È a partire dalla fine del Seicento che si comincia a parlare di grand tour. Si trattava di una sorta di viaggio di studio che i giovani aristocratici del nord Europa effettuavano per completare la loro formazione culturale. Partivano, spesso accompagnati da un precettore, per visitare le città e i monumenti e per ammirare le opere artistiche fino ad allora studiate sui libri. Le destinazioni del viaggio erano di solito la Francia, l'Olanda, i paesi tedeschi e l'Italia. Solo i più intrepidi, e raramente, si spingevano fino in Grecia.
Ma anche l'Italia viene scoperta poco a poco. I primi viaggiatori si fermavano nelle città del nord: Verona, Venezia, Ferrara. Le difficoltà, il pericolo e la lunghezza degli spostamenti sconsigliavano la visita delle regioni più meridionali. Un secolo più tardi, il resoconto di qualche intrepido che si era spinto fino a Napoli o in Sicilia, e le scoperte archeologiche, aprirono la strada ad altri viaggiatori che cominciarono a frequentare le regioni del sud Italia. Si ricercavano i siti nei quali si potesse ancora aver la sensazione di ritrovare la civiltà del passato nel suo ambiente naturale.
Anche Goethe, nel 1786, parte per l'Italia. Aveva già 36 anni ed era un personaggio conosciuto e riverito, non solo nel suo paese ma in tutta Europa. Dal 1775 viveva alla corte di Carlo Augusto, duca di Weimar.
Più che una partenza, il 3 settembre, la sua sembra una fuga. Dopo aver fatto tappa a Karlsbad in Boemia, mette capo a sud, passa il Brennero, arriva a Trento per poi proseguire sempre verso sud.
È un viaggio singolare, senza un programma preciso. Goethe si ferma a Verona e Vicenza, poi a Padova e a Venezia. Va a Bologna, attraversa rapidamente la Toscana (non resta a Firenze che 3 ore), visita Assisi e si ferma a Roma per poi continuare verso Napoli.
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J.H.W. Tischbein: Ritratto di Goethe nella campagna romana 1787 |
Lo spirito con cui affronta l'impresa rispecchia i suoi interessi culturali. Snobba i monumenti e l'arte troppo intrisa, secondo lui, di dottrina cattolica. Disdegna il barocco ma anche il gotico e cerca le opere del mondo classico, romano e, più a sud, greco. Così ad Assisi, non entra nemmeno nella basilica di San Francesco e nel suo resoconto non accenna neppure agli affreschi di Giotto. Si attarda invece lungamente davanti al tempio di Minerva, descrivendone la struttura e il sito e provando ad immaginare l'ambiente originario del luogo.
Goethe è un camminatore. Lascia che il vetturino prosegua da Santa Maria degli Angeli verso Foligno e Terni, egli percorre a piedi la salita verso le pendici del Subiaco e la città francescana, poi va, sempre a piedi fino a Foligno. Visita Spoleto (l'acquedotto romano in primo luogo) prima di arrivare a Roma.
Dice di essere in Italia per imparare, sulle orme dei suoi celebri predecessori:
Roma è un mondo e ci vogliono anni per accorgersene. Trovo felici i viaggiatori che vedono e passano! Questa mattina mi sono venute in mente le lettere che Wilckelmann scriveva dall'Italia. Con quale emozione ne ho intrapresa la lettura! Sono trentuno anni che, in questa stessa stagione , egli arrivò qui, povero, matto più di me. Anch'egli nutriva il serio ardore tedesco per gli studi solidi sull'antichità e dell'arte. Come superò le difficoltà bravamente e bene! Quanto è grande per me in tale luogo la memoria di un tale uomo!
La sua concezione del viaggio anticipa quelle dei moderni adepti di questa occupazione:
Bisogna, per così dire, nascere di nuovo, e si deve guardare alle proprie antiche idee come alle proprie scarpe da bambino.
E in effetti a poco a poco il suo atteggiamento cambia. Sembra perdere un po' di quell'altezzosità che, da intellettuale riverito e ammirato, portava con se. Comincia ad interessarsi alle persone che incontra. E anche all'ambiente naturale. Sale tre volte sul Vesuvio che sembra incuriosirlo più di Pompei. Il soggiorno si prolunga. Nel porto di Napoli vede partire la nave per la Sicilia e decide, dopo qualche esitazione, di proseguire per quell'isola. Aveva previsto un tour di qualche mese. Resterà in Italia quasi due anni.
La collezione numismatica del principe Torremuzza a Palermo lo entusiasma: Oggi la Sicilia e la Magna Grecia mi fanno sperare una nuova e più libera vita. Su questo soggetto mi abbandono a delle riflessioni generali ed è una prova che sono ancora poco esperto su di esso; ma, a poco a poco, imparerò anche questo come il resto.
Perché per Goethe il viaggio di formazione si è trasformato, poco a poco, in viaggio di rinascita. Pensa di aver ritrovato lo spirito degli antichi, fino allora imitati ma adesso riportati in vita. Così, di ritorno a Napoli dalla Sicilia, scrive al suo amico Herder:
Per ciò che riguarda Omero, sembra che una benda sia caduta dai miei occhi. Le descrizioni, i paragoni, ci sembrano poetici e, nondimeno, sono più naturali che non si dica, ma trattati con una sincerità, un candore che spaventano. Anche le favole più strane hanno una naturalezza che non ho mai sentita così come in vicinanza delle cose descritte. Permettimi di descrivere in poche parole il moi pensiero: gli antichi rappresentavano l'esistenza e noi, abitualmente, l'effetto.Essi descrivono l'orribile, noi descriviamo orribilmente. Essi il piacevole, noi piacevolmente ecc.Da ciò viene tutto il manierato, lo sforzato, la falsa grazia, l'ampollosità affettata. Poiché si cerca l'effetto e si lavora sull'effetto, non si crede mai di poterlo rendere abbastanza sensibile. Se questo che dico non è nuovo, per lo meno una nuova occasione me l'ha fatto vivamente sentire. Ed ora rive e promontori, golfi e baie, isole e lingue di terra, rocce e coste sabbiose, colline boscose, soavi prati, campi fertili, giardini adorni, alberi coltivati, vigne pendenti, monti avvolti nelle nuvole e pianure sempre ridenti, rupi e scogli, mare che tutto circonda con mille cambiamenti, tutto questo è presente nel moi spirito,e, per me ora l'Odissea è una parola vivente.