La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 8 gennaio 2011

Mario Rigoni Stern

 Il 17 giugno 2008 ai funerali di Mario Rigoni Stern, nella chiesetta al centro dell'altopiano di Asiago, c'erano solo una decina di persone. Non perché lo scrittore fosse stato dimenticato ma perché volle morire così com'era vissuto, lontano dai clamori, schivo ai riconoscimenti pubblici e legato fino all'ultimo alle sue montagne.
Rigoni Stern, dice il luogo comune, diventa scrittore per necessità più che per vocazione.
In effetti quando nel 1945 torna sull'altopiano, dopo la disastrosa campagna di Russia e dopo due anni di lager in Germania, ha con sé i fogli che aveva riempito durante la prigionia. Forse era stata anche la scrittura a permettergli di sopravvivere nel campo di concentramento e così, dopo qualche anno, trasforma i suoi appunti in libro. Decide di rendere pubblica la sua esperienza in una cronaca che sia testimonianza storica e omaggio a coloro che non sono tornati. Grazie a Elio Vittorini, sarà pubblicato nel 1953 da Einaudi.
Ma per Rigoni Stern questo libro non è che una parentesi. Il suo lavoro è all'ufficio catastale di Asiago, dove la sua attività di impiegato continuerà fino al 1970.
D'altronde non si può dire che Vittornini lo avesse invogliato a continuare nella scrittura. In effetti era stato per Rigoni critico severo e pare che gli avesse fatto riscrivere più volte il racconto della ritirata di Russia. Si era ancora in epoca neorealista ed i codici letterari erano abbastanza rigidi. L'esigenza espressa era quella di una letteratura che fosse testimonianza carica di valore etico e morale e soprattutto forgiata nella volontà di superare il lirismo troppo sentimentale.
Certo, etica e morale sono al centro della prosa di Rigoni Stern è non è sicuramente questo il limite dello scrittore. Ė però il punto di vista: partecipe, solidale e implicato che lo differenzia dal lasciare parlare i fatti della scuola neorealista.
E forse Vittorini aveva ragione quando diceva che Rigoni Stern non è un vero scrittore perché non è un inventore di storie. In effetti sembra proprio che egli possa scrivere solo su cose viste o conosciute. E poi magari non rispetta nemmeno la tecnica letteraria né i canoni codificati, perché ha studiato solo fino alla terza avviamento.
Eppure Rigoni Stern riprende a scrivere. Il sergente nella neve ha avuto un certo successo e lui ha scoperto (o riscoperto) quel gusto di raccontare, un po' come si faceva un tempo in questi paesi tramandando oralmente racconti del passato. Dopo quasi dieci anni di silenzio pubblica un nuovo libro: Il bosco degli Urogalli, e poi continua, con una certa regolarità, fino agli ultimi anni di vita.
La sua formazione letteraria l'aveva fatta prima di tutto sui libri della piccola biblioteca che il padre gli aveva lasciato. C'erano soprattutto i grandi autori russi: Puškin Tolstoj Gorki, Cechov. Il suo linguaggio si fa ricco e raffinato. A volte non disdegna il termine scientifico che però è sempre usato senza pedanteria. Rigoni Stern si crea uno stile originale, fatto di semplicità e profondità. Ed è forse proprio la sua formazione di autodidatta a permettergli una ricchezza linguistica capace di evitare ogni manierismo.
Ma non può parlare che della sua vita.
Tornerà quindi a raccontare la sua esperienza di soldato come in Quota Albania, o in Ritorno sul Don ma anche a narrare storie di personaggi che sente vicini come Tönle Bintarn in Storia di Tönle, contadino, pastore e contabbandiere vissuto nel Veneto degli inizi del XX secolo e coinvolto suo malgrado nei grandi avvenimenti dell'epoca.
E poi la sua vita sono anche, e sempre di più, le montagne, i boschi, gli animali che lo circondano.
Sull'altipiano di Asiago vive in una casa che ha lui stesso costruito. Attorno, anno dopo anno, raccoglie e pianta alberi di specie diverse che accoglie come persone di famiglia:
Era autunno e un giorno, camminando con moi figlio maggiore, raccolsi il primo albero per portarlo vicino a casa: un pino silvestre alto pochi centimetri che a stento era nato tra i sassi; lo misi a dimora con il medesimo orientamento di dove era venuto alla luce.
Spesso i due temi, guerra e natura, si intrecciano, quando un luogo o una circostanza ricordano fatti dolorosi. Perché queste terre sono ancora oggi segnate dalla guerra: Qui poco lontano, cento metri, ci sono ancora i ruderi dei ripari, dei camminamenti e i segni di infinite esplosioni di Bombe d'ogni calibro[...] Dalla terra appena smossa uscivano pezzi di granate, palle di piombo, cartucce. Anche ossa.
Rigoni Stern sa però ritrovare nel mondo che lo circonda, e malgrado la Storia, un ottimismo nell'uomo ma soprattutto nella natura capace di resistere e di sopravvivere nonostante tutto. Osserva ed esperimenta personalmente una simbiosi necessaria ma fragile e delicata tra gli elementi che costituiscono lo spazio naturale in cui vive. Ne sente e ne fa sentire l'importanza, con uno sguardo che è ancora pieno di speranza e di fiducia. Come quando racconta della passera scopaiola che invece di migrare è restata nei dintorni di casa sua. L'animale è forse malato e vola con difficoltà. Sembra impossibile che non sia già stato mangiato da un gatto o da qualche altro predatore. Poi Rigoni scopre il mistero. Era il suo cane da caccia a proteggerla: tra le zampe e il petto, si teneva al caldo la passera scopaiola che, sorpresa dalla mia apparizione, mi fissava immobile. Poi volò fuori sfiorandomi il viso. Cimbro, cane da caccia selvatico e appassionato come nessun altro, mosse appena la coda come volesse scusarsi per quella debolezza sentimentale.

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