domenica 14 settembre 2014
Valle della Loira 4: l'abbazia di Fontevrauld
Le
scarne decorazioni e le pareti spoglie non attenuano la bellezza
anzi,
accrescono la sensazione di sontuosità dell'edificio. La luce fa
risplendere le alte colonne e le eleva maestose.
Tra
i molti edifici monumentali
costruiti in Anjou
con la pietra di tuffeau
spicca per la sua solennità
l'abbazia reale di
Fontevrauld.
Un'imponente
cittadella monastica, tra le più grandi costruite nel medioevo.
Fuori dalla mura abbaziali,
come un'appendice al grande
convento, il paesino si
raccoglie attorno ad una piazzetta animata oggi
dai turisti seduti ai tavoli
dei cafés.
Fondata
all'inizio del XII secolo da Roberto d'Abrissel, un carismatico
predicatore bretone, Fontevraud
accolse monaci e monache in
due conventi distinti ma
contigui -coabitazione che
all'epoca fu
fonte di scandalo- ingrandendosi
sempre più ed acquistando
fama in tutta l'Europa.
Quando
Roberto d'Abrissel, decise di riprendere il suo cammino di
predicatore, lasciò la guida
della comunità
ad una badessa, la prima di una lunga successione di nobili dame
e di
principesse che saranno, fino
alla rivoluzione, poste a capo dell'abbazia.
La
storia della comunità monastica si interruppe bruscamente, con la
Rivoluzione, alla fine del XVIII secolo. Destinato forse ad essere
demolito, il complesso di edifici fu, paradossalmente, salvato da
Napoleone, che lo trasformò in prigione. Fino al 1963, anno della
soppressione, fu considerata una delle prigioni più dure di Francia.
Nelle
celle di Fontevrauld
passò anche lo scrittore
Jean Genet che la evocò
in uno dei suoi libri più duri e angoscianti,
Il miracolo della rosa
scritto nel 1946:
Tra
tutti i penitenziari di Francia, Fontevrauld è il più inquietante.
È quello che più di tutti mi ha dato un'impressione di sconforto e
di desolazione, e so che i detenuti che hanno conosciuto altre
prigioni hanno risentito, al solo intenderne il nome, un'emozione,
una sofferenza, paragonabili alle mie. Non cercherò di chiarire
l'essenza della sua potenza su di noi: che venga dal suo passato,
dalle sue badesse, nobili reali di Francia, dal suo aspetto, dalle
sue mura, dalla sua edera, dal passaggio dei detenuti in partenza per
Caienna, detenuti più malvagi che altrove, dal suo nome, non
importa, ma a tutte queste ragioni, per me se ne aggiungeva un'altra:
durante il mio soggiorno al riformatorio di Mettray, esso era il
santuario verso cui salivano i sogni della nostra infanzia.
Oggi
le vestigia del carcere sono scomparse anche se un'esposizione ne
ricorda le vicissitudini. L'abbazia trasformata in museo accoglie i
visitatori ed anche un lussuoso albergo è stato aperto in uno degli
edifici.
Nella
navata della chiesa abbaziale quattro figure giacenti ricordano che
Fontevrauld è stata la necropoli dinastica dei Plantageneti.
Qui
furono sepolti Enrico II e Riccardo Cuor di Leone. Qui terminò i
suoi giorni Eleonora di Aquitania, moglie del primo e madre del
secondo. La scultura mortuaria la rappresenta nell'atto di leggere.
Immaginiamo
la sua mano
Pronta
al”giro” delle pagine, letture
Di
preghiere, di salmi che Eleonora
Voleva
sempre offerti ai nostri occhi
Dove
sarebbe stato il poema del “nulla”
Del
“puro nulla” raccolto nel libro
Che
ognuno inventi un libro
Che
lo confidi in pensiero a quelle mani
Che
vi mediti la lezione del nulla,
Della
morte terminabile, e la lettura
Sia
proposta silenziosa agli occhi
Della
giacente in attesa, Eleonora
Jacques
Roubaud 2013
sabato 6 settembre 2014
Valle della Loira 3: le abitazioni troglodite
Il
tuffeau è un calcare
giallastro, tipico della valle
della Loira. Assomiglia un
po' al travertino e al tufo nostrano
ed è stato utilizzato anche
per la costruzione dei
castelli.
