sabato 10 dicembre 2011
Miguel Torga
Ancora un libro che ho comprato (una ventina di anni fa) per caso. Mi succede spesso data la mia abissale ignoranza e dunque la facilità che ho di cadere su autori sconosciuti. È stampato da un editore francese, José Corti che, come il suo nome lo lascia intuire, si interessa alla letteratura iberica.
Les contes et les nouveaux contes de la montagne di Miguel Torga mi aveva attirato proprio per la mancanza di agghindamenti. Certo non è molto logico come criterio ma, come molti penso, un libro lo noto prima di tutto per la copertina. Però, sarà snobismo?, più è appariscente meno mi attira. E quella dell'edizione Corti è di un banalissimo beige, con modeste scritte verdi o nere. Le pagine intonse non hanno fatto che aumentare la mia curiosità.
Naturalmente non avevo mai sentito parlare dell'autore.
Dopo quel primo incontro ho trovato, questa volta non per caso, altre opere di Torga: Il senhor Ventura, La création du monde, Vendange; sempre in francese*, perché non conosco il portoghese e in italiano per quanto ne so, è stato tradotto poco.
L'universale è il locale meno i muri
Forse è l'aforisma più celebre di Miguel Torga.
Pare che dello scrittore portoghese, considerato nel suo paese un monumento letterario, si sia parlato ripetutamente nella stagione dei premi Nobel ma il suo nome è rimasto, e ormai per sempre, sulla lista delle ipotesi.
Nato nel 1907, Adolfo Correia da Rocha scelse lo speudonimo di Miguel in omaggio ai due grandi della letteratuta iberica: Cervantes e Unamuno. La torga è, in portoghese, l'erica, pianta rude e frugale, capace di resistere alle intemperie, aggrappata alla roccia della montagna. Perché per Miguel Torga la terra, la sua terra, era indispensabile nutrimento nella sua passione per la scrittura.
Dice ne «La creazione del mondo» (1985):
Sarei capace di vivere lontano dalla mia patria nella situazione di un emigrante che si guadagna il pane. D'altronde l'ho già fatto. Ma non potrei mai vivere lontano da essa come scrittore. Mi mancherebbero il dizionario della terra, la grammatica del paesaggio, lo Spirito Santo del popolo.
E in effetti, a soli tredici anni aveva abbandonato il liceo ed era partito, solo, per il Brasile dove, fino a diciotto anni, aveva lavorato come bracciante. Tornato in Portogallo e laureatosi in medicina, Torga passerà più di quarant'anni nel suo modesto ambulatorio di Coimbra curando i suoi pazienti e scrivendo. Comincia a pubblicare le sue prime poesie nel 1928 e continuerà, ancora poesie, racconti, romanzi e un imponente diario, quasi fino alla morte, nel 1995.
La sua professione non è estranea forse al fatto che egli osservi suoi simili con uno sguardo che solo in apparenza è freddo e distaccato ma che in realtà è lucido e sincero.
Un'opera senza compromessi in un paese che dal 1932 alla rivoluzione dei garofani del 1974, vivrà nella morsa della dittatura fascista. Miguel Torga pubblica tutti i libri a sue spese, in edizioni umili e senza fronzoli ma che gli permettevano di rivendicare la sua libertà di scrittore. Difficile posizione, tanto che tra il 1939 e il 1940 passerà anche qualche mese di prigione, costretto in seguito a far stampare le sue opere in Brasile per aggirare la censura.
Ma in portoghese, nel linguaggio popolare, torga vuol dire testardo. E lo scrittore lo era di sicuro, tanto da ironizzare quando uno dei suoi libri era sequestrato: La polizia, con la sua diffidenza professionale nei confronti della verità mi dice se sono o no sulla buona strada.
Trás-os-Montes, «aldilà dei monti» è una regione povera e isolata del nord est del Portogallo, abitata da contadini che vivono spesso nella miseria. È la Montagna, teatro di molte delle sue storie e soprattutto dei Contos da Montahna. Sono contadini quelli di Torga che ricordano a volte i cafoni di Ignazio Silone: schiacciati dalla prepotenza di chi è più forte, faticano a sopravvivere, e lo fanno senza speranze. Ma lo sguardo di Silone era più benevolo. Torga invece non nasconde le responsabilità di ogni uomo, neanche quella dello sfruttato. Le sue storie scrutano l'animo umano: storie amori impossibili e di gelosie, di rivalità e di discordie di pregiudizi e di superstizioni. Il destino sembra soverchiare, come un fato impietoso ogni speranza. Ma non è tutto nero il mondo di Torga, l'amicizia e la generosità, quest'ultima sopratutto quando spunta inattesa, illuminano i paesaggi della Montagna. Paesaggi dipinti con ammirazione, come nel racconto Le vendemmie ma nei quali la realtà della dura vita interrompe l'incanto:
Sparsa sul pendio, la squadra sembrava festeggiare un dio generoso e pagano piuttosto che lavorare. Le terrazze erano gli scalini dell'Olimpo, dove cresceva e poi era colto, lo spirito celeste. Una canzone era un inno di lode. E i panieri traboccanti, scendendo dai gradini di scisto sulle spalle dei devoti fedeli, in fila indiana, sonora e rituale, erano i doni del Signore colmo d'amore, che chiedeva solo allegria in cambio dei suoi frutti.
Sembrava che tutto, in quel paradiso sospeso, si muovesse ludicamente e religiosamente. Nessuna pena, nessun odio, senza inquietudini per il futuro. Allegra, l'anima di ogni pellegrino si abbandonava volentieri all'oblio collettivo capace di cancellare dal mondo le miserie e i disinganni. Era come un magico telaio che stesse tessendo la disumanizzazione. E bisognava che uno dei fili della bobina si ingarbugliasse, che ci fosse un intoppo nel ritmo del cerimoniale, per accorgersi che una volontà pratica era qui soggiacente, vigilante e profana. Vitorino non era ancora uscito dalla sua contemplazione quando Seara, l'intendente, gli gridò nelle orecchie:
-Sei sulla luna? Datti una mossa! In piedi e aspettami nella cantina, devi preparare un tino.**
La scrittura di Torga ha il carattere del suo autore; va alla sostanza, non si preoccupa degli abbellimenti. È un realismo che fino alla fine ha scavato nell'animo umano, cercando l'essenziale, cercando nell'uomo la verità.
* Traduzione francese di Claire Cayron
**Contos da Montahna.(1941)
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