domenica 19 maggio 2019
Tiziano Terzani, Un indovino mi disse.
Dopo
aver guardato nel mio passato, l'indovino parlò dei miei rapporti
con i cinque elementi della natura: il fuoco, l'acqua, il legno, il
metallo, la terra. “Tu ami il legno”, disse. È vero: appena
posso mi circondo di oggetti di legno; fra tutte le essenze
preferisco quella del legno di sandalo. “Sei felice se abiti non
lontano dall'acqua.” È vero: a Singapore e a Hong Kong siamo
sempre vissuti con la vista sul mare; in Italia, dalla casa di
campagna, a Orsigna, si sente il fragore del torrente. Poi disse
quella frase che avrebbe determinato la mia vita di un anno.
“Attento! Nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell'anno
non volare. Non volare mai.” Poi, come una consolazione, aggiunse:
“Se sopravvivi a un incidente aereo, vivrai fino all'età di
ottantaquattro anni”.*
Vediamo
nelle fotografie che lo ritraggono, come l’Asia ha cambiato Tiziano
Terzani anche fisicamente, al di là del naturale e logico
invecchiamento, trasformando la figura di un giovane e intraprendente
giornalista in quella di un saggio, quasi un guru di quell’India
che aveva amato e in cui aveva trascorso una parte importante della
sua vita. L'aspetto fisico non è che la parte visibile di
un'evoluzione intellettuale, diremmo quasi spirituale. Conoscere
l'oriente ha portato Tiziano Terzani ad impregnarsi di quelle
culture, tra loro diverse ma tutte ugualmente ricche e profonde, che
permettono di relativizzare l'apparente predominanza della civiltà
occidentale.
Nato
in una modestissima famiglia, - fu solo l'insistenza di un professore
delle medie a convincere i genitori di fargli proseguire gli studi -
egli racconta che i suoi genitori dovettero comprargli a rate i
pantaloni lunghi necessari per frequentare il ginnasio. Terzani era
diventato giornalista per vocazione, una profonda vocazione che
maturò col tempo; aveva rinunciato a un tranquillo e sicuro impiego
alla Banca Toscana, suscitando così la perplessità dei genitori,
per un ipotetico e incerto futuro che non si era ancora
concretizzato. Fu grazie ad una borsa di studio che poté andare
negli Stati Uniti dove, in California, studiò il cinese e dove, a
New York, fece un breve ma significativo stage al New York Times.
Finì poi per accettare un posto all'Olivetti di Ivrea dove ebbe la
possibilità di viaggiare in tutta l'Europa, e poi, per la prima
volta, in Asia. Tornato in Italia cominciò una carriera di
giornalista ma sempre con il desiderio di diventare corrispondente in
Asia. Fu in Germania al settimanale Der Spiegel che trovò una
risposta positiva e uno sbocco alla sua passione.
Singapore,
Hong Kong, la Cina, da dove sarà poi espulso, pagando così una
libertà d’espressione che non poteva essere tollerata, la
Thailandia, l’India, furono i suoi paesi di residenza ma anche
d’adozione. Racconterà anche il Laos, il Vietnam, dove assisterà
alla fuga degli americani e alla nascita della Repubblica Popolare.
Di
tutti questi paesi osserverà con interesse ma anche con diffidenza,
il passaggio dal mondo tradizionale e delle
civiltà arcaiche, alla modernità; analizzerà i tentativi, a volte
fallimentari, a volte catastrofici (come nella Cambogia dei Khmer
rossi) di costruire un progresso fondato su società alternative a
quelle occidentali, sarà testimone disilluso e amareggiato
dell’affermazione di quella società consumistica
fatta di omologazione e di infimo livellamento culturale.
Fu
a Hong Kong che, nel 1976, consultando quasi per scherzo un indovino,
quest'ultimo gli spiegò che, nel 1993 avrebbe rischiato di morire se
avesse volato. Una profezia che Terzani prese con sufficienza ma che
riemerse dai ricordi alla fine del 1992. Un po' per gioco – ma
chissà fino a quanto – decise che non avrebbe preso l'aereo
durante l'anno “pericoloso” e ne informò i responsabili del suo
giornale che
acconsentirono, con qualche comprensibile reticenza all'esigenza.
Questo
libro è dunque la cronaca di quell'anno passato a percorrere via
terra, soprattutto in treno, ma
anche, difficilmente, via mare, migliaia
di chilometri attraverso l'Asia, riscoprendo o scoprendone aspetti
particolari e
luoghi sconosciuti, osservando il mondo orientale più da vicino e
sicuramente più nei dettagli di quanto si possa fare spostandosi in
aereo.