Si
estrae da cave, lunghe anche
centinaia di metri e che poi
sono spesso impiegate
per altri scopi. Nelle
gallerie infatti
si coltivano i funghi, -quelli che in Italia chiamiamo champignons-
ma esse servono anche da cantina o
da stalla.
Lo
sfruttamento del tuffeau
risale almeno all'epoca romana. La pietra era utilizzata soprattutto
per la costruzione di monumenti. La
si estraeva soprattutto
da giacimenti a cielo aperto,
o da ripide pareti
evidenziate dall'erosione dei
fiumi
Le
cave,
scavate al livello del suolo sulle
falesie servirono, e a volte
servono tutt'ora, anche da abitazione.
In questo caso la facciata è
l'unica parte visibile
dell'edificio anche se
esistono abitazioni ibride,
nelle quali la parte
troglodita è completata da uno
o più locali esterni.
Nell'Anjou
i siti di questo tipo sono molto numerosi, alcuni abbandonati, altri
attualmente trasformati in musei ma anche in lussuose residenze
private o alberghiere.
Il
tuffeau è in effetti
un materiale dalle molte qualità: isolante termico e acustico,
facile da lavorare.
Passando
lungo la Loira, nei pressi di Saumur, si vedono villaggi, trogloditi
affacciati sul fiume.
Altre
volte però lo scavo del
tuffeau è
stato fatto non per sfruttare la pietra ma direttamente
per ricavarne un'abitazione. E
alcuni di
questi siti sono
meno visibili perché scavati verso il basso; sono
i cosiddetti trogloditi “di pianura”.
A
Forges, una località della cittadina di Doué, a una quindicina di
chilometri da Saumur, si può visitare una di queste fattorie
troglodite.
Scavata
nel 1830, è stata abitata per quasi
un secolo da contadini che
vivevano praticamente in autarchia.
Avevano
creato diversi spazi di vita: abitazioni, cortile, pollaio, forno,
cantina...con un ingegnoso sistema di ventilazione e di collegamento
con l'esterno.
Anche
se molto vicini in linea d'aria, siamo lontani anni luce dallo stile
di vita dei castelli rinascimentali.
Attualmente
il sito troglodita di Forges è stato ripreso da una coppia di
giovani appassionati che ha l'ambizioso progetto di far conoscere e
rivivere questa cultura contadina sconosciuta ai più ma che ha
modelli simili in molte parti del mondo (Marocco, Tunisia, Cina). http://www.maisonstroglo.com
Tra
le tante interessanti spiegazioni lette durante la visita abbiamo
trovato questa citazione di Alfred de Vigny che così descrive un
incontro con gli abitanti di queste originali abitazioni: Al
rumore dei vostri cavalli, la testa ridente di una ragazza spunta
dall'edera polverosa, imbiancata dalla polvere dello
stradone. Se risalite un pendio irto di vigna, un filo di fumo vi
avverte improvvisamente che un comignolo è ai vostri piedi, perché
la roccia stessa è abitata e famiglie di vignaioli respirano in quei
profondi sotterranei.
lunedì 1 settembre 2014
Valle della Loira 2
![]() |
Brissac |
Il
castello di Brissac con i suoi sette piani è presentato come il più
alto di Francia. Famoso per aver ospitato nel 1620 l'incontro di
riconciliazione tra Maria de Medici e suo figlio Luigi XIII. È una
strana costruzione, la facciata rinascimentale è in parte nascosta
dai due torrioni medievali, destinati in principio ad essere
demoliti. Il progetto fu però abbandonato per mancanza di fondi e il
risultato anche se un po' bizzarro è sorprendente e non spiacevole.
