venerdì 27 settembre 2019
venerdì 13 settembre 2019
Castel del Monte, tornano i briganti
Anche
quest'anno, l'ultimo sabato di luglio, a Castel del Monte, sono
tornati i briganti. Scesa la sera, il paese medievale ha nuovamente
assunto l'aspetto di scenografia teatrale. Nelle piazzette del centro
storico si è rotto il silenzio abituale dell'ora serale per
un'animazione inconsueta.
La
storia rievocata è quella che avevamo già raccontato (qui). Storia
di speranze e di delusioni. Le speranze che le Camicie rosse di
Garibaldi avevano fatto nascere tra la povera gente del sud Italia,
quei cafoni vissuti per generazioni nella miseria più nera. I
Mille avevano fatto soffiare un vento nuovo anche tra quei contadini,
abituati da secoli ad una cupa rassegnazione (quella rassegnazione raccontata con
acume Carlo Levi nel celebre “Cristo di è fermato a Eboli).
Qualcosa si era mosso.
Poi
venne la delusione. L'amara delusione che accompagnò l'esercito
piemontese. Non solo le cose non erano migliorate ma la leva
obbligatoria aveva aggiunto un'angheria supplementare ad una vita già
difficile.
Così
molti si nascosero sulle montagne, chi per scelta, chi per paura, chi
perché sensibile alle ragioni del clero e dei partigiani dei Borboni
che parlavano di un invasore piemontese e di un governo legittimo che
bisognava restaurare.
E
la repressione dell'esercito fu dura: fucilazioni, persecuzioni,
durissime prigionie.
Tutto
questo racconta lo spettacolo messo in scena nel borgo abruzzese. Con
l'impegno di un gruppo di attori per passione, di Castel del Monte ma anche di Barisciano, che ha incarnato le vicende della grande Storia nelle sue declinazioni locali e che è stato ancora una
volta capace di dare il meglio di sé.
venerdì 6 settembre 2019
Arthur Rimbaud sul San Gottardo
Siamo
in vista dell'entrata nord della galleria del San Gottardo. Una lunga
fila di automobili è già incolonnata e aspetta in proprio turno per
infilarsi nel lungo tunnel di 16 chilometri.
Decidiamo di prendere la
strada che sale verso il valico. La giornata è abbastanza bella e
soleggiata anche se, sul passo, a più di duemila metri, l'aria è
piuttosto fredda. Bei panorami delle montagne svizzere, villaggi con
case in legno e pietra, prati così verdi da sembrare finti. Sul
pianoro che si allunga sul valico è rimasta un po' di neve.
Il
17 novembre 1878 Arthur Rimbaud è a Genova. Vuole imbarcarsi per
l'Egitto. Ha ventiquattro anno e già l'opera poetica che conosciamo
è alle sue spalle. Ha lasciato, questa volta definitivamente,
Charleville-Mézière, la cittadina nelle Ardenne francesi dove era
nato.
Dopo aver attraversato i Vosgi, l'Alsazia (allora tedesca) e il
nord della Svizzera, ha superato il passo del San Gottardo. All'epoca
la galleria ferroviaria era ancora in costruzione e l'unica via che
collegava la Svizzera centrale al Ticino era quella, difficilmente
praticabile se non in estate.
Arrivato
a Genova, il poeta scrive una lettera alla sua famiglia nella quale
racconta la sua avventura. È una scrittura singolare, a volte ripetitiva e un po' maldestra, ma anche leggera e incalzante, ricca di ironia e a momenti quasi ilare, molto diversa da
quella poetica dello stesso autore che siamo abituati a leggere.
Sulla
linea retta che va dalle Ardenne alla Svizzera, volendo
raggiungere da Remiremont la coincidenza tedesca a Wesserling, ho
dovuto passare dai Vosgi: prima in diligenza, poi a piedi, non
potendo più nessuna diligenza circolare con, in media, cinquanta
centimetri di neve e con una bufera prevista.
Ma
l'impresa era il passaggio del Gottardo che non si supera più in
vettura in questa stagione e che quindi io non potevo varcare così.
