La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



mercoledì 24 gennaio 2018

Louis Ferdinand Céline: Viaggio al termine della notte

Louis Ferdinand Céline è l'autore di un'opera che ha segnato la Storia della letteratura e non solo di quella francese.
Tra i suoi romanzi, Viaggio al termine della notte è senz'altro il più intenso e potente.
Ferdinand Bardamu, il personaggio principale – lo sarà anche del successivo Morte a credito – racconta, in prima persona, le sue peripezie attraverso tre continenti in momenti storici cruciali. Partecipa alla prima guerra mondiale e ne descrive severamente la crudeltà e la violenza, l'inettitudine degli ufficiali, la spietatezza e la ferocia del conflitto che priva di ogni umanità coloro che vi partecipano. Alla fine della guerra Bardamu va in Africa e qui trova un'altra piaga, quella del colonialismo, sistema perverso e diabolico che attira subdolamente soprattutto quelli come lui reduci non solo dalle trincee ma da tutto, sperduti e senza futuro. Una nuova fuga da questo universo lo spinge fino in America. Ed eccolo quindi negli Stati Uniti, il regno del dio denaro nel quale ogni cosa, anche l'umanità è mercificata. Nelle fabbriche di Detroit Bardamu scopre l'alienazione operaia e la miseria degli uomini sottomessi alle macchine. È qui che incontra il solo personaggio positivo del suo viaggio: Molly, una ragazza di cui si innamorerà. Ma quest'incontro non sarà sufficiente ad interrompere il suo viaggio al termine della notte; tornato in Francia Bardamu riprenderà gli studi di medicina che aveva abbandonato allo scoppio della guerra e andrà a vivere nella periferia parigina dove si troverà a curare i poveri riscoprendo la stessa miseria che aveva incontrato in giro per il mondo.
Quello che colpisce nel romanzo di Céline è soprattutto la sua rappresentazione della società umana. Nel racconto non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall'altra; senza manicheismo, il giudizio del narratore è acerbo e severo contro tutti, siano essi sfruttati o sfruttatori. In una sorta di nichilismo cosmico egli non fa nessuna concessione, non ha nessuna compassione nemmeno per le vittime; per tutti c'è la denuncia della loro vigliaccheria.
Lo stile del romanzo è assolutamente fuori dagli schemi e dalla tradizione letteraria. L'uso dell'argot, il gergo popolare parigino, la frase che tende a rompere la struttura logica, fanno della prosa del Viaggio qualcosa di insolito e straordinario. Il libro, pubblicato nel 1932 provocò un vivo dibattito tra detrattori e ammiratori. Ebbe in definitiva un notevole successo e fu tradotto (malgrado l'evidente difficoltà di rendere in altre lingue quel gergo particolarissimo) in 37 paesi. Suscitò l'ammirazione degli ambienti progressisti e anche Leon Trotsky ne fece l'elogio. Solo per pochi voti non ottenne il premio Goncourt, il più importante tra i premi letterari francesi, ma gli fu assegnato un altro apprezzato riconoscimento: il premio Renaudot.
Per molti Voyage au bout de la nuit (forse una traduzione più corretta del titolo, visto anche il tema del romanzo, sarebbe secondo me: Viaggio al fondo della notte) è uno dei libri più importanti della letteratura del XX secolo. Tra tutti ricordiamo l'apprezzamento dello scrittore americano Philip Roth per chi Céline era il più grande di tutti romanzieri.
Niente in questo libro lascia apparire il razzismo dello scrittore anzi la sua prosa suscitava l'ammirazione anche nel Partito comunista francese.
Eppure, pochi anni dopo, le scelte personali e i pamphlet antisemiti di Céline non lasceranno spazio a dubbi. A guerra già praticamente finita lo scrittore seguì le truppe tedesche nella loro ritirata dalla Francia e propose la sua collaborazione agli ultimi pétainistes, i seguaci del maresciallo Pétain che, ancora convinti di poter evitare la disfatta, volevano costituire un governo francese filonazista in esilio. Fu arrestato in Danimarca dove passò più di un anno in prigione. Nel 1950 fu condannato da un tribunale francese per atti pregiudizievoli alla difesa nazionale ma non per tradimento. Quella sentenza relativamente clemente gli evitò un ritorno in carcere; l'anno di prigione già effettuato azzerò la pena.
