La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 25 dicembre 2010

Tolleranza

Non è, malgrado l'uso e l'abuso che se ne fa, sempre un concetto positivo quello di tolleranza. Non è rispetto, non è simpatia né condivisione. Si tollera (o non si tollera) un dolore, un rumore, qualcosa che ci infastidisce e che, nonostante tutto, magari con un po' di sforzo, si sopporta. Per tollerare qualcuno occorre porsi in una posizione di superiorità. Considerare che l'altro parla o agisce a sproposito; che infastidisce, provoca , aggredisce. In un certo senso si può essere tolleranti solo con gli intolleranti. Paradossalmente infatti fare appello alla tolleranza significa considerare la persona destinataria di questo sentimento impicciona, seccatrice, invadente. E se si provano questi sentimenti verso qualcuno, sentimenti di fastidio e di rigetto, significa che per essere tolleranti bisogna prima essere stati intolleranti.
È giusto quindi invitare alla tolleranza verso gli stranieri, i rom, gli omosessuali? (sono, prese a caso, tre categorie di persone alle quali soprattutto ultimamente il termine è spesso accollato).  
Il discorso che ne deriva è il seguente: Certo, non sono come noi, sono un po' strani, hanno abitudini bizzarre, in definitiva non sono normali, perché la normalità è rappresentata da quelli come me, ma io sono comprensivo, aperto, indulgente (= superiore), dunque io li tollero.  
Brutta cosa.  
Sarebbe meglio rispettare gli altri, considerarli sullo stesso nostro piano, piuttosto che tollerarli.  
E quindi rivalutare l'intolleranza, non verso le persone ma verso azioni e condizioni che non possono e non devono essere accettate: sfruttamento, violenza, malcostume politico...la lista è purtroppo lunga.

Il caso volle che mentre pensavo queste cose mi capitò di sentire qualcun altro che ne parlava.
Antonio GIMÉNEZ MERINO insegna all'Università di Barcellona. Una buona parte del suo lavoro è dedicata all'analisi del pensiero politico-sociale di P.P.Pasolini. È stato questo il tema della sua tesi di dottorato e di un saggio Una fuerza del pasado (Trotta, Madrid, 2003).  
Le sue ricerche si interessano anche ai rapporti tra progresso tecnologico e prospettiva democratica.
In un suo intervento pubblico ha abbordato il tema della tolleranza proponendo un esempio singolare, tratto da un romanzo che in Inghilterra ha avuto un certo successo: La pesca al salmone nello Yemen di Paul Torday (Rizzoli).  
Uno sceicco ha avuto la strampalata idea di introdurre il salmone (di solito abituato a torrenti e a clima ben più freddi), nella penisola arabica. I due protagonisti, un ittiologo e la sua accompagnatrice, stanno lavorando al progetto e si trovano in pieno deserto sotto un sole cocente. Una ragazzina che abita nei paraggi, si avvicina e li saluta:  
La ragazzina […] ha poi versato dell'acqua in due tazzine di latta e ce le ha offerte. E poi ha infilato la mano nel suo vestito e ne ha tirato fuori un pacchetto piatto avvolto in una carta da forno, da cui ha estratto un pane rotondo e sottile come un gran biscotto. Lo ha rotto in due pezzi e ce ne ha dato uno ciascuno, invitandoci con dei gesti a mangiare e a bere. […] Era della vera carità, quella dei poveri che danno ai ricchi.
Ecco dice Giménez Merino un bell'esempio di ciò che è la tolleranza.

Nessun commento:

Posta un commento