Il marchese di Brissac (figlio
del duca omonimo e da cui erediterà il titolo alla sua morte)
abita ancora qui in uno dei
piani, modernizzati,
del maniero. La guida che ci fa visitare il luogo mostra una certa
nostalgia per i tempi fasti poi purtroppo
scoppiò la Rivoluzione. Ma
fortunatamente i
legittimi proprietari riuscirono a recuperare la loro dimora.
Brissac |
Nel
salone del castello le fotografie ricordano alcuni ospiti celebri:
riconosciamo tra gli altri Sophia Loren. Sulle proprietà del duca
si coltiva la vigna e, alla fine della visita le bottiglie di Anjou
sono in vendita per i visitatori.
La
valle della Loira fu territorio pregevole, giardino di Francia,
bramato da molti, ma anche per questo campo di lotte e battaglie. Nel
medioevo terra di confine, di guerre e di invasioni. Prima le guerre
di successione per la corona d'Inghilterra, poi la guerra dei
cent'anni tra Capetingi e Plantageneti per il regno di Francia.
Il
fiume segnava un limite difficilmente valicabile: fino al XIX secolo
tra Orleans e la foce solo quattro ponti univano le due rive. Re e
signori locali fecero costruire roccaforti e castelli per difendere i
loro possedimenti.
Montsoreau |
Da
qui partì Charles d'Anjou, fratello del re Luigi IX (il futuro San
Luigi), per contestare agli Hohenstaufen il dominio dell'Italia
meridionale e diventare Carlo I d'Angiò, re di Napoli, capostipite
di una lunga dinastia.
I
severi e austeri castelli della valle della Loira con il Rinascimento
furono trasformati in lussuosi palazzi, circondati da altrettanto
ricchi giardini.
Per più di un secolo, tra il Quattrocento e il
Cinquecento, i re di Francia si stabilirono nella regione, facendone
il centro della vita politica dello Stato mentre il fiume era asse
essenziale per le comunicazioni e i trasporti. Ad Amboise, ospite di
Francesco I, finirà la sua vita Leonardo da Vinci.
Montreuil-Bellay |
lunedì 25 agosto 2014
Valle della Loira
Appena
fuori dalla città il fiume riprende il suo aspetto selvaggio. Boschi
dalle varie essenze si alternano a prati e a larghe spiagge.
Difficile da domare, gli uomini hanno dovuto scendere a patti con gli
umori del corso d'acqua, tenendosi un po' a distanza o accettando con
pazienza le immancabili inondazioni. Qua e là, con segni e date sui muri delle case, gli abitanti dei villaggi più esposti hanno voluto ricordare le piene più importanti. È il caso a Béhuard, un paesino che si trova su un'isoletta creatasi dalla separazione del fiume in due bracci.
Luogo di pellegrinaggio (un piccolo santuario ringrazia la Madonna che avrebbe salvato Luigi XI dall'annegamento), le case medievali sono sopraelevate per evitare almeno le piene meno importanti.
Anche il santuario è costruito, quasi incastrato, su una solida roccia.
Con umorismo un cartello che invita a parcheggiare l'automobile all'ingresso del paese, spiega che quest'ultimo “si visita a piedi... salvo in caso di inondazioni.”
Poco
lontano dall'abitato il silenzio è rotto dai gridi degli uccelli e
dallo scrosciare dell'acqua che si affretta in una breve rapida. Un
airone cinerino lascia la roccia su cui si era posato e spicca il
volo sfiorando la superficie del fiume.
Il motore di una barca copre per un tempo gli altri rumori, poi si allontana lasciando lo sciabordio delle onde di scia che poco a poco si spegne. Non lontano dalla riva, i vigneti di estendono sul pendio della collina esposto a sud.
Mille
chilometri di fiume dai molteplici universi.
La
Loira, nelle previsioni meteorologiche serve spesso da linea di
divisione tra le regioni soleggiate e quelle più piovose di Francia.