Nel 2017 ancora una volta Louis Ferdinand Destouche, - è il nome all'anagrafe dello scrittore - è tornato alla ribalta delle pagine letterarie dei quotidiani francesi. La sua vedova Lucette, alla veneranda età di 105 anni ha autorizzato l'editore francese Gallimard a pubblicare i tre pamphlet antisemiti scritti da Céline a partire dal 1937. Lucette Destouche aveva fino ad oggi rifiutato la pubblicazione dei testi che considerava all'origine di tutte [le loro] disgrazie. Gli scritti erano già stati pubblicati in Canada senza il suo accordo (perché per la legge di quel paese erano entrati nel dominio pubblico dopo 50 anni) ma non in Francia dove un'opera perde i diritti d'autore solo dopo 75 anni. La possibilità di una tale diffusione nel paese d'origine dello scrittore ha provocato un vivo dibattito. Da un lato coloro che considerano negativamente questa eventualità: sono testi ignobili, diffondono idee spregevoli e secondo loro, non devono essere messi nelle mani di tutti. Dall'altra c'è chi pensa che, di fronte ad un'inevitabile diffusione via internet, sarebbe stato meglio proporre un'edizione “ufficiale” con un apparato critico capace di mettere l'accento sulle aberrazioni concettuali.
Di fronte alla protesta di numerosi uomini e donne di cultura contrari alla pubblicazione, l'editore Gallimard ha rinunciato all'impresa. Bisogna dire che l'edizione canadese non era proprio un buon esempio. Pubblicati da un editore con inquietanti simpatie per l'estrema destra, i tre pamphlet erano stati stampati con il titolo Écrits polémiques, titolo eufemistico come se quegli argomenti fossero solo “polemici” e non infamanti.
In realtà i tre testi: Bagatelles pour un massacre, L'école des cadavres, Les beaux draps sono scritti che esprimono in una prosa turpe e aggressiva un razzismo e un antisemitismo intollerabili e ingiustificabili.
Resta quindi il dilemma: è possibile separare lo scrittore del Viaggio al termine della notte ma anche di Morte a credito da quello che affermava in L'école des cadavres: “Mi sento molto amico di Hitler, molto amico di tutti i tedeschi, li considero come fratelli e hanno tutte le ragioni di essere razzisti.”?
Non è la prima volta che emerge la questione del rapporto tra autore e opera. Un caso altrettanto emblematico era stato quello di Ezra Pound, grandissimo poeta ma anche ammiratore di Hitler e di Mussolini. Per quel che riguarda Céline il caso è ancora più complesso: è giusto edulcorare la sua produzione letteraria facendo la cernita nei suoi scritti tra il “capolavoro” e l'”infamia”? Al momento dell'edizione dell'opera nella prestigiosa collezione della Pleiade, riconoscimento importantissimo per un autore, i pamphlet vennero scartati, non senza qualche discussione.
Gli Strutturalisti pensavano di aver risolto il problema leggendo nell'opera un universo unico, completamente avulso dall'autore, eliminato in quanto individuo e al quale davano solo una funzione.
Ma in definitiva come leggere i romanzi di Céline senza pensare agli agghiaccianti propositi espressi dallo stesso scrittore? È possibile separare l'opera dall'autore? Ammirare un libro e detestare la persona che lo ha scritto?

mercoledì 10 gennaio 2018

Henry David Thoreau: Walden o la vita nei boschi.


In ogni tempo, a qualsiasi ora del giorno o della notte, mi sono sforzato di privilegiare l'istante presente e di segnarlo con una tacca sul mio bastone; di tenermi a questa convergenza tra due eternità, il passato e l'avvenire, precisamente ciò che è l'istante presente; di seguire questa linea in punta di piedi. Mi scuserete qualche oscurità, poiché ci sono più segreti nel mio mestiere che in quelli della maggior parte degli uomini; eppure non lo faccio apposta, essi sono indissociabili dalla sua stessa natura. Svelerei volentieri tutto ciò che so, senza mai scrivere “Ingresso vietato” sulla mia porta.
