una trentina d'anni. Nella sua camera una bandiera di Cuba.
Anna è stata una militante sindacale. Ancora adesso (è in pensione) si occupa di molte cose. Ha praticamente adottato una bambina, Amira, di origine tunisina. Anna aiuta Leila, la mamma di Amira, a cavarsela. Leila è stata abbandonata dal marito che è tornato in Tunisia e si è risposato.

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