In effetti il fiume nasce a sud est del Massiccio Centrale e nel suo
percorso si dirige prima a nord e poi, dalle parti di Orleans piega
decisamente verso l'Atlantico.
È
qui che comincia propriamente la cosiddetta Valle della Loira,
sito incluso dall'UNESCO nella lista del patrimonio mondiale, non
solo per i suoi innumerevoli castelli ma anche per la grande
biodiversità del territorio.
martedì 29 luglio 2014
Paolo Rumiz: Morimondo

Dalla
mappa uscirono le memorie di mitologiche ostesse e lamenti funebri
simili a quelli greci: odori, suoni, canti, voci, traffici, mestieri
ed eventi che potevano essere del Volga, ma anche del Mississippi;
mirabolanti registri di sconosciuti parroci, maestri e farmacisti di
luoghi mai sentiti, testamenti di vecchi giramondo per i quali il
fiume era stato l’unico amore duraturo
La
spedizione di Rumiz e dei suoi compagni parte in canoa dalle rapide
di Staffarda, là dove le acque del Pian del Re diventano finalmente
percorribili, poi, quando il torrente si allarga e diventa fiume,
abbandona le canoe per i più tradizionali barcé ed
infine, per l'ultimo tratto,
adotta il Gatto Chiorbone,
un originale clipper
con un albero
pieghevole per passare
sotto i ponti.
Il
viaggio ha come unica certezza il punto d'arrivo: la foce del fiume.
Il percorso, che sembra a prima vista obbligato, è invece una
continua scoperta, una perenne invenzione. Lo
spazio del fiume è uno spazio chiuso; gli argini nascondono alla
vista anche i paesi più vicini, segnalati a
volte solo dalla cima di un
campanile che spunta dietro la riva. Gli
abitanti del Po sono uomini e donne che vivono in un mondo a parte,
seppur vicino a quello della
terraferma; le regole
e le abitudini, ma anche i valori, sembrano differenti. Per loro, e
poi per Rumiz, il fiume diventa un personaggio vivente, il nome perde
l'articolo, è semplicemente Po, qualcuno da ascoltare e con cui
dialogare.
Ma
perché questo titolo enigmatico? Morimondo
è il nome di un'abbazia cistercense, situata tra Vigevano e
Abbiategrasso, non lontano dal Ticino, ma
non proprio luogo fluviale. È
qui che Paolo Rumiz aveva visto una misteriosa donna vestita di nero.
Una nera signora, incontrata altre volte nel corso dei suoi viaggi:
in un bazar di Kabul, sulla strada per Vienna, tra le brughiere della
Slovenia. Una donna che
sembra accompagnarlo sulle strade del mondo, sempre pronta a
ricordargli qual è il suo destino, il destino di tutti. Ed
è questa stessa donna che risorge dai ricordi mentre si cerca un
nome per battezzare un
barcé: Poi
mi venne il nome, Morimondo, e ricordai. Venne all’improvviso e non
lo dissi a nessuno. La
donna di Morimondo, che apparirà ancora sulla riva del fiume,
diventa personaggio chiave, invisibile ed
onnipresente, di questa
moderna odissea.
lunedì 28 luglio 2014
John Vaillant: La tigre
Primorje
o Territorio del litorale è il nome della regione della Siberia
orientale stretta tra il mar del Giappone e la Cina. Si trova a più
di 14000 chilometri da Mosca, là dove la ferrovia transiberiana
percorre l'ultimo tratto verso il sud prima di arrivare a
Vladivostok. È una regione in parte montagnosa, ampiamente coperta
da foreste e ricca di risorse naturali. Abitata fin da tempi
ancestrali da popoli indigeni, dai costumi simili a quelli degli
indiani d'America e che per secoli hanno vissuto in simbiosi con la
loro terra. Il territorio, appartenente geograficamente alla
Marciuria cinese, entrò a far parte dell'impero russo nella metà
del XIX secolo e poi, dopo varie vicissitudini, nel 1922 fu
conquistato definitivamente dalle forze bolsceviche.