Henry David Thoreau, poeta e filosofo statunitense viveva a Concord, un paese di duemila abitanti situato a una ventina di chilometri da Boston. A Concord era nato nel 1817 e qui, malato di tubercolosi, morirà prematuramente nel 1862.
Thoreau passò due anni, tra il 1845 e il 1847 in una capanna che egli stesso aveva costruito vicino al lago Walden, non lontano dalla cittadina. Da questa esperienza prese spunto il suo libro più importante, tradotto in italiano con il titolo Walden o la vita nei boschi. (o nel bosco. Secondo le edizioni)
Amico, e per un certo tempo discepolo, di un altro celebre filosofo americano: Ralph Valdo Emerson, uno dei padri del Trascendentalismo, Thoreau è oggi considerato come uno dei precursori delle teorie ecologiste. Certamente i suoi scritti sono importanti in quest'ambito ma sarebbe riduttivo circoscrivere il suo pensiero all'ambientalismo.
Pacifista e antischiavista, non esitò a impegnarsi in prima persona nella lotta per la liberazione dei neri e l'abolizione della schiavitù. Rifiutò di pagare la tassa che serviva a finanziare la guerra contro il Messico (passò una notte in prigione e seppe utilizzare quell'esperienza per propagandare le sue idee in un testo che farà molto scalpore: La disobbedienza civile.
Thoreau aveva fatto degli studi classici. Già a Concord aveva imparato il latino e il greco ma anche il francese, l'italiano, il tedesco e lo spagnolo. Grazie ad una borsa di studio poté frequentare l'università di Harvard dove studiò la retorica, la filosofia, le scienze e la teologia.
Tornato a Concord, fu per breve tempo maestro elementare ma abbandonò rapidamente il suo posto rifiutando di infliggere, come invece allora era d'uso, le punizioni corporali ai suoi alunni.
Decise, con il fratello, di aprire una scuola privata nella quale mettere in pratica concezioni dell'insegnamento antiautoritarie e tolleranti. Anche in quest'ambito essenziale era per lui il contatto con la natura ed infatti la sua pedagogia dava grande importanza sulla scoperta dell'ambiente circostante e per questo accompagnava i suoi alunni in lunghe passeggiate nei boschi.
Dopo varie peripezie, un soggiorno di un anno a New York e la morte del fratello, Thoreau tornò a Concord dove decise di costruire una capanna sulle rive del lago Walden. L'idea era quella di avere un posto tranquillo dove scrivere ma soprattutto dove mettere in pratica le sue teorie.
Esistono oggi professori di filosofia ma nessun filosofo. Eppure è lodevole professare poiché tempo fa era lodevole vivere. Essere filosofo non vuol dire semplicemente avere dei pensieri arguti, e nemmeno fondare una scuola, ma amare la saggezza al punto da vivere secondo i suoi precetti, una vita di semplicità, d'indipendenza, di magnanimità e di fiducia. È risolvere qualcuno dei problemi della vita, non in maniera teorica, ma pratica. Il successo ottenuto dai grandi studiosi e dagli eminenti pensatori è in generale un successo di cortigiano, né regale né virile. Si arrangiano semplicemente per vivere come conformisti, più o meno come lo furono i loro padri, e non sono per niente i padri di una razza di uomini più nobili.
E in effetti Walden non è solo il diario di un'esperienza personale ma il tentativo di dimostrare concretamente come fosse possibile uscire dai modelli di vita imposti dalla società basata sull'accumulo di ricchezze di averi inutili. Il testo di Thoreau non è sempre molto facile alla lettura. È ricchissimo di citazioni letterarie, filosofiche, mistiche, espressioni proverbiali, inserite nel discorso senza essere messe in evidenza e senza annuncio. Alcune di queste risultano di difficile interpretazione se non addirittura impenetrabili. Lo scrittore attinge a piene mani, grazie alla sua profonda conoscenza, ad autori classici, latini e greci, a testi sacri come il Bagavad Gita o la Bibbia, a racconti della traduzione popolare.
