La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



venerdì 25 giugno 2021

La scoperta della Montagna

Andare in montagna, l’espressione è trasparente, non dà luogo ad equivoci. Immaginiamo subito escursioni, arrampicate o più tranquille scampagnate all’ombra di boschi e picchi rocciosi. Eppure per me questa espressione tutto sommato banale, ha avuto per lungo tempo un senso misterioso e quasi segreto. Da bambino passavo le mie vacanze in un paese a più di milletrecento metri di altezza, in montagna appunto. Abitavamo in una provincia del settentrione dove i miei genitori erano emigrati in cerca di lavoro ma eravamo originari di quel piccolo borgo sulle pendici di un Appennino che là si faceva più rude. Anch’io ero nato in una di quelle case che sembrano aggrappate alla roccia e lì avevo imparato a camminare e a parlare. Niente di più però perché la mia infanzia l’avevo passata lontano da quei paesaggi che, forse per questo erano diventati per me un po’ mitici. I ricordi erano pochi, piuttosto racconti ascoltati di aneddoti e di piccole avventure quotidiane. A poco a poco, quell’universo così diverso dalle pianure nebbiose del nord Italia si era trasformato in un luogo sognato, un mondo da conoscere e da esplorare. Il primo viaggio consapevole lo ricordo fatto con mio padre che era tornato laggiù per votare ad un’elezione comunale. Più tardi, quasi adolescente, presi l’abitudine di passare laggiù tutte le vacanze estive. I miei genitori mi affidavano ad un compaesano che faceva lo stesso viaggio e, dopo lunghe ore su un treno notturno, seguite da un ultimo percorso in pullman arrivavo accolto da nonni e zii che si occupavano di me. Naturalmente non c’era nessuno per farmi visitare la regione anzi, le mie escursioni si limitavano al paese e ai suoi dintorni. Spesso vedevo gente che partiva in macchina o a piedi, per risalire i pendii che facevano da sfondo al borgo. Fu allora che cominciai a sentire quell’espressione: “Andiamo in montagna”. Ma come, pensavo, dove siamo qui, siamo forse al mare? In effetti da queste parti per andare “in montagna” bisogna oltrepassare il valico di Capo la Serra o, a piedi quello del Vado della Montagna. Si arriva così sull’altipiano di Campo Imperatore. La “montagna” intesa in questo senso, è un po’ il corrispettivo dell’alpeggio sulle Alpi appunto. Per anni ho sentito parlare di questo luogo immaginandolo, senza mai vederlo. La prima volta che lo scoprii fu grazie ad una vicina di casa. Suo marito e suo figlio erano pastori e, naturalmente, durante l’estate, il loro gregge approfittava delle praterie di quel vasto altipiano. Quell’anno, come da tradizione, la rassegna ovina riuniva pastori e greggi all’inizio del mese di agosto. La signora propose ai miei nonni di lasciare che mi unissi alla sua famiglia che aveva previsto una scampagnata. Partii con il figlio dunque ma prestissimo, quando era ancora notte. Una zia si era alzata per prepararmi la colazione ma io ero talmente impaziente che mangiai poco e in fretta. Del breve viaggio fino all’altipiano non ricordo molto, era ancora buio, i paesaggi erano ancora nascosti, faceva freddo. Ricordo però che, arrivati sul Campo, lasciammo la strada asfaltata per inoltrarci lungo una mulattiera per raggiungere lo stazzo. Chi conosce Campo Imperatore sa che, senza punti di riferimento visivi, le distanze sono ingannevoli, quello che sembra un prato si estende in effetto per chilometri. L’alba cominciava a schiarire il cielo e a poco a poco apparivano le montagne che delimitano l’altipiano. Vicino allo stazzo una capanna assai rustica serviva di riparo ai pastori. Gli odori erano intensi, resi ancora più dall’aria fredda del mattino. Mi misi in un angolo mentre gli uomini si affaccendavano per mungere le pecore. In un grande calderone il latte era messo a scaldare mentre uno dei pastori lo mescolava con un lungo attrezzo in legno. I cani aspettavano tranquillamente, chi sdraiato lì vicino, chi curiosando tra l’erba. L’aria, ancora fredda, si faceva sempre più chiara fino a quando, all’improvviso, un raggio di sole spuntò dietro il crinale dei monti. D’un tratto i caldi colori illuminarono uomini, animali e cose. Un momento davvero magico, irripetibile. Vedere quello spettacolo per la prima volta fu un avvenimento indimenticabile. Più tardi raggiungemmo il luogo di raduno delle greggi, un mercatino animava la manifestazione e, dall’alto di un palco, i discorsi di rito si susseguivano. Infine andammo sotto la pineta per fare merenda con altre persone, amici e parenti. Senz’altro una bella giornata i cui dettagli però scomparvero ben presto dalla mia memoria, occultati da quel momento incantato vissuto una volta per sempre.