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venerdì 31 luglio 2015
L'Ambrosina
Le
vacanze cominciavano quando vedevamo il mare. Lo scoprivamo ad un
tratto dal finestrino del treno che correva verso sud lungo la costa.
Paesi accesi improvvisamente dal sole che si alzava rosso fuoco e poi
subito giallo dall'orizzonte azzurro. A tratti apparivano file di
ombrelloni colorati, ancora chiusi, ognuno con una sedia a sdraio,
chiusa anch'essa, tutte appoggiate in file ordinate come per un
omaggio al sole nascente. Di tanto in tanto si vedeva una barca,
sembrava immobile nel quadro del finestrino e poco dopo il
porticciolo in un'apparizione rapidissima. Gli oleandri in fiore
bianchi e rossi nascondevano l'orizzonte che poi si apriva di nuovo
sul riflesso del sole sull'acqua.
Sapevamo
che il viaggio stava per finire. Aprendo il finestrino sembrava di
sentire un odore particolare, portato dal fresco dell'aria del
mattino.
Ma
il mare rimaneva nel ricordo come una lunga cartolina, scritta ad un
amico lontano, poi spedita e la cui immagine si affievoliva a poco a
poco nella memoria. Perché la costa non era la nostra destinazione.
Per anni spiagge e ombrelloni resteranno come un universo estraneo,
visto come un miraggio dal finestrino di un treno e mai conosciuto
concretamente. Arrivati alla stazione scendevamo e ci mettevamo alla
ricerca dell'autobus che ci portava verso le montagne. E già qui non
era difficile trovare qualche viso noto di persona diretta allo
stesso paese, riascoltando così la lingua dell'infanzia mai
dimenticata. Immancabilmente c'era un tassista, annoiato nell'attesa
dei clienti che spiegava che la corriera non c'era o che sarebbe
partita molto più tardi. Ma il trucchetto per rimediare una corsa
non funzionava mai.
Eravamo
partiti la sera prima dalla stazione della città. La fabbrica di
automobili, come allora ancora si usava, aveva chiuso i cancelli per
tre settimane e, senza accordi espliciti, ma seguendo la norma
dettata dal capogruppo, tutti gli altri stabilimenti avevano seguito
la regola. Migliaia di famiglie si erano affrettate lungo i binari
dove “diretti” e “direttissimi”, come si chiamavano allora,
si erano riempiti in un attimo. I più sfortunati tra i viaggiatori
restavano nei corridoi, seduti sulle valigie, rassegnati alla
prospettiva di una lunga notte che avrebbe indolenzito le ossa ancora
stanche dal lavoro quotidiano alla catena. La città si svuotava, i
negozi chiudevano al punto che per i pochi abitanti rimasti i due
quotidiani locali pubblicavano le liste di panetterie e altri negozi
restati aperti. Più di una vacanza era il ritorno a casa,
momentaneo, di chi era arrivato
qualche anno prima con
migliaia di altri, i napuli
come li chiamavano allora quelli che invece
parlavano con l'accento del
nord e che mal
ne sopportatavano
la cosiddetta
invasione.
Il
viaggio di ritorno era per
noi relativamente breve,
scendevamo dal treno mentre alti viaggiatori contuinuavano il
percorso verso la lunga penisola pugliese.
Sulla
piazza della stazione cercavamo l'autobus rosso, quasi
un'istituzione. Perché la domenica, nella stagione estiva una linea
speciale collegava la costa al Gran Sasso. L'idea
era sviluppare il turismo locale, portando al fresco delle montagne i
cittadini della città costiera. Ma erano piuttosto gli emigrati che
tornavano a casa ad
approfittare di questa corsa supplementare.
I
veicoli erano della
società “Rossi & Ambrosini” ed è per questo che tutti
conoscevano l'autobus delle
9.00 con il soprannome di Ambrosina. La
linea regolare aggirava la montagna risalendo la valle del Pescara e
poi quella del Tirino.
