La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 18 maggio 2013

Dalle parti di Proust

Nogent-le-Rotrou è una cittadina di provincia, sous-prefecture come dicono i francesi, mettendo nella definizione un po' di sufficienza. L'immancabile centro commerciale accoglie il viaggiatore, poi ampie piazze trasformate in parcheggi e viali alberati occupati nell'ora serale da stormi di cornacchie gracidanti. Non è un luogo sgradevole ma nemmeno molto animato se non nella breve via pedonale nella quale sembrano concentrarsi quasi tutti i negozi cittadini.
Sulla vetrina di una panetteria un manifestino invita ad una conferenza su Marcel Proust.
L'occasione è il centenario del primo libro de Alla Ricerca del tempo perduto: Dalla parte di Swann, pubblicato infatti nel 1913, e la conferenza è organizzata dalla Società degli amici di Marcel Proust e degli amici di Combray.
Combray è, nel romanzo, il nome del borgo in cui si svolgono le «avventure» del giovane protagonista in vacanza. Il vero nome del paese, dove si può oggi visitare la casa della zia Léonie, è Illiers, anzi era perché, caso più unico che raro, dopo la morte dello scrittore, il borgo è stato ribattezzato Illiers-Combray, assumendo il nome fittizio che gli aveva dato lo scrittore.
Illiers-Combray si trova ad una trentina di chilometri da qui ed è anche per questo che la conferenza si svolge a Nogent.
Nella salle des fêtes comunale, (sala polivalente immancabile in ogni comune francese) il pubblico è abbastanza numeroso. Molti sembrano conoscersi (senz'altro amici dell'associazione). Prima della conferenza la presidente ricorda le prossime iniziative: Visita alla casa di Zia Léonie, nella quale Proust abitò, proiezione di un film, cena al ristorante Les aubepines (il famoso biancospino del romanzo)...
Poi lascia la parola alla studiosa che ci parla delle vicissitudini inerenti la scrittura e la pubblicazione dell'opera di cui si festeggia l'anniversario.
Un'opera davvero fuori dal comune quella di Proust. Definita opera cattedrale proprio perché il contenuto è nella stessa struttura, nei muri, nelle colonne, nelle nicchie e nelle guglie. Un'opera divisa in molti volumi per esigenze editoriali ma che l'autore avrebbe voluto vedere pubblicata in un solo libro.
Centinaia di pagine di fitta scrittura, risultato di ore ed ore di lavoro solitario in una stanza chiusa a tutte le voci del mondo, con le pareti tappezzate di sughero per attenuare i rumori della strada. La Ricerca è un romanzo di cui Proust scrive dapprima l'inizio e la fine, romanzo che poi si dilata a poco a poco, si amplifica dall'interno con ramificazioni e aggiunte che ne accrescono il corpo fino ad un risultato eccezionale, e non solo per la lunghezza. Anche materialmente lo scrittore ha dovuto trovare un sistema per poter integrare le sue aggiunte. Dopo aver riempito i margini del quaderno, quando ormai non aveva più spazio, incollava sui bordi dei pezzi di carta (les paperoles) che poi ripiegava dopo averli riempiti di scrittura. Non stupisce del tutto il fatto che il primo manoscritto presentato all'editore fosse rifiutato costringendo l'autore a pubblicarlo a sue spese.
I sette libri che alla fine compongono questa cattedrale hanno una concezione unitaria che solo dopo la lettura dell'ultimo, Il tempo ritrovato, appare evidente. Anche per questo alla pubblicazione dei primi volumi, molti critici rimasero sconcertati e non riuscirono a capire il senso dell'opera. Chi è questo scrittore che per pagine e pagine ci parla delle sue giornate, che ci racconta nei minimi dettagli gli avvenimenti della sua fanciullezza, le sue avventure che poi avventure non sono perché fatte di mille banalità insignificanti? Come ad esempio quel biscottino immerso nel té (la famosa madeleine) che innesca il flusso dei ricordi e mette in modo un processo che sembra non finire mai. Frasi lunghissime, al punto da diventate proverbiali, con incisi che si inseguono, si intrecciano, si annodano e ne dilatano la forma.
Al termine di Settecentododici pagine di questo manoscritto (almeno settecentododici, perché molte pagine hanno un numero ornato di un bis, ter, quater, quinque), dopo l'immensa desolazione che si prova nel sentirsi annegare in insondabili sviluppi e l'esasperante impazienza di non poter riemergerne, non si ha alcuna, alcuna nozione di ciò di cui si tratta. A che cosa serve tutto ciò? Che cosa significa? Dove ci porta? Impossibile saperlo! Impossibile poterlo dire! Così scrive, un po' esasperato in effetti, nel suo rapporto il critico che lavorava per l'editore a cui Proust aveva presentato il manoscritto. 
Ma, senza intaccare il carattere unitario del racconto, tutte le aggiunte non disperdono la narrazione anzi ne cuciono i lembi e ne stringono i legami.
Come dice Jean-Yves Tadié che ha curato l'edizione critica della Recherche per l'editore Gallimard:
I fatti non immediatamente spiegati, i segreti o i misteri dei personaggi, un narratore impenetrabile a se stesso, il ritorno dei temi, le ripetizioni, lo svelarsi progressivo, tutti procedimenti tecnici che sono il riflesso dell'interrogazione centrale. E questa interrogazione, il principio attorno al quale si struttura l'opera, è quella che ruota attorno all'analisi e all'approfondimento della vocazione di scrittore: la Ricerca è dunque l'apprendistato con il quale Proust diventa scrittore.