Thoreau visse nei boschi attorno al lago di Walden tra il 1845 e il 1947. Non si trattava di un vero e proprio eremitaggio. Il paese di Concord non era in definitiva molto lontano e egli vi andava quasi tutti i giorni, tornando a volte dalla sue visite con viveri che gli permettevano di variare la sua dieta autarchica. Peraltro, malgrado il suo elogio della solitudine, non disdegnava gli incontri con i suoi vicini e i suoi amici venivano sovente a trovarlo. Avevo tre sedie – racconta nel suo libro – una per la solitudine, una per l'amicizia e una per la società; ma più avanti spiega che le visite erano numerose: ho avuto più visite durante il mio soggiorno nei boschi che durante ogni altro periodo della mia vita. Ed erano visite gradite : Credo di amare la società come la maggior parte della gente e sono pronto ad aggrapparmi come una sanguisuga al primo uomo dal sangue ben ricco che incrocerà il mio cammino.
Il suo libro fu pubblicato una prima volta nel 1854. In una conferenza egli presentò l'opera come “una storia di me stesso”. In realtà che l'obiettivo fosse più ambizioso di quello di scrivere un semplice diario lo si intuisce anche dalla sua struttura. In effetti benché avesse trascorso due anni nei boschi la riflessione dello scrittore è organizzata attorno ad un solo ciclo di stagioni, più simbolico che reale quindi. D'altronde i capitoli sono intercambiabili, gli avvenimenti quotidiani: costruzione della capanna, solitudine, incontri, agricoltura, autosufficienza, economia... sono solo lo spunto per riflessioni, ragionamenti e meditazioni molto più ampi. Inoltre Thoreau riprende e integra nel testo molti passaggi del diario personale – una sorta di zibaldone - che aveva cominciato a redigere già nel 1839. Nell'ultima edizione di Walden, nel 1862, chiederà al suo editore di sopprimere il sottotitolo “o la vita nei boschi”, conservando il solo nome, - che al lettore doveva apparire misterioso - , della località. Probabilmente voleva così eliminare l'aspetto contingente e occasionale del suo scritto e, al contrario, sottolineare il carattere universale e assoluto delle sue riflessioni.
Il discorso del filosofo americano non è sempre lineare. Ad un elogio della frugalità e dell'ozio – Certi giorni non riuscivo a sacrificare la splendida vitalità del momento presente a nessun lavoro, manuale o intellettuale - segue un panegirico della ferrovia fonte di progresso e del commercio, di cui loda lo spirito imprenditoriale e il coraggio. Non è un caso se Thoreau è considerato dai libertariani americani come uno di loro. Allo stesso modo, nonostante la sua proclamata nonviolenza non esitò a schierarsi a fianco dell'attivista abolizionista John Brown quando questi fu condannato per un tentativo di insurrezione contro gli schiavisti; in sua difesa pubblicò un'apologia: A Plea for Captain John Brown.
Walden risulta così un opera in fieri nella quale le apparenti contraddizioni appaiono come in un discorso dialettico in una struttura filosofica che a poco a poco prende forma sotto i nostri occhi.
Sono andato nei boschi perché desideravo vivere in modo equilibrato, affrontare solo i fatti essenziali della vita, vedere se fosse possibile imparare ciò che avrebbe potuto insegnarmi, et non scoprire al momento della mia morte che non avevo vissuto. Non desideravo vivere ciò che non era vita, poiché la vita è preziosa, non desideravo nemmeno coltivare la rassegnazione, a meno che non fosse assolutamente necessario. Desideravo vivere a fondo, succhiare tutto il midollo della vita, vivere con una tale risoluzione spartana al punto che tutto ciò che non fosse stato vita sarebbe caduto in rovina, tagliare larghe bracciate d'erba, e rasare corto, spingere la vita in un angolo e ridurla alle sue componenti più elementari, e se essa avesse dovuto mostrarsi meschina, ebbene allora estrarne tutta l'autentica meschinità e informare il mondo intero di questa meschinità oppure, se essa si fosse rivelata sublime, conoscerla con l'esperienza e riuscire a stabilire un rapporto felice durante la mia escursione successiva.
Ecco quindi che Walden si rivela come una sorta di manuale di filosofia, non di concetti né di teorie ma di esempi tangibili, capaci di ispirare il lettore e di suggerirgli idee e attività pratiche.