L'Ambrosina invece si
dirigeva direttamente verso
le pendici orientali del Gran Sasso, attraversando l'entroterra e
risalendo verso il valico di Forca di Penne, là
dove per secoli erano passate le greggi seguendo il “tratturo
magno”. Il percorso inverso
a quello seguito da Annibale nella sua discesa verso le Puglie.
Brittoli era l'ultimo paese
del versante pescarese, poi la strada, che continuava a salire non
era più asfaltata e una nuvola di polvere si
posava sul
rosso vivo dell'autobus. Bisognava chiudere rapidamente i finestrini
e, nella giornata estiva, il calore cominciava a farsi sentire. Dopo
il valico una lunga discesa finiva all'incrocio con la statale
proveniente dalla valle del Tirino. La strada riprendeva il suo
aspetto normale e ricominciava a salire verso la nostra meta.
Attraversato
l'ultimo villaggio, sull'autobus restavano solo facce più o meno
conosciute, parenti più o meno lontani. Si riconoscevano le contrade
e a memoria si contavano le curve che mancavano prima di quella
fatidica dopo la quale appariva la piramide del paese arroccato sulla
montagna.
L'autista
annunciava con fragorosi colpi di clacson bitonale l'arrivo a Castel
del Monte. Si fermava sulla piazza. Davanti ad un palazzotto occupato
dall'esattoria e dal barbiere. Per tutta la lunghezza della facciata
correvano tre scalini sui quali stavano seduti gli anziani del paese,
quasi tutti con un cappello in testa e bastone tra le mani,
commentando e assertendo su fatti e persone. L'arrivo dell'autobus
era un'occasione per movimentare un po' la giornata. Poi attorno
all'Ambrosina si radunavano parenti e amici, con abbracci e
esclamazioni, si scaricavano le valige e, a gruppetti ci si dirigeva
verso casa dove il pranzo era già quasi pronto e per alcuni non
mancava il brodo di gallina perché, tutti lo sanno... per chi
viaggia il brodo con le vularelle, i quadrettini di pasta
all'uovo, è una panacea.
giovedì 9 luglio 2015
Vassilis Alexakis: Il clarinetto
La manifestazione si
è conclusa nelle sale del municipio con un dibattito sull'avvenire
del romanzo. E' stato introdotto da uno studioso di letteratura, un
uomo di una certa età che da qualche anno moltiplica gli interventi
sul tema nei saloni del libro e sulla stampa ma che ha scritto una
sola opera che racconta l'ascensione dell'Himalaya compiuta da tre
amici d'infanzia provenienti da Quimper. Ha denunciato l'egocentrismo
degli autori contemporanei che si interessano solo a se stessi, che
rimuginano pagina dopo pagina le proprie delusioni, che non vanno mai
più in là dell'ufficio postale del loro quartiere, e li ha
vivamente incoraggiati a viaggiare, a confrontarsi con la diversità
degli uomini, insomma ad abbracciare il vasto mondo. Non ha mancato
di evocare il caso di Flaubert che effettivamente aveva compiuto
qualche gran viaggio. Mi è venuto in mente che effettivamente era
stato in Grecia. Tra i presenti, il discorso è stato accolto meglio
dagli stranieri che dai francesi. Fernand Mondego ha fatto notare,
molto giudiziosamente bisogna ammetterlo, che l'importanza del
soggetto non determinava assolutamente la qualità del romanzo. Anche
lui ha citato Flaubert asserendo che il tema di Madame Bovary era a
prima vista del tutto insignificante. Quanto a me, ero rimasto
indignato alla pretesa dell'oratore di dare delle direttive ai
romanzieri. Per il piacere di contraddirlo ho accentuato l'idea di
Fernand Mondego affermando che la missione principale della
letteratura era di cogliere le vaghe idee concepite mentre si aspetta
che l'acqua per gli spaghetti cominci a bollire.
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