Ad
Aldorft, la punta meridionale del lago dei Quattro cantoni, che
abbiamo costeggiato con un vapore, comincia la strada del Gottardo.
Ad Amsteng, una quindicina di chilometri dopo Aldorft, la strada
prende a inerpicarsi e a cambiare, acquistando un
carattere alpestre. Non più valli, non si dominano che precipizi al
di là delle pietre miliari della
strada. Prima di arrivare ad Andermatt, si passa in un luogo
dall'orrido notevole detto “il ponte del diavolo”. A Göschener,
un villaggio diventato paese con l'affluenza degli operai, si vede in
fondo alla gola l'apertura della famosa galleria, gli
atelier e le mense delle ditte […].
Poi
comincia la vera salita, all'Hospital credo: prima quasi
un'arrampicata per le traverse, poi dei pianori o semplicemente
strade carrozzabili. Perché bisogna immaginare che non si può
sempre seguirla, sale sempre a zig zag , anche su terrazze molto
dolci, e ciò implicherebbe un tempo infinito mentre in linea d'aria
ci sono solo 4900 piedi di salita per ogni giro o anche meno.
Coloro
che non sono abituati allo spettacolo della montagna scoprono anche
che, se la montagna può avere dei picchi, ci sono anche
montagne senza picchi. La vetta del Gottardo ha in effetti molti
chilometri di superficie.
La
strada non fa che sei metri di larghezza, è ingombra
per tutta la lunghezza da un cumulo di neve alto quasi due metri che,
ad ogni istante allunga sulla strada una barriera alta un metro che
bisogna superare sotto una terribile tormenta di pioggia gelata.
Ecco!
Non ci sono più ombre né sopra, né sotto né attorno, nonostante
siamo circondati da forme enormi; non c'è più strada, precipizi,
gole né cielo; nient'altro che del bianco, da sognare, da toccare,
da vedere o da non vedere, perché è impossibile distogliere gli
occhi dal disturbo bianco che crediamo
essere il centro del sentiero. Impossibile alzare lo sguardo con un
vento così violento, le ciglia e i baffi come stallatiti, l'orecchio
strappato, il collo gonfio. […]
Ci
manca il respiro, in una mezzora la tempesta potrebbe seppellirci
facilmente, ci incoraggiamo gridando (non si sale mai da soli
ma in banda). Infine ecco una casa cantoniera: paghiamo una tazza di
acqua salata 150. In cammino! Ma il vento diventa più violento, la
strada si colma di neve. Ecco un convoglio di slitte, un cavallo
caduto a metà sepolto. Ma la strada sparisce. Da quale lato dei pali
si trova? (Ci sono pali da un solo lato).
Deviamo,
ci immergiamo fino ai fianchi, fino alle ascelle… Un'ombra pallida
dietro una trincea: è l'ostello del Gottardo, stabilimento civile e
di ospitalità, brutta costruzione di abete e pietra; una sorta di
campanile. Al campanello un giovane dall'aria losca ci riceve;
saliamo in una sala bassa e sporca in cui ci offrono d'ufficio pane,
formaggio, zuppa e liquore. Vediamo i bei grossi cani gialli dalla
storia conosciuta. Ben presto arrivano, mezzi morti, i ritardatari
della montagna.
A
sera siamo una trentina e, dopo la zuppa, siamo distribuiti su dei
giacigli duri con scarse coperte. La notte sentiamo i nostri ospiti
esalare in cantici sacri il loro piacere di derubare, un giorno di
più, i governi che finanziano la loro catapecchia.
Al
mattino, dopo il pane-formaggio-grappa, rinvigoriti da questa
ospitalità gratuita che non è da prolungare per il tempo che
promette tempesta, usciamo: questa mattina, al sole, la montagna è
meravigliosa: non c'è più vento, tutta discesa, per traverse, con
dei salti, delle scivolate chilometriche che vi fanno arrivare ad
Airolo, l'altra uscita del tunnel, dove la strada riprende il
carattere alpestre, a tornanti e ingorgata ma in discesa.
È
il Ticino.
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