Ma avevo un bel sostare davanti ai biancospini a respirare, a portare dinanzi al mio pensiero, che non sapeva cosa dovesse farne, a perdere e ritrovare  il loro profumo invisibile e persistente, a unirmi al ritmo che lanciava qua e là i loro fiori, con giovanile allegrezza e a intervalli inattesi come certe pause musicali; essi mi offrivano indefinitamente lo stesso incanto con una profusione inesauribile, ma senza lasciarmelo approfondire ulteriormente, come quelle melodie che si possono suonare cento volte di seguito senza penetrare più intimamente nel loro segreto. Me ne allontanavo un momento, per accostarmene poi con forze più fresche. Inseguivo fin sulla scarpata che, dietro la siepe, si inerpicava, in ripido pendio verso i campi, qualche papavero sperduto, qualche fiordaliso rimasto pigramente indietro, che l'ornavano qua e là con i loro fiori come l'orlo di un arazzo in cui appare appena accennato il motivo agreste che trionferà nel centro; rari ancora, distanziati come le case isolate che annunciano già l’approssimarsi di un paese, essi mi avvertivano dell’immensa distesa dove dilagano le messi, dove si accavallano le nubi, e la vista di un solo papavero che innalzava in cima al suo cordame e dava alla sferza del vento la sua fiamma rossa, al di sopra della sua boa untuosa e nera, mi faceva battere il cuore, allo stesso modo del viaggiatore che scorge sulla spiaggia una prima barca arenata che un calafato sta riparando, ed esclama, prima ancora di averlo visto: «Il Mare!».
Marcel  Proust:  Dalla  parte di  Swann

4 commenti:

  1. Grandioso post, grazie gius.ante,
    tu mi fai viaggiare con la mente come nessuno ha fatto mai, c'è poesia in quel che racconti, e Proust, che non conosco benissimo, adesso mi sembra molto più chiaro e bello.

    Con grande ammirazione un saluto

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  2. Ti ringrazio. Sei molto gentile
    Mi fa piacere far piacere a qualcuno.
    Anche il tuo blog è molto interessante
    e molto ben fatto.
    Un saluto

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  3. Penso di aver iniziato la lettura di “Dalla parte di Swann”, il primo libro della Recherche, almeno tre volte. E non sono mai riuscita ad andare oltre le 80 pagine. Eppure Proust mi affascina. Prima o poi…
    Bel post, come sempre.

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    1. Ma, magari leggerlo a pezzetti non è una cattiva idea. Anche se cosi' rischiamo di ritrovarci confrontati alla domanda che il critico si pose: ma di cosa sta parlando?

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