Per
i pionieri russi l'estremo oriente siberiano ha rappresentato un
mondo nuovo da conquistare, con una graduale colonizzazione simile
per molti versi a quella americana verso il Far west.
Attualmente gli occidentali,
russi soprattutto, ma anche ucraini o bielorussi, rappresentano il
90% della popolazione.Il Territorio del litorale è anche la regione in cui vive ancora la tigre dell'Amur, uno dei più grandi e maestosi mammiferi terrestri. Un animale impressionante, lungo fino a tre metri e che, può, nei capi più imponenti, superare i 300 chili di peso. La caccia intensiva ha ridotto progressivamente il numero di esemplari e l'area occupata da questo felino. Dal secondo dopoguerra la caccia è stata vietata e l'estinzione sembra, almeno per il momento, se non evitata almeno ritardata.
John Vaillant è statunitense e vive in Canada a Vancouver. Scrittore viaggiatore e giornalista indipendente, racconta in questo libro una storia drammatica e affascinante. Il corpo di Vladimir Markov, cacciatore bracconiere viene ritrovato smembrato vicino alla sua capanna nella foresta attorno al villaggio di Sobolonje. Interviene l'Ispettorato tigre con a capo Jurij Trush, incaricato di svolgere l'indagine. Infatti tutto sembra indicare che Markov sia stato divorato da una tigre. La tigre, si dice da queste parti, non attacca l'uomo se non in casi particolari. La brutalità dell'azione lascia pensare ad una vendetta. Perchè dunque l'animale ha scatenato la sua collera su Markov e sul suo cane?
Il libro di John Vaillant comincia come un poliziesco ma in realtà non è un romanzo; le fotografie dei protagonisti ce ne convincono. È una storia vera, risalente al 1997.
Eppure nella narrazione seguiamo l'inchiesta di Jurij Trush come la trama di un giallo. Trush ha un compito molto difficile: fare in modo che la coesistenza tra le tigri e gli uomini si svolga senza incidenti. Difendere le une dagli altri e viceversa. La tigre è una preda pregiata, per la pelliccia ma anche per la carne e le ossa a cui si attribuiscono proprietà curative particolari. Ma è un animale pericolosissimo ed estremamente intelligente, capace di ricordare un torto subìto e di fare di tutto per vendicarlo. La tigre che ha attaccato Vladimir Markov sembra voglia uccidere ancora; Trush deve fermarla e, prima di tutto, scoprire che cosa ha provocato la collera della belva.
Qualcuno ha paragonato questo libro a Moby Dick. In effetti c'è la lotta tra l'uomo e l'animale, lotta che assume caratteri universali; il duello tra l'uomo e una belva che sembra adottare sentimenti e strategie simili a quelli umani: l'odio, la collera, il desiderio di vendetta. Una storia che, come quella della balena bianca, va molto al di là del semplice racconto di cacciatori e prede. Ma questo libro non è un romanzo e Vaillant non ha scritto l'equivalente forestale di Moby Dick come lo afferma una recensione; se non altro, e soprattutto, perché manca nella forma lo slancio poetico della prosa di Melville.
