mercoledì 24 gennaio 2018
Louis Ferdinand Céline: Viaggio al termine della notte
Louis
Ferdinand Céline
è
l'autore di un'opera che ha segnato la Storia della letteratura e non
solo di
quella
francese.
Tra
i suoi romanzi, Viaggio al termine della notte è senz'altro
il più intenso e potente.
Ferdinand
Bardamu, il personaggio principale – lo sarà anche del successivo
Morte a credito – racconta,
in prima persona, le
sue peripezie attraverso tre continenti in momenti storici cruciali.
Partecipa alla prima guerra mondiale e ne descrive severamente la
crudeltà e la violenza, l'inettitudine degli ufficiali, la
spietatezza e la ferocia del conflitto che priva di ogni umanità
coloro che vi partecipano. Alla fine della guerra Bardamu va in
Africa e qui trova un'altra piaga, quella del colonialismo, sistema
perverso e diabolico che attira subdolamente soprattutto quelli come
lui reduci non solo dalle trincee ma da tutto, sperduti e senza
futuro. Una nuova fuga da questo universo lo spinge fino in America.
Ed eccolo quindi negli Stati Uniti, il regno del dio denaro nel quale
ogni cosa, anche l'umanità è mercificata. Nelle fabbriche di
Detroit Bardamu scopre l'alienazione operaia e la miseria degli
uomini sottomessi alle macchine. È qui che incontra il solo
personaggio positivo del suo viaggio: Molly, una ragazza di cui si
innamorerà. Ma quest'incontro non sarà sufficiente ad interrompere
il suo viaggio al termine della notte; tornato in Francia
Bardamu riprenderà gli studi di medicina che aveva abbandonato allo
scoppio della guerra e andrà a vivere nella periferia parigina dove
si troverà a curare i poveri riscoprendo la stessa miseria che aveva
incontrato in giro per il mondo.
Quello
che colpisce nel romanzo di Céline è soprattutto la sua
rappresentazione della società umana. Nel racconto non ci sono i
buoni da una parte e i cattivi dall'altra; senza manicheismo, il
giudizio del narratore è acerbo e severo contro tutti, siano essi
sfruttati o sfruttatori. In una sorta di nichilismo cosmico egli non
fa nessuna concessione, non ha nessuna compassione nemmeno per le vittime;
per tutti c'è la denuncia della loro vigliaccheria.
Lo
stile del romanzo è assolutamente fuori dagli schemi e dalla
tradizione letteraria. L'uso dell'argot,
il gergo popolare parigino, la frase che tende a rompere la struttura
logica, fanno della prosa del Viaggio
qualcosa di insolito e
straordinario. Il libro, pubblicato nel 1932
provocò un vivo dibattito
tra detrattori e ammiratori. Ebbe in
definitiva un notevole
successo e fu tradotto (malgrado l'evidente difficoltà
di rendere in altre lingue quel gergo particolarissimo) in
37 paesi.
Suscitò l'ammirazione degli ambienti progressisti e anche Leon
Trotsky ne fece l'elogio. Solo
per pochi voti non ottenne il premio Goncourt,
il più importante tra i premi letterari francesi, ma gli fu
assegnato un altro apprezzato
riconoscimento: il premio
Renaudot.
Per
molti Voyage au bout de la nuit
(forse una traduzione più corretta del titolo, visto anche
il tema del romanzo, sarebbe
secondo me: Viaggio al fondo della notte)
è uno dei libri più importanti della letteratura del XX secolo. Tra
tutti ricordiamo l'apprezzamento dello scrittore americano Philip
Roth
per chi Céline era il
più grande di tutti romanzieri.
Niente
in questo libro lascia apparire il razzismo dello scrittore anzi
la sua prosa
suscitava l'ammirazione anche
nel Partito comunista francese.
Eppure,
pochi anni dopo, le scelte
personali e i pamphlet
antisemiti di
Céline non lasceranno
spazio a dubbi. A guerra già
praticamente finita lo
scrittore seguì le truppe tedesche nella loro ritirata dalla Francia
e propose
la sua collaborazione agli ultimi pétainistes,
i seguaci del maresciallo Pétain che, ancora convinti di poter
evitare la disfatta, volevano
costituire un governo francese
filonazista in esilio. Fu
arrestato in Danimarca dove passò più di un anno in prigione. Nel
1950 fu condannato da un tribunale francese per atti
pregiudizievoli alla difesa nazionale
ma non per tradimento. Quella
sentenza relativamente clemente
gli evitò un ritorno in carcere; l'anno
di prigione già effettuato azzerò la pena.
Nel
2017 ancora una volta Louis Ferdinand Destouche, - è il nome
all'anagrafe dello scrittore - è tornato alla ribalta delle pagine
letterarie dei quotidiani francesi. La sua vedova Lucette, alla
veneranda età di 105 anni ha autorizzato l'editore francese
Gallimard a pubblicare i tre pamphlet antisemiti scritti da
Céline a partire dal 1937. Lucette Destouche aveva fino ad oggi
rifiutato la pubblicazione dei testi che considerava all'origine
di tutte [le loro] disgrazie.