Le
navi sono uno dei più vecchi, più classici e più piacevoli modi di
muoversi per il mondo. Purtroppo anche un modo che sta rapidamente
scomparendo: un altro di quei piaceri che, per necessità di essere
moderni, ci stiamo negando. Le navi esistono ancora; tutte hanno
ancora delle cabine per passeggeri, ma le regole della burocrazia e
delle assicurazioni le hanno rese inaccessibili.*
Memorabile
fu poi il viaggio in treno, Bangkok
– Firenze, intrapreso per l'annuale ritorno a casa, attraverso la
Cambogia, il Vietnam, la Cina, la Mongolia, la Siberia: Adoro
questo mescolarmi a una folla, questo diventare un viaggiatore
qualsiasi, libero dal proprio ruolo, dall'immagine che uno ha di sé
e che è a volte una gabbia stretta come quella del corpo; sicuro di
non imbattermi con qualcuno con cui dover fare conversazione, libero
di mandare al diavolo il primo che ci prova.*
Tiziano
Terzani è stato giornalista ma soprattutto un eccezionale narratore,
capace di coinvolgere il lettore nelle sue storie, pervase
di autoironia ma
soprattutto ricche
di lucide
analisi dell'animo umano e delle società in cui esso si esprime.
Leggendole oggi ci rendiamo conto di quanto le sue premonizioni
sull'evoluzione del mondo fossero spesso esatte
e
pertinenti.
*Tiziano
Terzani, Un
indovino mi disse Tea
venerdì 3 maggio 2019
Firenze
Non
avevo mai conosciuto Firenze più se stessa, o in altre parole più
piacevole, di come la trovai per una settimana, in quello splendido
mese di ottobre. Sedeva nei raggi del sole sulle rive del suo fiume,
come la piccola città gioiello che è sembrata sempre essere, senza
commercio, senza altra industria che la manifattura di fermacarte in
mosaico e di amorini in alabastro, senza attualità, né energia, né
serietà, né nessuna di quelle rudi virtù che, nella maggior parte
dei casi si giudicano indispensabili alla coesione civile; senza
nient'altro che la piccola riserva immutabile dei suoi ricordi
medievali, delle sue colline dai teneri colori, le sue chiese e i
suoi palazzi, i suoi quadri e le sue statue. C'erano pochissimi
stranieri; il detestabile collega di pellegrinaggio era raro, la
popolazione autoctona essa stessa sembrava rara; i rumori delle ruote
nelle vie non erano che occasionali; la sera, verso le otto, tutti
erano a letto, e il passeggiatore sognatore, bighellonando sempre e
sempre sognando, aveva il luogo tutto per sé – aveva le massicce
masse ombrose dei palazzi, le tracce dei raggi della luna sul
selciato poligonali, i ponti deserti, il giallo argenteo dell'Arno,
il silenzio rotto solo dai passi di un ritorno a casa, non
accompagnato da un frammento di canzone cantata da una calda voce
italiana.
Henry
James, Ore italiane.
Tappa
fondamentale di un viaggio in Italia, Firenze ha ispirato
innumerevoli scrittori e scrittrici. Ognuno ha raccontato la città
con uno sguardo particolare, mai obiettivo ma sempre personale, a
volte originale e affascinante, a volte carico di tutti gli
stereotipi che l'Italia e gli italiani - ma senz'altro succede per
ogni paese e per ogni popolo – hanno dovuto subire.
Henry
James non evita lo scoglio, anche lui a momenti cerca la cartolina
dell'Italia sognata ma sa andare oltre, sa raccontarci una città
unica e che lo diventa ancor più sotto la sua penna.
Oggi
è diventato quasi impossibile immaginare Firenze nella sua vita
ordinaria, o allora bisogna allontanarsi dal monumentale centro
città, bighellonare sì, ma tra le vie dei quartieri più popolari,
magari oltrarno, dove ancora, forse, si fa la spesa nei negozi del
borgo o ci si siede selle panchine dei giardinetti.
Saliamo
fino a San Miniato ed entriamo nella splendida basilica che domina la
città. Elegante nella semplice bellezza dell'arte romanica, San
Miniato attrae probabilmente proprio perché sembra scevra della
superbia cittadina.
Da qui il panorama è magnifico; riprodotto e
raccontato in migliaia di immagini ma capace ancora di affascinare
anche l'osservatore più distaccato.
Torniamo
verso il centro attraversando l'Arno sul celebre Ponte Vecchio. Visto
da fuori colpisce il suo aspetto singolare ma, osiamo dirlo: non
bello.
Le costruzioni che lo compongono e che oggi ospitano
gioiellerie e pelletterie, appaiono, soprattutto se viste da vicino,
piuttosto scialbe e banali.
Passiamo
accanto al Duomo, splendido nella sua maestosa imponenza, simbolo
della ricchezza e dell'orgoglio incontenibile della città che ha
inventato il Rinascimento.
Ci
attardiamo davanti al battistero e alla sua Porta del Paradiso, opera
maggiore di Lorenzo Ghiberti. Ormai i pannelli originali sono
custoditi nel museo del Duomo e l'idea di ammirare delle copie toglie
un po' di incanto all'opera.
Nonostante tutto non si può restare insensibili di fronte a tanta maestria. La bravura dell'artista, la profonda conoscenza della prospettiva, la capacità, con un solo dettaglio - il personaggio che “esce” dal quadro e sembra voler eliminare il confine tra realtà e rappresentazione – meritano una sosta prolungata e invitano ad una visita al museo dell'Opera del Duomo per scoprire gli originali di questo capolavoro.
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