Ma se La tigre non è Moby Dick non è nemmeno solo la storia a cui ho accennato fin qui. Questo libro è molto di più. Vaillant fa delle profonde incursioni in campi diversi: la Geografia, la Storia, l'Antropologia e soprattutto l'Etologia. Il racconto degli avvenimenti drammatici svoltisi sulle rive del fiume Bikin si inserisce in un discorso molto più ampio e vario, tra il romanzo e il saggio. La tigre è un'opera ricca di spunti, intelligente ed accattivante che ci guida alla scoperta di un mondo arcano e misterioso, un universo in cui i rapporti tra uomini e natura sono retti da leggi primordiali e implacabili
Sospesa tra gli alberi, quasi impigliata, pende una falce di luna. Il pallido alone dissemina di ombre la foresta innevata, rendendola ancor più indistinte all'uomo che la sta attraversando e che ora prosegue a intuito, oltre che a vista. È a piedi e da solo, a parte il cane che gli trotta davanti, impaziente di prendere finalmente la via verso casa. Intorno a loro, sopra la boscaglia di sterpi, neri tronchi di quercia, di pino e di pioppo intrecciano nel buio del cielo una lacera volta di rami. Esili betulle, più candide della neve, sprigionano una parvenza di luce, ma è come la pelliccia di un animale in inverno : gelida fuori, scalda solo se stessa. Tutto è silenzio, nel letargo di questo mondo glaciale.
John
Vaillant : La tigre Einaudi 2012. Traduzione di Duccio Sacchi
venerdì 18 luglio 2014
La rocca di Calascio
Una
semplice torre di avvistamento, costruita, si pensa, intorno all'anno
Mille a 1460 metri di quota. In un luogo di grande importanza
strategica, da dove era possibile sorvegliare un ampio territorio e,
in seguito, controllare una delle principali vie di transumanza verso
la Puglia: il tratturo Magno.
I
più antichi documenti citanti la rocca e il suo abitato risalgono
però al XIV secolo, solo un po' più recenti rispetto a quelli che per
primi evocavano l'abitato di Castel del Monte. Per questo si pensa
che i due insediamenti abbiano la stessa origine: l'abbandono o
almeno lo spopolamento, dell'abitato di Marcianisci o piuttosto di un
insediamento successivo già meglio protetto dalle incursioni
barbariche, situato nella piana sottostante di San Marco.
Attorno
al primo torrione a pianta quadrata si costruirono successivamente
quattro altre torri cilindriche, più piccole e collegate da mura con
merlatura ghibellina a coda di rondine.
Ma la Rocca non divenne mai
un vero castello, restando di dimensioni piuttosto limitate anche
quando divenne proprietà di potenti famiglie, i Piccolomini prima, i
Medici poi. Si edificò invece, sul crinale sottostante, un borgo
fortificato, strettamente connesso al torrione. Una piccola chiesa a pianta ottagonale, risalente al XVI secolo si trova un po' isolata dal borgo e dalla fortificazione e completa il sito.
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Santa Maria della Pietà |
Calascio con più in alto il borgo di Rocca Calascio e la Rocca |
Quella
che per molti abruzzesi è “la Rocca” per antonomasia, è
certamente uno dei monumenti più sorprendenti e affascinanti della
regione. Scenografia austera e incontaminata, ideale per molti film
girati quassù, sagoma inconfondibile par manifesti turistici ma
anche per un francobollo da cinquanta, ormai preistoriche, lire.
Non
è la costruzione in sé ad attirare l'attenzione. O meglio, la torre
attira sì il viaggiatore che, magari percorrendo una delle strade
dell'ampia valle sottostante, si propone una visita per vedere da
vicino quell'intrigante montagna coronata. In realtà però molte
sono le roccaforti e i castelli ben più complessi e interessanti di
quella semplice e modesta struttura quadrangolare. Nessuno però si
trova in un sito così straordinario e singolare. Quasi un rifugio
alpino; una costruzione umana integrata alla montagna e che ne rileva
la cresta in un ultima parete rocciosa. Le principali montagne della
regione circondano e fanno da sfondo ad un panorama straordinario: Il
Gran Sasso, il Velino, il Sirente, i monti Marsicani, la Maiella.
Ogni ora del giorno e ogni momento dell'anno propongono uno
spettacolo unico e ammaliante. La Rocca davanti al monte Velino |
![]() |
L'aurora colora la Rocca e la cresta del monte Sirente |
Sullo sfondo, davanti ai ruderi dell'abitato della Rocca, Forca di Penne, valico del Tratturo Magno, a destra le pendici della Maiella |
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