Gli scritti erano già stati pubblicati in Canada senza il suo
accordo (perché per la legge di quel paese erano entrati nel dominio
pubblico dopo 50 anni) ma non in Francia dove un'opera perde i
diritti d'autore solo dopo 75 anni. La possibilità di una tale
diffusione nel paese d'origine dello scrittore ha provocato un vivo
dibattito. Da un lato coloro che considerano negativamente questa
eventualità: sono testi ignobili, diffondono idee spregevoli e
secondo loro, non devono essere messi nelle mani di tutti. Dall'altra
c'è chi pensa che, di fronte ad un'inevitabile diffusione via
internet, sarebbe stato meglio proporre un'edizione “ufficiale”
con un apparato critico capace di mettere l'accento sulle aberrazioni
concettuali.
Di
fronte alla protesta di numerosi uomini e donne di cultura contrari
alla pubblicazione, l'editore Gallimard ha rinunciato all'impresa.
Bisogna dire che l'edizione canadese non era proprio un buon esempio.
Pubblicati da un editore con inquietanti simpatie per l'estrema
destra, i tre pamphlet erano stati stampati con il titolo
Écrits polémiques, titolo
eufemistico come se quegli
argomenti fossero solo
“polemici” e non
infamanti.
In
realtà i tre testi:
Bagatelles pour un
massacre, L'école des cadavres, Les beaux draps sono
scritti che esprimono in una prosa turpe e aggressiva un razzismo e
un antisemitismo
intollerabili
e ingiustificabili.
Resta
quindi il dilemma: è
possibile separare lo scrittore del Viaggio al termine
della notte ma anche di Morte
a credito da quello che
affermava in L'école des cadavres: “Mi
sento molto amico di Hitler, molto amico di tutti i tedeschi, li
considero come fratelli e hanno tutte le ragioni di essere
razzisti.”?
Non
è la prima volta che emerge la questione del rapporto tra autore e
opera. Un caso altrettanto emblematico era stato quello di Ezra
Pound, grandissimo poeta ma anche
ammiratore di Hitler e di Mussolini. Per quel che riguarda Céline il
caso è ancora più complesso: è giusto edulcorare la sua produzione
letteraria facendo la cernita nei suoi
scritti tra il “capolavoro” e l'”infamia”? Al
momento dell'edizione dell'opera nella prestigiosa collezione della
Pleiade,
riconoscimento importantissimo per un autore, i pamphlet
vennero scartati, non senza qualche discussione.
Gli
Strutturalisti pensavano di aver risolto il problema leggendo
nell'opera un universo unico, completamente avulso dall'autore,
eliminato in quanto individuo e al quale davano solo una funzione.
Ma
in definitiva come leggere i romanzi di Céline senza pensare agli
agghiaccianti propositi espressi dallo stesso scrittore? È possibile
separare l'opera dall'autore? Ammirare un libro e detestare la
persona che lo ha scritto?
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Non sono mai riuscita a capire se fosse o meno un antisemita, dal lato dell'accusa pende anche una sorta di autodifesa rinnegando questa sua presunta tendenza. Personalmente sono riuscita a separare autore e opera e ho conosciuto un grandissimo scrittore. Fare lo scrittore è una professione e come tutte le altre professioni quel che conta è esserne capaci ad eseguirla perché non dobbiamo fare amicizia o conoscere l'uomo Celine ma la sua opera, che appunto non rilascia il minimo accenno al razzismo e qui mi riferisco al Viaggio e a Morte a credito, i suoi romanzi più conosciuti e potenti. Stessa identificazione feci con Nabokov e Lolita, questa volta al contrario ma dopo essere riuscita a separare le due cose mi sono goduta la lettura di Lolita che oggi reputo sia il libro più ben scritto che abbia mai letto.
RispondiEliminaIoana
E' proprio questa mi pare, la particolarità di Celine; che fosse antisemita non ci sono dubbi, i suoi pamphlets sono, da questo punto di vista, tremendi e ingiustificabili e anche la sua vicenda personale non dà adito a scuse. Dopo la guerra visse fino alla morte (nel 1961) nella sua casa di Meudon con sua moglie, quasi dimenticato da tutti (solo nel 1957 venne "riscosperto") e non espresse mai nessunn rimorso per quei testi. Ma è vero che nei suoi romanzi non c'è nessuna connotazione razzista, anzi è evidente la denuncia della guerra e dei soprusi umani. E' vero che quella di scrittore è una professione come le altre, ma anche un po' particolare; penso che quando un autore ci coinvolge ci aspettiamo anche una certa coerenza personale. Secondo me è impossibile farne astrazione.
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